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A causa delle trasformazioni economiche e sociali che hanno coinvolto tutti i paesi a partire dalla fine degli anni ’70 e grazie all’intervento di vettori transnazionali, che soprattutto in Europa, come abbiamo antecedentemente accennato, hanno spinto le democrazie industrializzate, anche quelle

pro-labour

o di centro-sinistra, verso un aumento della competitività anche nel settore pubblico, molte pubbliche amministrazioni a cominciare dall’ambito anglo- americano, hanno adottato il modello del

new public management

(Gualmini, 2003). Tale modello, affermatosi in maniera indiscussa quanto meno sul piano normativo (Girotti, 2007) si fonda su un

management

pubblico di stampo razionale, su una pervasività degli assunti di valore e sull’interesse a massimizzare l’efficienza nell’ambito interno della pubblica amministrazione. Sette sono gli elementi che Hood (1991) identifica per descrivere questo paradigma: un riconoscimento del carattere professionale della pubblica amministrazione attraverso l’attribuzione ai dirigenti di una maggiore responsabilizzazione e autonomia sottoforma di capacità manageriali. Un’adozione da parte della pubblica amministrazione di parametri e indicatori di valutazione dell’attività sotto il profilo della qualità e dell’efficienza. Collegato a questo un terzo elemento prevede il controllo degli

output

e dei servizi erogati. L’adozione di uno stile di gestione tipico delle aziende che privilegiano la competizione e la concorrenza nei confronti del settore privato accompagnato da un utilizzo della parsimonia nell’allocazione delle risorse e ad un potenziamento dell’autodisciplina, da parte dei dipendenti pubblici, sono gli ultimi elementi del paradigma.

Per Osborne e Gabler (1992), invece, i principi per reinventare il governo si ampliano e vanno dal ruolo della pubblica amministrazione come catalizzatrice, con funzioni di guida e coordinamento piuttosto che di erogazione di servizi, alla responsabilizzazione della comunità di cittadini beneficiari dei servizi, all’aumento della competitività anche all’interno della stessa pubblica amministrazione e non solo nei confronti di altri soggetti esterni, alla logica che punta sul risultato della

performance

e non più alla conformità della regola, al riconoscimento del cittadino come cliente di un servizio fornito da un’amministrazione imprenditoriale, alla responsabilizzazione dei manager attraverso la creazione dei centri di profitto, al potenziamento di capacità di anticipazione dei problemi, di delega verso il basso dei compiti e di modernizzazione dell’amministrazione attraverso il ricorso al mercato. Secondo questi autori infatti: “

Il tipo di governo che si è sviluppato durante l’era

industriale, con le sue burocrazie centralizzate e lente, la loro attenzione a

regole e a regolamenti e le loro strutture gerarchiche, non funziona più molto

bene. Ai loro tempi hanno conseguito molti risultati, ma si sono nel tempo

allontanati da noi. Sono diventati sovrabbondanti, pieni di sprechi e inefficaci. E

quando il mondo ha cominciato a cambiare non sono riusciti a cambiare con

esso. Le burocrazie gerarchiche, centralizzate progettate negli anni trenta e

quaranta semplicemente non funzionano bene nella società e nell’economia in

rapido cambiamento, ricca di informazioni e ad alta intensità di conoscenze

degli anni novanta

” (Osborne e Gabler 1992, p. 112). Per supplire alle carenze

di tale modello il

new public management

si proporrebbe, sempre secondo gli autori, come un’unica visione comune a tutti i paesi, al di là delle singole applicazioni e delle singole culture amministrative, per superare la crisi corrente.

Come si può ben notare le forme di legittimità dell’azione pubblica conoscono qui una cesura rispetto al passato variando profondamente: il loro fondamento non è più la veste autoritativa, ma si passa ad una legittimazione fondata sul mercato con le sue capacità di sviluppo dell’economia e di regolazione preferibile a quella dello Stato. Il

new public management

nasce,

infatti, come risposta al modello burocratico diventato secondo i critici troppo lento, inefficiente, lontano dai bisogni dei cittadini, scarsamente dotato di servizi di qualità e dunque un ostacolo per lo sviluppo generale. Si diffonde l’idea che per aumentare la produttività della pubblica amministrazione occorra seguire la stessa strada intrapresa dalle aziende, sperimentando strumenti tipici del privato come metodi della contabilità analitica, indicatori di spesa che monitorizzino le risorse investite per poter correggere disfunzioni ed errori in itinere e strategie di direzione per obiettivi accompagnati da valutazioni che attribuiscano a ciascuno la responsabilità di un

budget

(Girotti, 2007). Così la managerializzazione viene intesa come insieme di misure e tecniche organizzative che si diffondono dall’impresa per investire il campo della pubblica amministrazione, considerata strumento arretrato rispetto al mondo imprenditoriale all’avanguardia e avanzato: da questo ultimo punto di vista il

new pubblic management

si presenta come un set coordinato di concetti e tecniche che è possibile trasferire alla p.a. La managerializzazione della pubblica amministrazione si impone, inoltre, come ideologia, come mito razionale che concretamente si traduce in processi di privatizzazione, liberalizzazione, esternalizzazione, creazione di relazioni di quasi mercato. Nel discorso pubblico prevalgono pratiche discorsive basate sui concetti di efficienza, produttività, competitività, responsabilità che contribuiscono da un lato a indebolire la fiducia nei confronti di un intervento equo ed efficace da parte della pubblica amministrazione tradizionale e dall’altro a sottrarre spazio per alternative dissimili poiché queste idee diventano di senso comune, condivise da tutti al di là delle questioni tecniche (Battistelli, 2002). Vocaboli come

empowerment

e decentramento prevalgono nelle riforme che si rifanno

al

new public management

, mentre assumono una connotazione negativa

quelli come gerarchia e gerarchico (Pollit, Bouckaert, 2002). E infine la managerializzazione si attesta anche a livello di contesto generale come politica pubblica.

A fronte della crisi fiscale ed economica si afferma la convinzione, sostenuta in primo luogo all’interno delle comunità di professionisti, che il contenimento

dei costi e la riduzione della spesa possano essere raggiunti soltanto attraverso un nuovo stile di

management

pubblico basato sulla valutazione continua dei processi e il monitoraggio delle prestazioni (Girotti, 2007). Così dalla sfera dei tecnici si passa all’arena politica48 e paesi come Inghilterra, ma anche Nuova Zelanda, Australia e Stati Uniti adottano queste formule nel disegno riorganizzativo della pubblica amministrazione (Barzelay, 2001; Pollit, Bouckaert, 2002). Ovviamente tale strategia ha in alcuni paesi anche un diverso risvolto che è quello di ridurre e ridimensionare fortemente, secondo una prospettiva neoliberale o conservatrice, il settore pubblico. Non è solo questo orientamento, però, che spinge verso una nuova configurazione e gestione della pubblica amministrazione. L’attenzione di alcuni governi è, infatti, quella sì di ridurre i costi e tagliare le spese e la tassazione, ma soprattutto quella legata allo spreco e alle inefficienze, mentre l’obiettivo finale è quello di garantire standard adeguati di

welfare

. Naturalmente la situazione si differenzia a seconda dei contesti nazionali ed é facile constatare che a dispetto di quanto andavano affermando i rappresentanti di quella critica anglo-americana-oceanica alla burocrazia tradizionale49, a fronte di uno zoccolo duro di provvedimenti, principi e azioni qualificanti comuni, ogni paese adotta in maniera differente il paradigma del

new public management.

Il mondo anglossassone, ad esempio, da più spazio al mercato attraverso una estesa manovra di privatizzazioni e di esternalizzazioni finalizzata ad un cospicuo risparmio di risorse pubbliche. Secondo questa visione economicistica il principio della concorrenza introdotto nel settore pubblico non solo incrementerebbe l’efficienza, ma salvaguarderebbe anche la libertà del cittadino nelle sue spoglie di consumatore50. Nell’Europa continentale, invece, si accentuano i connotati relativi all’apertura dell’amministrazione a istanze di partecipazione della società civile, al decentramento organizzativo che

48 In realtà l’interesse degli Stati verso queste strategie amministrative, considerata la situazione

economica e sociale di crisi, è di molto precedente gli sforzi dell’accademia di razionalizzare il disegno e portarlo a unitarietà.

49 Osborne e Gabler in testa.

50 In questo caso ciò che in realtà andrebbe salvaguardato è la funzione di exit e non quella di voice del

coinvolge tutti i livelli istituzionali dallo Stato, alle regioni, agli enti locali e all’avvicinamento dei centri decisionali ai destinatari degli interventi, in un’ottica di sussidiarietà promossa a livello di Unione Europea. Dal lato degli interventi strutturali il

new public management

è a favore di un ridimensionamento degli apparati e di un cambiamento dell’organizzazione verso un modello divisionale, attento alla qualità dei “prodotti” e dei servizi erogati, passando attraverso la separazione tra funzione amministrativa e funzione politica. E’ forte cioè la spinta verso una depoliticizzazione dei processi di attuazione dei programmi governativi: da un lato dunque le funzioni di indirizzo, regolazione e controllo e dall’altro quelle amministrative e di gestione.

Un aspetto senz’altro positivo del paradigma del

new public management

è quello di aver colto il carattere processuale di ogni intervento di riorganizzazione con evidenti implicazioni da un lato per le nuove responsabilità dirigenziali (Girotti, 2007) e dall’altro per l’apertura

bottom – up

verso una serie di soggetti che vanno ad allargare le relazioni della pubblica amministrazione. Inoltre elementi interessanti, rispetto alla gestione burocratica del passato, anche se non privi di contraddizioni, sono l’attenzione verso una riprogettazione ex-novo che privilegia un’organizzazione essenziale, minima, snella51 finalizzata al raggiungimento della

mission

pubblica, l’idea di una pianificazione strategica degli obiettivi da ottenere in rapporto alle diverse istanze e l’idea di un processo di valutazione permanente della pubblica amministrazione.

Ma la rottura più grande con il passato si ha non tanto per l’adozione da parte del

new public management

di modelli imprenditoriali, quanto per la convinzione che anche la pubblica amministrazione, al pari del settore privato, debba ispirarsi al rendimento come criterio di legittimazione (Morisi, Lippi, 2001). Se nella burocrazia tradizionale la funzione amministrativa era legittimata ad eseguire la volontà politica, oggi si afferma che “la peculiarità

51 E’ l’idea che si oppone ai grandi apparati della burocrazia centrale del passato. Non tutti gli Stati hanno

però aderito a questa proposta del NPM. Per approfondimenti vedi Pollit C., Bouckaert G., (2002), La riforma del management pubblico, (edizione italiana a cura di Ongaro E.), Egea, Università Bocconi, Milano, p. 110.

dell’amministrazione risiede nella capacità di produrre un risultato congruente con le decisioni assunte” (Girotti, 2007). Non è più la subordinazione, la gerarchia che giustifica la separazione tra politica e amministrazione, ma una nuova responsabilità di tipo “contrattuale” se si vuole, nella scelta degli obiettivi operativi e delle modalità gestionali più efficaci e coerenti con le decisioni assunte 52.

Sul versante delle critiche al

new public management

ciò che, invece, viene discusso sul piano scientifico è soprattutto il forte orientamento prescrittivo da un lato e un interesse pressoché assoluto verso una visione dell’efficienza che rimane tutta interna all’amministrazione pubblica (Gualmini, 2003). Sul piano concreto le critiche riguardano gli effetti e le ricadute del

new public

management

sulla pubblica amministrazione quali un’elevata astrazione delle risoluzioni proposte, la difficile gestione delle numerosissime prescrizioni formulate dalle scienze del

management

nonché le possibili negative derive tecnocratiche nella gestione dei processi di riorganizzazione (Girotti, 2007). L’impianto teorico poi, oltre ad essere composito, molto pragmatico, scarsamente critico, meccanicistico e non proprio unitario darebbe luogo nel suo insieme a dissonanze e contraddizioni. Così accanto alle più aggiornate versioni della pianificazione strategica convivono logiche di razionalizzazione che ricordano tanto le prime teorie organizzativiste di stampo tayloristico, legate ad un approccio scientifico e allo stesso tempo miope (Gualmini, 2003). Sul piano sostanziale ciò che mancherebbe principalmente è proprio il riconoscimento dell’importanza attribuita alla capacità di

policy making

, di produzione di innovazione sociale attraverso una visione più ampia e integrata che ponga alle basi del cambiamento il raggiungimento di valori e interessi collettivi e pubblici e che coinvolga in un’ottica di tipo inclusivo anche i destinatari di queste politiche. Non solo dunque l’attenzione rivolta all’utente come consumatore o cliente ma come cittadino, che si configura per avere una sua capacità critica e di partecipazione alla progettazione delle risoluzioni poste

52 Per approfondire la tematica relativa alla contrattualizzazione della pubblica amministrazione e i suoi

dai problemi e non solo un’abilità di scelta tra diverse opzioni pre-configurate. Il ricorso ad una visione prettamente organizzativistica e manageriale, che si adopera per il funzionamento di una pubblica amministrazione attraverso meccanismi di tipo ingegneristico per risolvere problemi, appare dunque insufficiente.

Inoltre se le riforme che si rifanno al

new public management

sembrano accrescere parsimonia e efficienza non bisogna dimenticare che tali vantaggi potrebbero essere raggiunti “

a spese della garanzia di onestà, di una gestione

equa e della stabilità ed elasticità

” (Hood, 1991, p. 16). Non bisogna poi dimenticare che la modernizzazione implica sia guadagni che perdite e che dunque il nuovo modello che si sta imponendo non sarà in grado di risolvere tutti i problemi che hanno caratterizzato il passato. Senza contare che ogni paese per le proprie differenze interne e per le diverse culture amministrative attinenti ai singoli settori pubblici assume e applica, secondo proprie caratteristiche e esigenze, il

new public management

che in questo modo non si rivela quella ricetta globale che si era ipotizzato dovesse essere (Pollit, Bouckaert, 2002).

Dal punto di vista invece del modello di regolazione delle politiche pubbliche il

new public management

si caratterizza, come abbiamo visto, per essere

bottom-up

, rispetto ai modelli gerarchici fondati sul

government.

Tuttavia per ricalcare e fondarsi sui valori del mercato e sull’interesse privato, al contrario del modello comunitario di

governance

che, come abbiamo detto, si fonda invece sui valori di tipo fiduciario e comunitario.

Se dunque il coordinamento gerarchico è stato sostituito dal mercato o da meccanismi di quasi mercato e dalla contrattualizzazione, si sottolinea che anche nei paesi che più hanno applicato i principi del

new public management

si è ricorsi a meccanismi gerarchici di coordinamento o in alternativa a forme di pianificazione strategica vista la crescente specializzazione e frammentazione del panorama di riferimento e il bisogno di un maggiore sforzo di coordinamento per mantenere lo stesso livello di coerenza complessiva delle politiche e dei servizi (Pollit, Bouckaert, 2002). Anche di fronte a forme di

decentramento, tanto declamate dalla retorica corrente, il

new public

management

da una parte ha dato l’avvio a tali processi, dall’altra però ha rafforzato il potere delle autorità centrali inserendo, come abbiamo visto, meccanismi di controllo e valutazione, indicatori delle prestazioni e standard, in sostanza attribuendo alle strutture periferiche una responsabilità piuttosto annacquata.

2.7. La pubblica amministrazione in Italia tra riforme, cambiamento