Nonostante il modello manageriale stia attualmente ispirando la riorganizzazione di molti settori della pubblica amministrazione e il ridisegno della stessa funzione pubblica in diversi paesi, non vi è dubbio che stiano prendendo piede numerose esperienze di tipo partecipativo soprattutto in certi ambiti (locale) e per certe materie di politiche pubbliche, come ad esempio la riqualificazione urbana, le politiche di welfare, l’ambito culturale, lo sviluppo locale ecc. (Bifulco, de Leonardis, 2002). Diventa interessante allora interrogarsi su quali siano i principali cambiamenti che hanno favorito questo mutamento negli stili di regolazione delle politiche pubbliche spingendo la pubblica amministrazione ad adottare in modo sempre più massiccio questi modelli di tipo inclusivo anziché altri. Prima di tutto, dopo la crisi internazionale degli anni ’70 si assiste a un’interruzione del ciclo di sviluppo che si era avviato dopo la seconda guerra mondiale che sfocia nella crisi del
welfare state
nella sua configurazione dello Stato socialekeynesiano
di tipo universalistico. La crisi delwelfare state
si manifesta secondo tre nuovi scenari: come crisi fiscale, di efficacia e di equità (Girotti, 2007).La prima, dovuta ad una sproporzione tra l’aumentata e inaspettata domanda di beni e servizi da parte dei cittadini, dovuta all’innalzamento dei rischi e delle insicurezze sociali ed economiche, e i crescenti costi per sostenerla. Si tratta di una crisi di tipo finanziario, che ha privato lo Stato di molte delle sue capacità di governo e che ha portato inevitabilmente ad una riduzione della spesa pubblica e alla ricerca di strade alternative per realizzare un risparmio economico. Da questa situazione si desume anche l’interesse crescente verso soluzioni privatistiche e individualistiche oltre che il
riconoscimento dell’economia e del mercato come meccanismo superiore di allocazione delle risorse (Pierre, 2000).
La seconda crisi è relativa al rendimento e all’efficacia delle risposte di
welfare
che non riescono né a eliminare le vecchie povertà e a contenere le nuove, né a produrre servizi adeguati alle aspettative e ai bisogni dei cittadini. Tale crisi ha comportato una perdita di legittimità del modello amministrativo centralizzato e della struttura decisionaletop-down,
dando luogo a un’esternalizzazione e a un affidamento di prestazioni alla sfera privataprofit
e nonprofit
. La diretta conseguenza di questa crisi è stata anche l’acutizzarsi di sintomi di insoddisfazione e la perdita di fiducia dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione considerata inadeguata a dare risposte specifiche e concrete. Infine la crisi di equità che riguarda le difficoltà legate all’equa redistribuzione delle risorse che hanno contribuito a minare ulteriormente la legittimità degli istituti pubblici diwelfare
.La crisi del
welfare state
si riverbera senza dubbio sul ripensamento del ruolo dello Stato centrale e della sua funzione pubblica in direzione di un risparmio di risorse pubbliche da un lato e dall’altro di un ampliamento di nuove forme di responsabilità che coinvolgono la società civile e il mercato, che cominciano ad erodere spazi decisionali, una volta esclusivo appannaggio dello Stato centrale. Naturalmente le soluzioni adottate dai vari paesi differiscono a seconda dell’affermarsi di diverse logiche da quella neoliberista nel mondo anglosassone (gli Usa con Reagan e la Gran Bretagna con il governo Thatcher della fine degli anni ’70 e degli anni ‘80) dove la politica economica ha ridotto al minimo l’influenza dello Stato41, delegando al mercato con i suoi meccanismi competitivi molte funzioni (Pierre, 2000), fino alla risposta dei paesi europei continentali che hanno tentato la via delwelfare mix
owelfare community
ovvero forme di cooperazione tra Stato, mercato e terzo settore (Girotti, 2007).
41 Come ci ricorda Pierre (2000, p. 1) lo Stato e il suo modo di operare sono stati via via considerati da
questo tipo di politica non una soluzione ai problemi quanto piuttosto la fonte stessa di parecchi problemi. Borghi (2006) sottolinea come dal punto di vista antropologico la conseguenza del disegno societario voluto dal conservatorismo inglese di quegli anni sia stata “il drastico impoverimento dello statuto sociale del cittadino e la sua progressiva riduzione a quello di consumatore”.
Un altro fattore importante che ha favorito cambiamenti negli stili di regolazione, andando nel senso di una maggiore integrazione e cooperazione, è stato senza dubbio l’influenza e l’orientamento espresso da grandi soggetti trasnazionali nei confronti degli Stati nazione: ci riferiamo qui all’OCSE piuttosto che all’Unione Europea che, in un panorama di scarsità di risorse e di crescente complessità dei problemi, hanno esercitato pressioni sia di tipo cognitivo che normativo, spingendo i diversi paesi ad adottare isomorficamente strumentazioni e regole inedite orientate alla
governance
e al coinvolgimento di attori esterni (D’Albergo, 2002). L’obiettivo che si vuole raggiungere con l’introduzione di regolazioni di tipo post burocratico delle politiche pubbliche è quello di “ridurre l’incertezza dei processi di decisione e implementazione. [….] rendere i programmi pubblici non solo meno costosi e più efficaci, ma anche più governabili…” (D’Albergo, 2002, p.72) e per fare ciò la strada che viene indicata è quella che va verso la sperimentazione di “tecnologie” decisionali e gestionali più idonee di quelle adottate durante l’esperienza delwelfare state
.Non bisogna dimenticare infine che all’evoluzione dello Stato amministrativo si affianca il cambiamento che coinvolge le politiche pubbliche che da vari anni sono alla ricerca di una loro maggiore legittimazione, effettività e pertinenza rispetto ai problemi che sono chiamate a risolvere: così mentre l’evoluzione delle politiche accompagna quella dell’amministrazione dello Stato (Vino, 2003) l’importanza e il ruolo della funzione pubblica e dei beni pubblici socialmente richiesti incide sulle politiche nei processi di
governance
(Donolo, 2006).Gli elementi che influenzano questo rapporto, il futuro delle politiche pubbliche e il cambiamento di ruolo dello Stato e della funzione pubblica sono mutamenti che condizionano la scena mondiale. Si tratta in primo luogo del processo di globalizzazione che comporta e ha comportato l’erosione delle competenze e dell’autonomia che gli Stati nazionali avevano ereditato dalla modernità. Della tendenza alla mercatizzazione ovvero a quei processi, appresi e imitati dalla sfera economica, di liberalizzazione, privatizzazione e mercificazione della funzione pubblica e della creazione di mercati privati
laddove una volta si trattava di beni erogati dal pubblico42. I processi di europeizzazione che come abbiamo accennato in precedenza hanno inserito le amministrazioni nazionali in reti istituzionali multilivello e dentro programmi complessi e integrati dai vincoli ben precisi. Occorre infine aggiungere la complessificazione delle materie di politica pubblica e la spinta alla sussidiarietà che va creando lungo l’asse centro periferia una varietà istituzionale attraverso la creazione di modelli ibridi, intrecci e reti che coinvolgono una molteplicità di attori diversi.
In questo processo di trasformazione che connette strettamente l’evoluzione delle politiche pubbliche con la necessità di innovazione della pubblica amministrazione, le riduzioni e gli ampliamenti che stanno subendo le prime sono gli stessi che vivono anche le attività di planning pubblico. Le politiche che richiedono, infatti, una maggiore integrazione per rispondere all’aumentata complessificazione della società e dei bisogni si stanno trasformando per diventare sempre più articolate, multiscopo, multilivello e in grado di incorporare interazioni sociali e pratiche di tipo inclusivo. Ciò che cambia è la loro natura e la loro qualità: esse saranno sempre più integrate, complesse, interdipendenti e globali, ma anche rivolte alla valorizzazione della capacità dei soggetti, all’
enactment
, sostenibili e basate sul principio della sussidiarietà (Donolo, 2006).E’ nella stessa direzione che sta mutando anche la funzione pubblica. Essa dunque non sembra decedere ma semplicemente rimuovere e annullare la vecchia concezione di Stato amministrativo centralizzatore, dirigistico e burocratico (Donolo, 2006). Più che di crisi quindi della funzione pubblica si dovrebbe forse parlare di evoluzione della stessa. Nelle sue forme classiche del ‘900 viene, infatti, sostituita da una costellazione di organismi differenziati per tipo e funzione, fortemente intrecciati con attori economici, sociali e tecnico- scientifici (Bobbio, 1996; Donolo, 2006). Da una burocrazia di impianto unitario, vanno proliferando forme organizzative post burocratiche e organizzazioni a rete mentre si moltiplicano i livelli di
governance
che fanno
spazio a pratiche di intermediazione, ascolto, condivisione con gli attori della società. L’idea che sottostà a tale disegno è che le interrelazioni, le strategie degli attori possano portare allo sviluppo di forme partecipative aperte, orientate alla cooperazione e alla creazione di scambi vantaggiosi per i partecipanti. Pur partendo da dotazioni diverse i partecipanti riconoscendosi a vicenda, accettando le regole del confronto e agendo in una situazione se non di collaborazione almeno di competizione regolata, potrebbero dare vita a un gioco comune a somma positiva (Moreau Defarges, 2006). D’altra parte é facile intuire che in una società altamente complessa sul terreno dei processi, caratterizzata da una crescente interdipendenza dei livelli di governo e dall’emergere di una pluralità di attori, la via autoritaria e verticale del comando oltre che poco efficace, risulta davvero poco percorribile (Girotti, 2007).
In un’epoca di globalizzazione la soluzione dei problemi non è dunque necessariamente ascritta a modelli regolativi in cui predomini il paradigma del mercato: al contrario quanto più vi è incertezza tanto più vi sarà bisogno, infatti, di regolazioni, di contrattazioni, di relazioni, di negoziazioni. E ciò che spicca nel nuovo panorama è proprio la forte interdipendenza tra i soggetti coinvolti nella rete, l’intensità e la ripetizione delle relazioni che vanno nella direzione di costruire mappe condivise, linguaggi e codici comuni oltre che organismi nuovi che si mettano al servizio di queste nuove opportunità e necessità. In questa nuova configurazione dello Stato a rete emergono dunque nuove strutture di governo,
network
interorganizzativi in cui l’amministrazione pubblica, esplicata di volta in volta da livelli diversi di governo, assume nuovi ruoli e funzioni a seconda dei casi, delle capacità e del contesto attoriale. Comportandosi cioè come un attore tra gli altri in situazioni in cui prevale l’autoregolazione (Gualmini, 2003), è il caso di quelli che Castel (2003, p. 48) chiama “regimi pubblici per difetto”. Come un attore terzo,super
partes
che coordina, orienta, valorizza e sostiene un certo modello digovernance
basato sull’inclusione dei soggetti, su metodi deliberativi (Pellizzoni, 2005) e sull’incoraggiamento e lo sviluppo del potenziale di auto-organizzazione dellasocietà (Bifulco, de Leonardis, 2005) o più semplicemente deresponsabilizzandosi rispetto alla funzione pubblica e occupandosi solamente di mettere in scena rituali procedurali e burocratici come formalizzazione di norme su decisioni già prese in altri contesti, ecc. (Bifulco, de Leonardis, 2002). Ma procediamo con ordine analizzando più da vicino il concetto stesso di