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Merton, sottolineando l’aspetto cogente delle strutture e delle procedure amministrative sul comportamento degli individui, ha messo in luce il fatto che essi possano rimanere “imprigionati”, assuefatti da tali meccanismi e incapaci di cambiarli. Nell’organizzazione burocratica, da lui analizzata e criticata, prevarrebbe dunque la dimensione tecnica su quella morale e politica delle materie. Un tecnicismo esasperato che portato all’estreme conseguenze conduce ad accentuare e a cronicizzare gli aspetti legati al conflitto tra funzionari e pubblico, alla cristallizzazione del professionismo e dell’orgoglio del burocrate, che si trasforma in gestione privata di questioni che sono invece pubbliche11, ad un uso delle procedure amministrative (basti pensare al segreto d’ufficio) come strategie di autodifesa (Bifulco e de Leonardis, 1997).

Per Crozier invece la burocrazia è soprattutto amministrazione pubblica e i suoi studi verteranno sui grandi apparati amministrativi pubblici12 e sul rapporto che esiste tra questi, la società che cambia e il contesto culturale 13.

Rispetto all’analisi mertoniana Crozier non assumerà la concezione tipica ideale razionale di Weber, ma una accezione popolare di burocrazia:

“quando

diciamo «organizzazione» pensiamo facilmente a «burocrazia», cioè

inutili

complicazioni, standardizzazione costrittiva, soffocamento della personalità

” (Crozier, 1969 p. 3) e dunque una visione della burocrazia come ingranaggio lento, inutilmente complesso e inefficiente.

La prospettiva è quella di un apparato burocratico che si connota e si distingue per la sua rigidità, per il groviglio di regole e norme esistenti e per il suo orientamento, in definitiva, alla stasi. Un’amministrazione burocratica caratterizzata dalla frammentazione, che non giova al cambiamento, ma

11 La questione pubblica e dei fini pubblici e collettivi della burocrazia sarà ripresa in seguito nel III

capitolo dedicato più nello specifico alle pratiche e ai dispositivi di tipo partecipativo oltre che nella parte empirica.

12 Anche l’analisi condotta sul monopolio industriale parigino viene analizzata affrontando le questioni

burocratiche dell’organizzazione.

13 E in questo senso sul processo di razionalizzazione e burocratizzazione della società arriverà a

favorisce il consolidarsi di un ingessamento delle strutture , delle procedure e delle azioni dei soggetti coinvolti (Bifulco, 2002). Crozier, distinguendosi così dai funzionalisti post-weberiani, affermerà che l’incapacità di cambiare è una delle caratteristiche prioritarie e strutturali dell’amministrazione pubblica. L’assenza di cambiamento in questi apparati, secondo l’autore, deriverebbe da un’autoriproduzione del modello, da una perpetuazione della situazione dovuta ad un eccesso di regolamentazione e alla pratica di risolvere problematiche nuove, introducendo ulteriori prescrizioni legislative che irrigidendo ancora di più gli addetti nello svolgimento delle loro attività, impedirebbero alla macchina di correggersi e di adattarsi alle novità.

Le burocrazie cioè non sarebbero dotate di strumenti per essere più flessibili ed adattarsi alle mutate condizioni del contesto. Da qui deriverebbe un’organizzazione che ricerca l’equilibrio e la funzionalità tramite situazioni statiche e l’adozione di comportamenti che si conformano alle regole, che si traducono in circoli viziosi. Tali comportamenti non sono considerati, però, alla stregua delle conseguenze inattese di mertoniana memoria, ma sono condizioni di fondo che la burocrazia accetta e anzi ricerca quotidianamente per mantenersi tale. Quelle che per i funzionalisti, cioè, apparivano come conseguenze inattese e dunque eccezionali della struttura amministrativa, considerata comunque razionale rispetto allo scopo, per Crozier non sono altro che caratteristiche basilari che connotano stabilmente la burocrazia, garantendone il funzionamento.

La pubblica amministrazione non sapendo correggere i propri errori adotterebbe soluzioni, che conducono ad un ulteriore irrigidimento delle norme e ad alimentare ulteriormente i circoli viziosi:

“ […] l’equilibrio di un sistema

organizzativo burocratico si basa sull’esistenza di una serie di circoli viziosi

relativamente stabili, che si sviluppano a partire dal clima di impersonalità e di

centralizzazione”

(Crozier, 1969 p. 215). Le misure adottate per superare l’inefficienza prodottasi si trasformerebbero in un boomerang creando esattamente l’effetto contrario:

“… le difficoltà, i cattivi risultati e le frustrazioni

[…] finiscono per portare allo sviluppo di nuove pressioni e, al rafforzamento

del clima di impersonalità e di centralizzazione che è all’origine di questi

risultati”

(Crozier, 1969 p. 215). Il cambiamento, infatti, richiederebbe una maggiore condivisione del processo decisionale, una maggiore responsabilizzazione ai livelli inferiori, una più ampia discrezionalità e autonomia nello svolgimento dei compiti:

“Le trasformazioni necessarie

possono essere graduali e quasi costanti, se i membri attivi dell’organizzazione,

avendo diretta esperienza della necessità delle innovazioni riescono a introdurle

o a ottenere che le autorità gerarchiche competenti le introducano. Ma […] le

organizzazioni «burocratiche» non lasciano iniziative del genere ai livelli

inferiori, e allontanano i centri di decisione dai difficili contatti con i problemi

concreti”

(Crozier, 1969, p. 218). Si affermerebbe secondo Crozier una “cultura

antitetica al mutamento” contraria al progresso e all’innovazione (Bonazzi, 2002a) che la burocrazia adotterebbe per cercare di mantenere l’equilibrio e la giustizia tra le diverse parti del sistema.

Quando il rapporto con la società che cambia diventa stringente alla pubblica amministrazione rimane un’unica drastica soluzione di adattamento che è quella rappresentata dalle crisi vissute come sussulti improvvisi, come momenti ad alta partecipazione emotiva che aprono la strada a nuovi modelli di azione e di potere:

“Il mutamento non può avvenire gradualmente e a pezzi e

bocconi. Per operare un cambiamento si aspetterà che una disfunzione sia

diventata tanto grave da minacciare la vita stessa dell’organizzazione”

(Crozier, 1969 p. 218). La burocrazia così riformata riprenderà il nuovo iter quotidiano fatto di routine e di conformità alle regole e di lunghi periodi di stabilità che si susseguiranno a brevi periodi di crisi e mutamento, per la mancanza di mezzi idonei che permettano un graduale adattamento della pubblica amministrazione nei confronti dell’ambiente: “

Il ritmo di fondo che caratterizza

una organizzazione burocratica, è dunque l’alternanza di lunghi periodi di

stabilità e di brevi periodi di crisi e mutamento

” (Crozier, 1969 p. 218).

Di fronte alle richieste della società che si complessifica14 la via indicata anche da Crozier per la pubblica amministrazione è quella della maggiore razionalizzazione, ma al contrario di Weber, ciò significa che l’organizzazione amministrativa deve deburocratizzarsi ossia acquisire quelle caratteristiche di flessibilità, duttilità e autocorrezione dall’interno. Si delinea così un nuovo modello di burocrazia pubblica che aprirà a scenari che se non condurranno sempre a scelte felici per l’efficacia e l’aspetto pubblico dell’azione amministrativa e delle sue politiche15, tuttavia rappresentano tentativi di distaccarsi dal modello burocratico tradizionale.

Più che alle virtù e alle capacità della struttura, Crozier punterà, però, sull’azione imprenditiva del soggetto per modificare l’assetto statale, altrimenti teso al consolidamento della routine e alla chiusura. Uno dei punti principali dell’analisi di Crozier, infatti, è senz’altro quella distanza che si crea tra organizzazione e membri e le strategie da questi ultimi adottate per aggirare o frantumare le prescrizioni formali. Per comprendere allora i meccanismi di funzionamento degli apparati burocratici occorre rifarsi non soltanto alle strutture e alle procedure istituzionalizzate, ma ai soggetti individuali e collettivi che adottano strategie nel relazionarsi quotidiano, all’interno del sistema di regole vigente. E’ il tema del potere come controllo dei margini di incertezza che Crozier studia all’interno del monopolio dei tabacchi e nell’istituto contabile parigino. Crozier affida al soggetto la capacità di ragionare e di esprimere le proprie idee:

“In una organizzazione l'uomo non può essere considerato come

una semplice mano, come supponeva implicitamente lo schema tayloriano, e

nemmeno una mano e un cuore, come sostenevano i fautori del movimento

delle relazioni umane. L'uno e gli altri dimenticavano che si tratta anche e

soprattutto di una mente, cioè di una libertà, ovvero, in termini più concreti, di

un agente autonomo capace di calcolo e manipolazione, che si adatta e inventa

14 A questo proposito Crozier parla delle tecnologie informatiche e della crescita culturale della società

civile come di fattori nuovi di cui occorre tenere conto.

15 Ci riferiamo in questo caso ai processi di aziendalizzazione e di privatizzazione che hanno riguardato la

pubblica amministrazione a partire dagli anni ’80 riformando la stessa in direzione di interventi di tipo privatistico, che se hanno avuto indubbiamente il merito di tentare nuove strade introducendo concetti di tipo diverso, in realtà hanno rappresentato interventi che sono rimasti nell’alveo del paradigma dell’azione razionale seppur limitata.

in funzione delle circostanze e dei movimenti dei suoi partner

” (Crozier e Friedberg, 1977) e sono proprio le strategie adottate che influenzano e condizionano il sistema burocratico. Ciò che interessa a Crozier non è tanto la posta in gioco tra gli attori, che è ben poca cosa, ma l’individuazione delle pieghe del sistema, lasciate in ombra dai regolamenti e l’analisi di come le strategie degli attori si annidino in questi vuoti, traendone spazi di autonomia e discrezionalità. Ed è proprio in questi rapporti tra le logiche di azione dei soggetti e la struttura che vincola l’azione, che si gioca il funzionamento della burocrazia. D’altra parte mentre per Weber la razionalità e l’efficienza della burocrazia si basava su una divisione del lavoro “scientifica”, Crozier sottolinea la negatività dell’imposizione gerarchica dei compiti ai livelli inferiori dell’organizzazione, che si sentono per questo esclusi e lontani da quella razionalità che, secondo il modello classico di burocrazia, dovrebbe permeare tutta l’organizzazione. E’ da tale situazione che si sviluppano comportamenti di resistenza che si fondano su razionalità che non coincidono con quella generale della struttura organizzativa, ma con le tante razionalità che sono proprie delle diverse culture interne dei gruppi. Ed è Crozier il primo a parlare di razionalità al plurale all’interno dell’organizzazione: se i soggetti sono comunque attori razionali, a differenza di Weber, Crozier sottolinea le diverse razionalità private legate agli interessi personali degli individui, in netto contrasto con quella ufficiale dell’organizzazione (Bonazzi, 2002a; Maranini in Crozier, 1969). Da questo punto di vista si comprende anche che il mutamento non dipende mai dall’innovazione tecnica ma è un fatto politico che si verifica soltanto nel momento in cui si va oltre la solidarietà del gruppo (Maranini in Crozier, 1969).

Se per Weber la tendenza alla burocratizzazione e quella alla razionalizzazione coincidono, la visione di Crozier nei confronti di questi processi è duplice: da un lato Weber è un convinto sostenitore della burocrazia come mezzo efficiente contro i privilegi di ceto e ascrittivi del passato; dall’altro ne individua i pericoli nella tendenza alla spersonalizzazione dei rapporti e nella distruzione del tessuto morale della comunità, del senso dell’interazione. Per Crozier la burocratizzazione è sinonimo di perdita di efficacia di fronte al

consolidarsi di stratificazioni corporativistiche e si connota per essere il contrario della razionalizzazione delle attività cooperative di Weber. Il fenomeno burocratico si ridurrebbe perciò ad un meccanismo lento e pesante, ad una “manifestazione patologica dei sistemi sociali”, ad un susseguirsi di vuoti formalismi, di blocchi dei flussi comunicativi e informativi, di ostacoli alla collaborazione che sono tutto fuorché esempi di razionalità tecnica (Maranini in Crozier, 1969). Se dunque Weber individuava i possibili rischi della burocrazia nella spersonalizzazione e nella disumanizzazione dei rapporti che poteva facilmente condurre all’adozione di comportamenti non etici e lontani dai valori, Crozier non vede tale pericolosità negli apparati, ma semmai la loro meschinità e piccineria, che si accompagna alla mancanza di carisma, di fascino, alla loro rigidità e pignoleria, accanto a insperate nicchie di potere potenzialmente sfruttabili dagli individui. In questa cornice organizzativa Crozier fa emergere il carattere strategico di ogni azione adottata dai soggetti. Così se in Merton il burocrate adottava passivamente comportamenti ritualistici, per Crozier si tratta di scelte tattiche per difendere la propria libertà d’azione, la propria micro-sfera di influenza. Ma non esiste solo il ritualismo: una delle strategie maggiormente adottate intenzionalmente dai soggetti è la non partecipazione, la disaffezione, il distacco, l’indifferenza nei confronti dell’azione amministrativa. Tutelare la propria indipendenza secondo i soggetti, in molti casi, significa non farsi assorbire e coinvolgere, rinunciare alla responsabilità. La causa di questo comportamento risiederebbe, secondo l’autore, in un insieme di elementi che caratterizzano la pubblica amministrazione che riguardano:

“[…] l’ampiezza dello sviluppo delle norme impersonali, la

centralizzazione delle decisioni; l’isolamento di ciascuno strato o categoria

gerarchica e il concomitante accrescimento della pressione del gruppo

sull’individuo; lo sviluppo di rapporti di potere paralleli, intorno alle

zone

residue di incertezza.”

(Crozier, 1969, p. 209).

1.5. Dimensione istituzionale e cambiamento: l’approccio