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Il punto da chiarire meglio in relazione alle strategie di innovazione adottate dalla pubblica amministrazione è comprendere se la

governance

può essere a tutti gli effetti considerata la risposta politica emergente degli Stati di fronte alla situazione critica sopra descritta e quindi un tentativo di ridefinire confini e ruolo dell’azione amministrativa pubblica nella società o semplicemente la conseguenza non voluta né ricercata di tali crisi dovuta alle trasformazioni tecnologiche, economiche e ai loro effetti sull’ambiente, sulla qualità della vita e sul lavoro, ecc. (Pellizzoni, 2006).

Nel primo caso la

governance,

nella sua accezione comunitaria

,

risulterebbe essere il paradigma “sfidante” che si opporrebbe sia al

government

che al modello basato su una

governance

legata agli interessi privati di cui il

new

public management

, che le politiche neoliberiste anglosassoni hanno portato avanti (Girotti, 2007), rappresenterebbe una felice applicazione. La

governance

, intesa come rete fondata sulla fiducia e orientata alla comunità, sarebbe una sorta di risposta europea basata sull’equità e sul principio dell’inclusività che si contrapporrebbe al managerialismo di stampo anglossassone-americano fondato, invece, sui principi dell’efficienza, dell’economicità e su una gestione particolarmente attenta all’organizzazione interna e agli aspetti più propriamente tecnici (Gualmini, 2003; Girotti, 2007).

Dare una definizione della

governance

tuttavia non appare facile, perché, come già accennato, il concetto, oltre che avvalersi di differenti significati 43, può essere ambiguo e quindi facilmente frainteso.

La teoria delle

governance

politica si afferma dopo la seconda guerra mondiale ad opera dei governi che aspiravano a orientare in modo esplicito e verso obiettivi definiti lo sviluppo socio-economico dei loro paesi. Le tematiche attorno alle quali si sviluppò erano quelle della crescita e dell’implementazione delle politiche pubbliche; la prospettiva iniziale però era quella verticistica, dall’alto, in sostanza il punto di vista del legislatore. Presto dal semplice concetto di

governance

si passò a quello di governabilità, con l’attenzione rivolta non soltanto al soggetto delle politiche ma piuttosto ai destinatari di queste, considerati gli insuccessi e le resistenze incontrate nell’attuazione delle politiche pubbliche. Inizialmente nato come “teoria della direzione” in Germania o “direzione politica” in Inghilterra, con il tempo il concetto di

governance

cambia semanticamente rispetto alle sue origini sottolineando il carattere cooperativo e di coordinamento.

Diverse sono le accezioni secondo le quali il termine si sviluppa. Per quanto riguarda la prima (Mayntz, 1999)

governance

viene intesa come un nuovo stile di governo cooperativo che si distingue da quello basato sul controllo gerarchico. In questo senso essa si fonderebbe sull’interazione dello Stato con attori non statuali sia pubblici che privati all’interno di reti decisionali. Con tale concezione viene messa in crisi la centralità dello Stato e si indebolisce la sua efficacia come centro di controllo politico lasciando spazio a forme alternative di “governo della società” quali i principi del mercato e l’auto-organizzazione orizzontale. E’ da qui che nasce la seconda accezione del termine (Mayntz,

43 Secondo Rhodes (2000), senza ricorrere a definizioni di modelli idealtipici ma guardando alle

applicazioni concrete, il concetto di governance può essere utilizzato per descrivere diverse situazioni a partire dai nuovi processi di “governing” fino ai nuovi metodi attraverso i quali la società è governata. Il problema di definire cosa si intende per governance diventa problematico quando ci si riferisce soprattutto a questi nuovi processi, alle condizioni in base ai quali vengono adottati o ai metodi utilizzati. Nel caso della pubblica amministrazione ad esempio lo studioso riconosce almeno sette approcci al tema della governance: si va dalla corporate governance, al new public management, alla “buona governance”, alla interdipendenza internazionale, ai sistemi socio-cibernetici, alla nuova economia politica per finire con i networks.

1999) più ampia e meno specifica rispetto alla prima e che comprende diverse modalità di coordinamento delle azioni individuali considerate forme primarie di costruzione dell’ordine sociale. Siamo nel periodo dei primi anni ’80 quando le politiche del neoliberismo e del thatcherismo prendono piede promuovendo processi di deregolamentazione e privatizzazione per favorire la crescita e aumentare l’efficienza economica. Pari interesse, però, negli studi sulla

governance

ricevono le forme cooperative e orizzontali di autoregolazione sociale e di produzione di politiche rispetto alla via gerarchica e ai principi del mercato. A metà degli anni ’80 infatti le parole chiave del dibattito teorico, più spesso richiamate, erano quelle di decentramento, cooperazione e

network

a voler sottolineare qualsiasi avversione verso il potere gerarchico. Tuttavia si comprese ben presto che anche affidare la risoluzione dei problemi alle reti pubblico/private e all’autoregolamentazione sociale spesso non portava benefici ma complessificava e frammentava ulteriormente la scena.

A fronte di questa consapevolezza un’altra importante riflessione sulla

governance

portava a vedere lo Stato non tanto come un elemento indebolito,

con ridotta capacità direttiva ma semplicemente come un organismo che stava attraversando, in una visione della società priva di centro o policentrica, un cambiamento della sua forma. Era ben evidente, infatti, che l’autoregolazione sociale poteva funzionare bene solo all’interno di un quadro istituzionale riconosciuto dallo Stato (Mayntz, 1999) e che la stessa cornice istituzionale44 non solo legittimava tali rapporti ma poteva incentivarli. Controllo gerarchico dello Stato e autoregolazione non sarebbero dunque principi contrastanti, ma anzi un binomio che rafforzerebbe l’efficacia dell’azione rispetto ad una situazione di

governance

pura (D’Albergo, 2002)45.

Con il sopraggiungere della globalizzazione naturalmente gli scenari diventano più complessi perché altri soggetti e livelli istituzionali entrano in gioco e perché il coordinamento politico a livello internazionale, rispetto a

44 Lo stato in questi casi manterrebbe alcuni diritti ad esempio quello di ratifica legale e quello di imporre

decisioni autoritative in caso di mancato accordo tra le parti e di intervento con azioni legali (Mayntz, 1999).

45 Una terza ed ultima accezione del termine avrebbe ricompresso le prime due interpretazioni più ristrette

quello europeo, non delineandosi “

alcun soggetto capace di potestà direttiva

” e mancando “

qualsiasi cornice istituzionalizzata per l’oggetto stesso di tale sforzo

di guida politica

” (Mayntz, 1999 p.14) risulta più complesso e difficoltoso. Così Mayntz (1999) ci ricorda che se prima dei cambiamenti legati all’europeizzazione e alla globalizzazione, il concetto di

governance

si estendeva fino a includere le sfumature di significato emerse nel tempo, ma rimaneva circoscritto e ben delimitato, oggi con l’avvento della dimensione transnazionale forse ci si trova davanti ad un vero e proprio cambiamento di paradigma, i cui contorni faticano ad essere delineati chiaramente. Se sul piano nazionale dunque lo Stato più che essere delegittimato acquista nuovo ruolo e funzioni diverse, nell’arena internazionale ma anche solo europea davvero perde capacità di controllo dovuta non soltanto alla “cessione” di competenze legislative e regolamentari, ma soprattutto all’integrazione dei mercati europei e al graduale dissolvimento dei confini economici nazionali. Naturalmente si aprirebbe qui anche il discorso del rapporto tra democrazia e

governance

che la teoria stessa della

governance

non affronta. L’aspetto che ci preme invece sottolineare in questo ambito, e sul quale ritorneremo a proposito di processi partecipativi, è quello che vede la

governance

focalizzarsi, come abbiamo detto, sulla cooperazione orizzontale e sui

policy networks

senza preoccuparsi troppo della legittimazione democratica, del grado di rappresentanza dei soggetti privati all’interno di queste reti. Forse, anzi, proprio la difficoltà di rappresentare oggi necessità specifiche fa considerare questi

networks

, in cui diversi e contrapposti interessi politici si incontrano, una “forma moderna e più agevole di rappresentanza degli interessi” (Mayntz, 1999). Non riconoscere le tensioni fra i diversi tipi di rappresentanza porta la teoria della

governance

a esaltare i processi dal basso, correndo però il rischio di sfondare verso modelli di vecchio corporativismo, che tutelano gli interessi di parte, senza preoccuparsi del bene comune (Bowen, 1971).

La globalizzazione infine apre lo scenario a molti regimi di

governance

che coesistono insieme alle loro strutture, ai processi. Mentre sul piano nazionale gli studi sulla

governance

hanno puntato l’attenzione sui soggetti e le loro

interazioni all’interno di cornice costituite, quello che viene definito “istituzionalismo incentrato sugli attori”, a livello internazionale la teoria della

governance

dovrebbe prevedere e includere tutti i differenti modelli di

costruzione dell’ordine sociale che non si configurano solo attraverso la via gerarchica o i modelli di mercato e dunque si comprende come ciò diventerebbe un arduo, se non impossibile, compito da compiere.

E mentre la teoria della

governance

si sviluppa fino a prospettare uno sconfinamento di paradigma, lo Stato moderno subisce, in effetti, una virata verso uno stile maggiormente cooperativo: come abbiamo già rilevato sbocciano reti un po’ ovunque e si moltiplicano le esperienze e le sperimentazioni di pratiche deliberative (Bobbio, 2004; Borghi, 2006).

In questo lavoro di tesi intenderemo allora la

governance

come quell’insieme di trasformazioni che hanno a che fare con l’intensificazione e la diffusione di pratiche partecipative e che sono strettamente connesse a processi di moltiplicazione dei livelli e degli attori, al principio di attivazione e alla territorializzazione delle politiche, principale terreno della sperimentazione di carattere deliberativo (Borghi, 2006).

Se lo stesso concetto di

governance

, come abbiamo visto, non comporta di per sé un contributo alla soluzione dei problemi di coordinamento e di frammentazione degli assetti sociali e istituzionali 46, come le retoriche utilizzate potrebbero far pensare, allo stesso tempo la

governance

può diventare uno strumento di innovazione delle interazioni sociali e dei giochi tra gli attori, severo, ma allo stesso tempo più leggero del vecchio governo per atti autoritativi, a patto che non la si legga o la si utilizzi come strumento per depotenziare la funzione pubblica (Donolo, 2006). Ciò che va incidere sulla buona riuscita sono, infatti, elementi come la cornice istituzionale regolativa nella quale va a implementarsi, il ruolo giocato dalle istituzioni pubbliche presenti – dalla pubblica amministrazione, dal governo locale - e la presenza o meno di dispositivi orientati alla crescita e allo sviluppo delle risorse, sia

46 In questo senso alcuni autori sottolineano come la governance, lungi, dal rispondere a domande di

coordinamento sia essa stessa a causarle, sollecitando governi locali ad assumere nuovi ruoli (Bifulco, 2005; Donolo, 2005).

economiche che sociali, di auto-organizzazione presenti nella società (Bifulco, de Leonardis, 2005; Vitale, Bifulco, 2005): “

Questa in sostanza, e malgrado le

retoriche confuse che l’avvolgono, è la persuasione che il governo dei processi

sociali sia possibile oltre che desiderabile, e che si tratti precisamente della

produzione di effetti di governo

” (Donolo, 2006, p. 236). Naturalmente un governo che non consideri la società come puro oggetto o i cittadini come suoi sudditi, ma che si basi su interazioni forti, su processi più che su procedure, su mobilitazione di risorse e di soggettività. Secondo Le Galès (2002 p. 42) che propone una lettura sociologica della

governance

, criticandone fortemente tutti gli usi strumentali, il concetto è utile in quanto “

permette di problematizzare le

tematiche di ricerca, di identificare elementi di un sistema esplicativo, di

elaborare un sistema di ipotesi di cui vedremo la fecondità empirica e la

pertinenza

”. La

governance

non permette da sola di costruire una teoria, ma grazie ad essa è possibile l’elaborazione di idealtipi relativi alle modalità di

governance

che ci permettano di comprendere le forme contemporanee e le trasformazioni dello Stato e dell’azione pubblica. Questa sociologia della

governance

ci permette, inoltre, di prendere le distanze da ogni visione di “buona

governance

” che secondo un’ottica economica neoclassica, ripone fiducia nella ricerca di istituzioni in grado di garantire al meglio il funzionamento del mercato o nel progetto neoliberale che legittima l’imposizione della disciplina di mercato alle società europee. D’altra parte la

governance

non può essere neanche intesa solo come una questione di

efficacia in termini di miglioramento delle politiche pubbliche o una soluzione che ha del miracoloso, perché così come lo Stato e il mercato hanno registrato i loro fallimenti così “

nessuno dubita che i fallimenti della governance saranno

almeno altrettanto rilevanti

” (Le Galès, 2002 p.43).

Ma procediamo ora nell’analisi della

governance

concentrandoci sui differenti assetti e configurazioni che questa può assumere nell’ambito di una amministrazione pubblica post-burocratica.