• Non ci sono risultati.

Il buen vivir e la valorizzazione della diversità culturale

Se, come detto al principio, il rispetto e l’ascolto della natura rappre-senta una parte importante dei principi attorno ai quali l’etica societaria del buen vivir si sviluppa, uguale importanza e attenzione viene rivolta all’insieme delle diversità culturali che le società dei paesi in questione inglobano. Nell’attuale contesto globalizzato, infatti, la presenza di più

culture e di diverse rappresentanze nazionali in un medesimo territorio non è certo fattore inconsueto. I flussi migratori internazionali in questo hanno giocato nei secoli un ruolo fondamentale: essi, infatti, non solo hanno rappresentato una costante per tutte le popolazioni ma, in tempi più recenti, hanno anche costituito il propulsore, la vera forza motrice della globalizzazione (Castels, Miller, 2012: 25). Favorire gli spostamen-ti su di un territorio significa contemporaneamente contribuire a creare delle società in cui elementi diversi si incontrano, si mescolano a quel-li locaquel-li preesistenti e producono nuovi «universi simboquel-lici» (Cancquel-lini, 2001: 14). Ad arricchire questo panorama hanno contribuito, inoltre, le varie campagne di colonizzazione europee (britanniche, francesi, spagno-le e portoghesi su tutte) che dall’età moderna in avanti hanno influenzato l’evolversi della storia di numerosi paesi ed etnie del cosiddetto nuovo mondo.

Volgendo l’attenzione all’eterogeneità culturale di cui una popolazio-ne può essere manifesto, il contesto latinoamericano appare certamen-te un certamen-territorio privilegiato in virtù del suo passato e delle vicissitudini storiche che lo hanno attraversato. Canclini a riguardo, in riferimento alla condizione dell’America Latina, parla di heterogeneidad cultural

mul-titemporal (Canclini in Mialet, 2000: 134). Per l’autore è questa

un’af-fermazione particolarmente esaustiva in quanto pone in evidenza come l’eterogeneità in questi luoghi non sia solo un fattore di classe sociale, etnia o gruppi culturali ma esprime qualcosa di più. Si tratta, infatti, di una coesistenza di gruppi sociali portatori di elementi e storie culturali differenti. Questi stakeholder culturali partecipano tutti alla contempo-raneità, seppur con livelli di coinvolgimento differenti, rimanendo con-temporaneamente evidente manifesto di epoche, tradizioni culturali, usi e costumi differenti. Queste “diverse temporalità” (ibid.) possono cer-tamente coesistere, adeguandosi l’una all’altra; per l’autore perché ciò

accada, appare importante sottolineare come non si tratti di una sempli-ce convivenza tra diversi gruppi culturali, quanto del riconoscimento e della valorizzazione dell’esistenza di gruppi con un’identità e una storia differenti. Ciò significa che nel processo di studio e analisi di queste di-namiche è necessario identificare l’eterogeneità diacronica che in questi territori ha sedimentato nel corso dei secoli. Considerando valida questa impostazione lo stesso Canclini (ibid.: 135 s.) afferma che «in America Latina i progetti moderni, anche al costo di grandi ingiustizie, disugua-glianze e meccanismi di marginalizzazione, hanno perseguito l’obiettivo di raggiungere un elevato livello di integrazione. Questo atteggiamento, di contro, ha contribuito a porre in secondo piano l’aspetto dell’etero-geneità, sublimandola in un progetto forzato di integrazione nazionale, atteggiamento che in qualche modo si è ripercosso sui cosiddetti studi culturali in America Latina. A seguito di ciò, mi pare che la diversità venga più che altro considerata come parte della nazione. Ne consegue che è apparso evidente come la diversità di etnie, di gruppi e sottoculture potesse acquisire maggiore senso se concepita come parte dei progetti nazionali e come diretta conseguenza delle contraddizioni imposte dalla modernità e non semplicemente come singole rivendicazioni isolate di ciascun gruppo etnico».

Come afferma Lee (2004), già al termine del XIX secolo si rende evi-dente il fallimento dei programmi di colonizzazione di stampo europeo messi in atto nei secoli precedenti. Nel corso dell’Ottocento, mentre l’Europa intera vive una fase di forte sviluppo economico e industria-le, i paesi latinoamericani, di contro, non tengono il passo di queste in-novazioni, indugiando in un evidente stato di arretratezza economica e produttiva rispetto al vecchio continente. Questa situazione pone nuove questioni e nuove problematiche al contesto latinoamericano che mol-to hanno a che fare con la matrice identitaria di questi popoli. Se da un lato, l’identità coloniale è sempre stata vissuta come una imposizione della Spagna imperiale che i latinoamericani spesso hanno mal tollerato, dall’altro l’adozione di una mentalità liberale è apparsa una strada che i locali desideravano percorrere per porsi al passo con i tempi del mondo “civilizzato”. Si trattava, in un certo senso, di un avvicendarsi al timo-ne della colonizzatore: il modello spagnolo veniva sostituito da quello europeo. Secondo l’intellettuale messicano Leopoldo Zea (in Lee, 2004:

Donatella Greco 143 142 Il rispetto della natura e delle specificità culturali

92), infatti, «il vecchio ordine coloniale è stato distrutto ma dalla sua distruzione non è nata nessuna naturale contropartita». Questa afferma-zione lascia intendere come, dopo essersi affrancati dal proprio passato coloniale, le popolazioni ispanoamericane abbiano dovuto cominciare a difendersi dall’imperare del modello europeo il quale appariva profon-damente inadatto al contesto locale. Lo scrittore cubano José Martí (in Lee, 2004: 92), a tal proposito, ha parlato opportunamente di un cambio

di servidumbre ponendo in evidenza come, dal vecchio dominio

colonia-le, l’America Latina rischiasse di passare sotto l’egida di un altro potere esterno, identificabile con i principi e diktat socio-economici provenienti dal sistema occidentale. Ciò pone in evidenza come, a fronte dei cambia-menti socio-economici occorsi negli anni, il recupero di una dimensione locale dei valori e degli stili di vita venisse inteso come un’esigenza im-prescindibile per le popolazioni locali. Ne consegue che la posizione di Martí, seppur cronologicamente antecedente161, e il pensiero di Canclini temporalmente più recente, appaiono collegabili con i principi di rispet-to e valorizzazione delle specificità e delle diversità culturali espressi dal

buen vivir.

Nel dettaglio, la prospettiva di Martí si pone come una reazione con-tro il positivismo e i principi di modernità dei paesi sviluppati, condan-nando il pragmatismo materialista del progresso occidentale e riaffer-mando l’importanza dei valori spirituali locali. Il saggio di Martí a cui si fa riferimento in questa sede è Nuestra América, scritto e pubblicato nel 1891 in Messico. Uno dei principali fili conduttori della produzione filo-sofico letteraria dell’autore cubano è certamente rappresentato dall’ana-lisi e dallo studio dell’America meticcia e dell’impatto culturale di questa sul contesto sociale locale. Martí vive e opera nella seconda metà del XIX secolo in un momento storico in cui le neonate repubbliche latinoame-ricane erano impegnante nell’emancipazione e nel consolidamento della loro indipendenza dal regime coloniale iberico. Nuestra América è infatti una metafora, espressione non solo di un identità geografica del paese, ma anche evidenza della percezione relativa alla presenza di una

duali-1 Cronologicamente, l’operato di Martí si colloca negli anni in cui le due ultime colonie spagnole Cuba e Puerto Rico erano impegnate nella conquista dell’indipendenza av-venuta nel 1898 a seguito delle scoppio della guerra combattuta tra Spagna e Stati Uniti.

tà convivente nel continente latinoamericano. Tale impostazione porta Martí ad affermare che esistano due Americhe. La prima è appunto la

nuestra tierra, quella a cui visceralmente i propri abitanti si sentono

lega-ti, percependo un sentimento di appartenenza e la presenza di un legame ancestrale con essa, identificabile con l’animo di un popolo e il suo modo di agire e vivere nel mondo, esprimendo le proprie radici e la propria costruzione storica (Streck, 2008). A questa si affianca otra América, ov-vero quella che Martí indica come esito dei lunghi anni di colonizzazione e che rischiava di assoggettarsi ad un nuovo dominio coloniale (quello americano).

La proposta teorica di Martí, pur essendo stata teorizzata in un conte-sto conte-storico e politico peculiare ed estremamente connotato, è innovativa e interessante nel panorama degli studi a tal riguardo poiché compie un passo ulteriore nell’analisi del fenomeno. Riaffermando la posizione di Simón Bolívar, Martí considera che l’unico modo per il popolo latino-americano di sfuggire a nuove dipendenze e ritrovare la propria unità è quello di riconoscere la condizione ibrida dell’America Latina, tenuta insieme dalla componente spagnola ereditata dagli anni di colonizzazio-ne. Si tratta di un passo significativo, specie se compiuto a seguito di un periodo storico che va dagli anni ‘50 del XIX secolo fino al principio degli anni ‘90.

Come segnala tra gli altri Lewis (1965), c’è stato un tempo non troppo lontano in cui l’economia dello sviluppo identificava la struttura duale di molti paesi che componevano la regione latinoamericana come la princi-pale causa del sottosviluppo economico di questi territori. Nel complesso del continente latinoamericano, le economie dei paesi seguono percorsi differenti, esprimendo diversi livelli di maturità del loro ciclo economico/ produttivo. Accade così, seguendo la prospettiva degli stadi di sviluppo di Rostow (1962) che all’interno di un sistema paese possano convivere settori economici la cui condizione è del tutto assimilabile a ciò che l’au-tore definisce come take off, ovvero fase cruciale del decollo dell’econo-mia coincidente con la vera e propria rivoluzione industriale. Questi stadi più sviluppati dell’economia coesistono con altri settori, il cui potenziale di sviluppo appare più lento e complessivamente più arretrato rispetto ad altri. In questi segmenti, la depressione del sistema e la maggiore lentezza dei meccanismi di crescita vengono inevitabilmente collegati con la

pre-senza dell’elemento etnico, ciò che abitualmente in America Latina viene identificato come lo indigena, e di conseguenza assimilato ad uno stato di arretratezza e sottosviluppo. Al contrario, i settori che vivono più in-tensamente la fase del decollo dell’economia si tende, in termini di valori e meccanismi economici e di produzione, ad identificarli con il contesto occidentale, ponendo così indirettamente in evidenza come teoricamente il modello economico produttivo europeo fosse la strada maestra verso lo sviluppo. Ne consegue che, come segnala Solo de Zaldívar (2013), l’alte-rità culturale in quanto espressione della diversità dei popoli, diventa un ostacolo, una barriera alla modernizzazione. Di conseguenza, affinchè il ciclo evolutivo dello sviluppo possa compiersi in modo omogeneo in tutti i settori, la componente locale del paese deve essere sacrificata. Questo atteggiamento, unito alla frammentazione e alla polarizzazione indotta dai meccanismi della globalizzazione genera disequilibri sulla struttura economica, sociale e culturale dei paesi, elementi negli anni resi sempre più evidenti e acuti nel contesto latinoamericano (Mantecón, 1993).

Riconoscere essenzialmente la condizione mestiza dell’America Lati-na come uLati-na delle peculiarità del contesto locale, conduce ad elevare quest’ultima a chiave di volta dell’identità di questi luoghi, affermandone l’importanza rispetto alla costruzione identitaria e opponendosi, nel con-tempo, alla visione eurocentrica imperante in quegli anni che vedeva la mescolanza delle razze come elemento degradante per la civiltà. Si tratta, dunque, secondo quanto afferma Abellán (1998: 155), di propendere per una “riconciliazione storica” con il passato, funzionale ad ottenere un presente più sereno e consapevole e costruire un futuro di benessere ed equità, fondato sul riconoscere e tutelare le specificità locali. Canclini, in-vece, in un’ipotetica ottica di continuità con le posizioni di Martí, ferma la sua attenzione sulla diversità considerata nel conteso latinoamerica-no come parte di una nazione, oltre che a rappresentanza di una chiara presa di coscienza relativa al passato e al presente di un popolo. Questo presuppone l’assunzione di un principio di rispetto, riconoscimento e uguaglianza della differenza, elementi questi che, come sottolineato, ven-gono valorizzati nel complesso del paradigma del buen vivir. Come posto già in rilievo in precedenza, sono proprio le costituzioni di Bolivia ed Ecuador, infatti, il luogo prediletto per l’esplicitazione dei principi che ispirano e fondano il nuovo corso democratico di questi paesi che si basa

sul rispetto dell’ambiente, della natura, della componente autoctona e della diversità dei popoli. Come sottolinea Foroni (2014: 96-97), la costi-tuzionalizzazione del paradigma andino del buen vivir pone infatti in ri-lievo l’importanza di un insieme di valori considerati come fondamentali che, se rispettati, possono dare vita ad una nuova forma di convivenza, un nuovo patto sociale, dando maggiore rilievo alla tutela e all’inclusione della diversità. Sottolineare l’importanza primaria della giustizia sociale, della solidarietà comunitaria, della plurinazionalità e dell’interculturalità stabilisce un nuovo corso dove la composizione plurale viene non solo va-lorizzata, ma posta come principio fondamentale attorno a cui erigere la nuova visione dello Stato. Nello specifico, l’impostazione della vita di una comunità all’insegna del buen vivir passa anche attraverso una riflessione da condurre circa il rispetto della diversità e la matrice etnica delle popo-lazioni. A tal proposito, va ricordato, come afferma Gudynas (2011), che è necessario che il progetto eretto attorno a quella che potremmo definire una filosofia di vita del buen vivir venga costruito e compreso seguendo un doppio filone interpretativo. Da un lato bisogna decolonizzare i saperi e la conoscenza, abbandonando la prospettiva di superiorità imposta del-la conoscenza occidentale ed eurocentrica. Contemporaneamente, risulta ugualmente importante rispettare la diversità intrinseca delle differen-ti culture e non leggere questa condizione plurale attraverso un’otdifferen-tica gerarchica. Attribuire una rinnovata importanza ai principi comunitari identificati come forma di reazione e contrasto alla logica capitalistica, sebbene il sistema paese risulti collocato nei circuiti internazionali econo-mici e politici, rappresenta così l’esplicitazione di un’alternativa concreta allo status quo. In aggiunta a ciò, va considerato come tale atteggiamento divenga anche rappresentativo della volontà di recuperare un nuovo oriz-zonte di vita, dove la forza e la creatività delle culture e delle tradizioni locali vengano riconosciute, divenendo strumento funzionale ad una cre-scita e uno sviluppo più etico del territorio (Prada Alcoreza, 2013).

Prendendo in prestito nuovamente il lessico dell’antropologo messi-cano Canclini esposto nel volume Culturas híbridas: estategias para entrar

y salir de la modernidad, l’ibridazione, nel panorama della valorizzazione

delle specificità locali, viene considerata come un elemento da sviluppare e non più come un tratto connotato da un carattere negativo. Si potrebbe pertanto affermare che, in questo senso, il buen vivir diviene una pratica

Donatella Greco 147 146 Il rispetto della natura e delle specificità culturali

interculturale trasversale che consente di entrare e uscire dalla moderni-tà, trovando un equilibrio che permette il rispetto dell’ambiente e delle diversità rimanendo, al contempo, sintonizzati con l’attuale contesto eco-nomico e culturale. Nel dettaglio, nella concezione dell’autore messicano (2001: 14), l’ibridazione assume le seguenti caratteristiche: «Intendo per ibridazione quel processo socioculturale all’interno del quale si struttu-rano pratiche differenti e discrete che già esistevano in forma separata e che si combinano per generare nuove strutture, nuovi oggetti, nuove pratiche, nuovi universi simbolici».

In effetti, Canclini più che di ibridazione tout court, preferisce parlare di “processo di ibridazione”, in quanto si tratta di un compendio dinami-co di fattori che, agendo quotidianamente in sinergia, provocano la nasci-ta di fattori ibridi i cui elementi costitutivi vanno ritrovati nel progressivo mescolarsi degli elementi, nelle continue forme di adattamento poste in essere dai protagonisti nel corso dei cambiamenti sopra citati (immigra-zione, spostamenti di varia natura e genere, ecc.). Tuttavia, parlare di ibridazione tout court o di processi di, veicola una serie di considerazioni sul tema. La prima tra queste è che, come numerosi autori sottolineano (Canclini et al., 1993; Canclini, 2001; Fabietti et al., 2000), i processi di ibridazione non rappresentano certamente un elemento recente e non unicamente correlabile a periodi storici riferibili a fasi di intese migrazio-ni o conquiste colomigrazio-niali. È possibile, infatti, affermare che non esistono culture che non siano in qualche forma ibride, in quanto «le culture si combinano e si ricombinano» (Fabietti et al., 2000: 165) da secoli nono-stante l’intensità di questi scambi si sia indubbiamente accentuata nell’e-tà contemporanea. Tuttavia, ciò che è importante sottolineare secondo Canclini (2001) è il modo in cui le culture, intese come insiemi più o meno coerenti di significati interconnessi, si ricollocano continuamente considerando la rapidità dei tempi odierni. In questo senso, i principi alla base del buen vivir, garantendo il rispetto e l’espressione di una pluralità di stili e di alternative di vita, creano l’ambiente e lo spazio giusto per l’e-spressione e la tutela dell’ibridazione. Più in generale, ad essere garantita è la visione culturale di ogni singola componente indigena, rifiutando qualsiasi interpretazione a carattere etnocentrico (Prada Alcoreza, 2013).

Ulteriormente la riflessione di Canclini sposta l’attenzione sul concet-to di cultura: come sotconcet-tolinea Zires (in Canclini et al., 1993), parlare di

ibridazione pone indirettamente in discussione il concetto stesso di cul-tura, intesa come un insieme di nuclei più o meno omogenei di nozioni e credenze, appartenenti ad una data comunità, gruppo o nazione. Questo tipo di posizione enfatizza l’omogeneità e la coerenza come caratteristi-che principali riferibili alla nozione di cultura, posizione caratteristi-che, secondo l’autore, viene scardinata da quella di culture ibride proposta da Cancli-ni. Ne consegue che l’idea di cultura che ben si sposa con il concetto di ibridazione è quella di un compendio composito formato da specifici ele-menti culturali che assumono molteplici forme e generi e che rimangono in permanente trasformazione. Le culture ibride, pertanto, sono quelle che si producono in un sempre più rapido processo di incontro tra cul-ture. Di conseguenza, esse rappresentano le nuove sintesi, i nuovi profili, i nuovi paesaggi che caratterizzano il mondo contemporaneo e «nasco-no dall’incontro di individui e gruppi con storie, memorie, co«nasco-noscenze e identità diverse, spesso fondate su premesse esperienziali e concettuali molto distanti tra loro» (Fabietti et al., 2000: 165).

Anche in questa posizione è evidente come non venga contemplata la presenza di un principio di superiorità tra le diverse componenti cultura-li, le quali non si impongono l’una sull’altra ma divengono complementari o comunque mai antagoniste. Tale atteggiamento risulta essenzialmente consistente con i principi di uguaglianza e rispetto delle diversità espressi dal buen vivir che vede nelle diversità culturali una fonte di ricchezza da tutelare e salvaguardare. Inoltre, nella modernità in cui il passato convive con il presente e il locale si mescola con il globale, è in atto un processo di ibridazione a cui sfuggire non è possibile. In questo senso, la filosofia del buen vivir appare lungimirante e si pone come garante di un atteg-giamento inclusivo e che valorizzi le diverse matrici culturali, autoctone o nate dall’incontro di diversi elementi culturali, che compongono un territorio. Come detto in precedenza, va tenuto in conto che il buen vivir deve essere inteso come un complesso di significati, come un paradigma interpretativo che raggruppa diverse posizioni che si fanno portatrici di specificità locali. L’elemento comune è contestare l’attuale regime di svi-luppo e affermare l’importanza della relazione tra l’uomo e l’ambiente e la società: ne consegue che anche per questo esso vada inteso come un concetto plurale (Gudynas, 2011: 11).

e delle diversità locali, è possibile affermare che il buen vivir incorpora i principi di rispetto e tutela delle specificità e delle diversità espressi dall’interculturalità. Tale concetto, estremamente dibattuto negli ultimi decenni, appare connotato da una natura proteiforme e polisemica (Marc 1992: 30). Già sul finire degli anni ‘20 del secolo scorso, l’antropologo culturale Franz Boas (1928: 72) nel dibattere temi come la relazione tra razza e cultura, il nazionalismo e le relazioni interraziali, pone in evidenza come «La soppressione delle differenze culturali o l’isolamento dei diffe-renti gruppi non può rappresentare lo scopo di un intelligente sforzo nel dirigere lo sviluppo umano». Tale affermazione pone in rilievo come, la gestione di una differente matrice etnico culturale all’interno di un terri-torio, necessiti di meccanismi di valorizzazione di cui l’intera comunità può beneficiare.

In anni più recenti, al crescente uso nei contesi nazionali e internazio-nali del concetto di interculturalità e dei relativi sinonimi, si rende altresì evidente l’esigenza di introdurre elementi di distinzione all’interno della «confusa nebulosa» (Pompeo, 2007: 133) che circonda questo termine. Prendendo spunto da quanto affermato da Pompeo (ibid.), da un punto di vista generale è possibile affermare che il termine interculturalità rac-chiude al suo interno una serie di significati tra loro diversi. Tuttavia, nel