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Le criticità nell’attuazione del progetto costituzionale tra sumak kawsay e buen vivir

4.1. Il difficile rapporto tra le forze politiche progressiste dalla Costituente all’attuale Assemblea nazionale

Quando Rafaél Correa diventa presidente dell’Ecuador per la prima volta, nel 2007, il paese proveniva da più di un decennio di grande insta-bilità politica, essendo stati gli ultimi tre presidenti eletti tutti obbligati alle dimissioni per pressioni popolari nei precedenti dieci anni. La situa-zione economico-sociale era diventata insostenibile per la popolasitua-zione, che nel 2004 era scesa in strada per manifestare tutto il suo odio nei confronti di un establishment corrotto e “vendepatria”, al grido, ormai noto anche in Europa, “que se vayan todos”. Correa si presenta alle pre-sidenziali sostenuto dal movimento di revolución ciudadana Alianza País, che riunisce anime diverse del panorama politico e sociale del paese, da sempre ai margini del potere, dal centro all’estrema sinistra, dagli eco-logisti al movimento indigeno, e decide di non presentare candidati per l’Assemblea nazionale, in coerenza con un atteggiamento di dura critica nei confronti del sistema e delle istituzioni, cavalcando la bandiera della necessità di rifondare lo Stato su basi nuove attraverso la convocazione di un’Assemblea costituente, di fatto primo atto del presidente neo-eletto. Le elezioni per i membri dell’Assemblea assicurano ad Alianza País (AP) il 70% dei seggi, il sostegno all’esecutivo che mancava in sede parlamentare.

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La contestualizzazione politica è a mio parere necessaria per com-prendere tanto l’origine e la natura, così fortemente radicale, della co-stituzione ecuadoriana del 2008, quanto la fase successiva di governo e di attuazione, con i suoi innegabili successi ma anche le sue inevitabili contraddizioni. Per come era stato il recente passato, la costituzione non poteva essere meno che visionaria: il sumak kawsay diventa parola d’or-dine e idea-guida che segna l’intero processo costituente e i successivi obiettivi di mandato, ma fin da subito, con la rinuncia di Alberto Acosta alla presidenza dell’Assemblea e con i primi dissapori con alcuni membri del movimento indigeno, appare chiaro che non c’è unione di vedute sul contenuto e sulle azioni da intraprendere nell’attuazione del buen vivir.

Richiamando le differenti posizioni sul modo di interpretare e conce-pire il sumak kawsay esposte supra al § 2, ed analizzando i testi di alcuni documenti ufficiali, lo scollamento di vedute emerge. Nel Manifiesto

ide-ológico di AP si dichiara ripetutamente che l’obiettivo da raggiungere è

il “Socialismo del Buen Vivir”, che è «ispirato nella diversità di filosofie che forgiano l’ideale del sumak kawsay». Il Plan nacional de desarrollo approvato con risoluzione n. CNP-002-2013 del 29 luglio 2013, in attua-zione dell’art. 280 cost., è stato chiamato Plan nacional para el Buen Vivir

2013-2017. Ma quale concetto di buen vivir propugna? E coincide con

quello di sumak kawsay? Nel documento troviamo parti compatibili con le visioni indigenista ed ecologista del sumak kawsay. Il buen vivir viene descritto come «la forma de vida que permite la felicidad y la permanen-cia de la diversidad cultural y ambiental; es armonía, igualdad, equidad y solidaridad» (p. 12 della versione riassunta) e si afferma che «el Buen Vivir es el Sumak Kawsay» (p. 14). Prosegue dichiarando che si tratta di una visione differente da quella occidentale e aristotelica di “vita buona” e che «no se trata de un nuevo paradigma de desarrollo, sino de una al-ternativa social, liberadora». Fino a qui, il modello scelto appare in netta rottura non solo con il precedente sistema neoliberale, ma in generale con il modello di Stato sociale fino ad oggi realizzato in Occidente. Tutta-via, la ricetta proposta si basa in primo luogo sull’affermazione del ruolo dello Stato «como promotor del desarrollo» (p. 31), come redistributore delle risorse e della ricchezza, come regolatore del mercato, soluzioni ben note all’Occidente e implementate prima del cambio di paradigma eco-nomico dal modello keynesiano a quello neoliberale. In questi termini la

portata dirompente del sumak kawsay agli occhi di un occidentale pare ridimensionata, ancor più se si guarda alla parte del programma dedicata alla pianificazione economica, dove si stabilisce l’obiettivo del cambio di matrice produttiva da paese principalmente esportatore di materie prime non lavorate, a un’economia della conoscenza, in grado cioè di proporre sul mercato prodotti lavorati con valore aggiunto. In questo processo si contempla lo sviluppo dell’industria mineraria e «se plantea usar el ex-tractivismo para salir de l’exex-tractivismo» (p. 48).

È all’interno di questa cornice che si inserisce lo scontro attuale tra il governo, da una parte, e la sinistra più radicale e parte del movimento in-digeno, inizialmente alleato di Correa, dall’altra. Essi attaccano la politica dell’esecutivo proprio sul terreno che, come abbiamo visto nell’analisi del testo costituzionale, era stato il cuore pulsante della rivoluzione, ossia la politica di difesa della natura e di abbandono dell’estrattivismo. Nel 2007, il presidente Correa lanciava in sede internazionale all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il progetto Yasuní-ITT. Con questa inizia-tiva l’Ecuador si impegnava a rinunciare all’estrazione delle risorse ener-getiche e minerarie del sottosuolo nei territori di Ishpingo-Tambococha-Tiputini, compresi nel parco nazionale Yasuní nell’Amazzonia ecuadoria-na, con l’effetto di evitare l’immissione nell’atmosfera di 407 milioni di tonnellate di CO2, conseguenza dello sfruttamento petrolifero, pari alla produzione annua del gas-serra di paesi come Brasile o Francia. L’area, un parco naturale dal 1970 di 9.820 kmq nel Nord-Est del paese, rappre-senta la riserva di biodiversità più importante del pianeta, oltre a essere la sede delle due comunità indigene in isolamento volontario presenti in Ecuador, Tagaeri e Taromenane, del gruppo etnico Huaorani. In cambio, l’Ecuador chiedeva alla comunità internazionale una compartecipazione economica al progetto, pari alla metà del valore delle entrate che lo Sta-to avrebbe perso a seguiSta-to della rinuncia all’estrazione (stimati in 3.600 milioni di dollari), attraverso la realizzazione di un fondo gestito dal Pro-gramma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo a cui gli Stati, le organizza-zioni internazionali, le ong e i singoli potevano contribuire, da utilizzare sul territorio per il finanziamento di progetti relativi allo sfruttamento di energie pulite e rinnovabili, alla riforestazione, alla preservazione del parco naturale, alla ricerca e sviluppo di sistemi energetici sostenibili, allo sviluppo delle comunità agricole locali.

Il progetto non ha ricevuto il sostegno necessario dalla comunità in-ternazionale, che anzi, in alcuni casi ha osteggiato fortemente l’iniziativa. L’esecutivo, nel 2010, ha annunciato l’adozione del “piano B”, ossia l’i-nizio del parziale sfruttamento petrolifero del parco nelle zone a minore impatto ambientale. Il 15 agosto 2013 il presidente Correa ha chiesto al Parlamento di dichiarare di interesse nazionale il nuovo progetto di sfrut-tamento del parco. Il 22 agosto la società civile, attraverso il comitato promotore definito “Yasunidos”, ha presentato una richiesta di referen-dum nazionale sul quesito «Volete che il Governo ecuadoriano manten-ga il petrolio greggio in ITT, noto come blocco 43, indefinitamente nel sottosuolo?», tuttavia i promotori non sono stati in grado di presentare il numero di firme previsto dalla costituzione per lo svolgimento della consultazione (5% dell’elettorato), risultato certificato il 6 maggio 2014 dal consiglio elettorale nazionale.

4.2. Il delicato passaggio dal testo costituzionale alla legislazione attuativa Da un punto di vista giuridico, è necessario tenere distinte le due sfe-re dell’essesfe-re e del dover essesfe-re costituzionale, pur non rinunciando a un’analisi della coerenza dell’ordinamento in termini di attuazione legi-slativa del progetto costituzionale e di interpretazione giurisprudenzia-le dei principi enucgiurisprudenzia-leati in costituzione. Mi concentrerò in particolare sull’aspetto che mi pare più rilevante in relazione all’autodefinizione del-la costituzione come forma di Stato costituzionale dei diritti: le garanzie giurisdizionali, con particolare riferimento ai diritti della natura.

La costituzione, conformemente al suo afflato garantista, offre non soltanto un vasto armamentario di azioni a garanzia dei diritti costituzio-nali, coinvolgendo direttamente anche la magistratura ordinaria, ma pare riconoscere una legittimazione processuale generale per attivarle. L’art. 75 afferma che ogni persona ha diritto all’accesso gratuito alla giustizia e alla tutela effettiva, imparziale e rapida dei suoi diritti e interessi. L’art. 86, a sua volta, prevede che: «Las garantías jurisdiccionales se regirán, en general, por las siguientes disposiciones: 1. Cualquier persona, grupo de personas, comunidad, pueblo o nacionalidad podrá proponer las accio-nes previstas en la Constitución». Tra le garanzie giurisdizionali vanno

annoverate le azioni di protezione (si legga amparo), habeas corpus, acces-so alle informazioni pubbliche, habeas data, azione per inadempimento e azione straordinaria di protezione. Tuttavia, le azioni costituzionali e l’azione straordinaria di protezione sono esperibili, in base all’art. 439, unicamente da parte di cittadini, individualmente o collettivamente. Le azioni costituzionali sono popolari, ossia non serve che il soggetto ricor-rente dimostri una lesione diretta di un proprio diritto o interesse.

A fronte di queste premesse costituzionali, la Legge organica sulle ga-ranzie giurisdizionali sembra, sotto molti aspetti, aver disciplinato queste azioni introducendo requisiti processuali non previsti dalla costituzione, che ne restringono l’ambito applicativo. Ad esempio, l’art. 9, inserito tra le regole comuni a tutti i giudizi, richiede, ai fini della legittimazione atti-va, che la persona, comunità, popolo o collettivo sia lesa o minacciata in uno o più dei suoi diritti costituzionali, specificando che si considerano “persone lese” solo le vittime dirette o indirette di violazione di diritti costituzionali che possano dimostrare di aver subito un danno. L’azione di protezione diventa residuale, ossia solo a fronte dell’inesistenza di al-tro tipo di azioni giudiziali adeguate ed efficaci che possano ugualmente tutelare il diritto violato (art. 40, n. 3). L’azione straordinaria di protezio-ne diventa ammissibile solo qualora il ricorrente dimostri che il ricorso è finalizzato a risolvere una violazione grave di diritti, o serva a stabilire precedenti giudiziali, o a correggere l’inosservanza di precedenti della corte o a pronunciarsi su questioni di rilevanza e trascendenza nazionale (art. 62, n. 8), mentre viene esclusa contro sentenze del tribunale conten-zioso elettorale durante i processi elettorali. Infine, a fronte di una gene-rica previsione costituzionale della possibilità per la corte costituzionale di ordinare misure cautelari, la legge ne limita l’utilizzo in caso di azione straordinaria di protezione (art. 27, c. 3). Paradossalmente, per quanto attiene alla legittimazione attiva nei casi di azione di incostituzionalità, che la costituzione riserva ai cittadini, la Logjcc apre a tutte le persone.

Per quanto attiene specificamente all’utilizzo del sumak kawsay come parametro di costituzionalità e ai diritti e alle azioni previste a tutela della natura, gli interventi giudiziari sono ancora relativamente pochi e non tutti coerenti. La prima azione di protezione a tutela della natura è stata promossa da due cittadini stranieri, in esercizio di quella giurisdizione universale di cui abbiamo sopra parlato, contro il governo provinciale

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di Loja, responsabile di aver causato danni ambientali a seguito del de-posito di materiale di scavo nel letto del fiume Vilcabamba durante la costruzione della strada Vilcabamba-Quinara, realizzata senza preventiva valutazione di impatto ambientale. La corte provinciale di giustizia di Loja, nella causa 11121-2011-0010, promossa il 5/01/2011, ha ricono-sciuto la responsabilità dell’amministrazione locale, riconoscendo che la natura «tiene de que se le respete integralmente su existencia y el man-tenimiento y regeneración de sus ciclos vitales, estructura, funciones y procesos evolutivos».

Per quanto riguarda la posizione della corte costituzionale, se da un lato, già varie volte, in virtù del riconoscimento costituzionale del sumak

kawsay, la tutela della natura è stata considerata un motivo ammissibile

per giustificare lo Stato di eccezione decretato dal governo, dall’altro, quando l’approccio che sarebbe richiesto in virtù di un’interpretazione interculturale delle clausole costituzionali secondo i principi del sumak

kawsay entra in contrasto con le attività di pianificazione economica e di

sviluppo dello Stato, la corte si pone in posizione di difesa del persegui-mento dell’interesse comune, identificato con un modello economico e di Stato sociale sviluppista, senza tener conto dell’obiezione per cui nello Stato del buen vivir il bene collettivo dovrebbe essere identificato nei valori che la corte ha sacrificato103. Questo concetto viene largamente illu-strato nell’opinione dissenziente del giudice Nina Pacari Vega nella pro-nuncia 001-10-SIN-CC del 18 marzo 2010, a seguito di azione di incosti-tuzionalità promossa contro la Ley de Minería, forse ad oggi uno dei più importanti casi affrontati dalla corte. Il giudice, già consigliera giuridica della Conaie, l’organizzazione ecuadoriana rappresentativa dei popoli in-digeni, ricorda come «de no existir armonía entre el “interés colectivo”

3 Nella fattispecie, la società pubblica Petroecuador, che gestisce le attività estrattive per conto dello Stato, è impegnata nella costruzione di un sistema di stoccaggio terreste del GPL. Per realizzare il progetto, la società deve espropriare diversi ettari di terre comu-nitarie, secondo l’art. 57, n. 4, cost. inalienabili e indivisibili, anche se, dall’altra parte, l’art. 323 attribuisce allo Stato il potere di espropriare beni, salvo indennizzo, per fini di sviluppo sociale e benessere collettivo. La società richiede quindi alla corte una pronun-cia interpretativa (sent. 002-09-SIC-CC). Nelle conclusioni si legge che «se prioriza el interés general que representa a toda la nación, respecto del interés particular o comunal como en la especie así sucede».

y el respeto a los derechos constitucionalmente reconocidos, y más aún cuando aquellos están directamente relacionados con un derecho funda-mental como la integralidad de los territorios de pueblos ancestrales o la consulta prelegislativa, estaríamos frente a un concepto sustentado por Roberto Dromi que dice: «No existe un concepto de utilidad pública inmutable, rígido e inflexible» (p. 41 del voto salvado). Mentre infatti l’opinione di maggioranza giustifica sotto vari aspetti la legge alla luce delle norme costituzionali che consentono allo Stato, in base al concetto di utilità pubblica, di comprimere i diritti dei popoli indigeni, il giudice Pacari, in considerazione dell’importanza trascendentale della questione, ritiene che la corte avrebbe dovuto procedere a una interpretazione glo-bale della costituzione, sulla base del principio di interculturalità. Solo questo tipo di approccio avrebbe consentito di vedere la reale portata di concetti come quello di “terra” nella cultura dei popoli indigeni e quindi di ponderare in maniera appropriata il diritto delle popolazioni indigene alla consulta previa a fronte di altri concetti come quello di utilità pub-blica.

4.3. Il retaggio culturale della colonizzazione

Volendo considerare tutti i possibili ostacoli che il sumak kawsay può incontrare nel diventare parte della “costituzione vivente” del paese, vale la pena spendere alcune parole sul problema della mentalità dei destina-tari delle politiche del buen vivir, e dunque su quello che alcuni chiamano il formante culturale. È luogo comune che il rapporto delle popolazioni latinoamericane con le norme possa essere racchiuso nell’espressione «se acata, pero no se cumple». Questa massima deriva da una dinamica che si produceva durante il periodo coloniale. I territori del continente latino-americano erano governati da viceré, che rappresentavano il potere delle Corone spagnola e portoghese. Quando in Europa il sovrano emanava leggi per le colonie, esse si consideravano immediatamente vigenti, ma nel lungo viaggio per giungere anche solo a conoscenza dei funzionari del luogo spesso diventavano ineseguibili, perché nel frattempo erano mutate le condizioni di fatto in base alle quali erano state assunte.

devono essere visti come un’opportunità di riscatto per i settori della popolazione tradizionalmente emarginati. Nel Plan nacional para el Buen

Vivir 2013-2017 si afferma che per raggiungere l’obiettivo del socialismo

del XXI secolo è necessario non soltanto un cambio di matrice produt-tiva «sino principalmente la mentalidad ciudadana» (p. 16). Per questo uno dei dodici obiettivi prioritari è la costruzione del potere popolare: «construir más sociedad, paralelamente a la recuperación del Estado» (p. 46). La revolución ciudadana è nata dall’alto e quello che anche le recenti elezioni amministrative hanno messo in luce è la necessità di forti-ficare la base, di animare e organizzare la società civile in tutti i luoghi di espressione della partecipazione, soprattutto nelle istituzioni più vicine alla gente (quartieri, assemblee popolari), rendendo effettivo lo strumen-tario partecipativo previsto dalla costituzione e dalla Ley de participación.

5. Conclusioni: in difesa dell’autonomia del nuovo costituzionalismo