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Le sfide del buen vivir allo sviluppo umano

Nell’illustrazione delle principali correnti di pensiero del buen vivir si è rilevato un atteggiamento molto differenziato nei confronti del con-cetto e delle pratiche dello sviluppo. Unanime è la decisa critica al para-digma “convenzionale”, basato sulla figura dell’homo oeconomicus inteso come individuo che massimizza il proprio interesse, definito dalla funzio-ne di utilità, perseguendo l’accumulaziofunzio-ne di beni materiali e posiziona-li, da cui consegue l’equiparazione del concetto di sviluppo a quello di crescita economica con il Pil come unico indicatore rilevante (Gudynas, 2011c). La critica all’unidimensionalità delle concezioni riconducibili

all’homo oeconomicus non è nuova e ha condotto, a partire dal 1990, alla redazione da parte del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, dei Rapporti sullo sviluppo umano in una prospettiva multidimensionale, che contempla, tra gli indici di sviluppo, l’alfabetizzazione, la speranza di vita, la morbilità evitabile, oltre al Pil pro capite (indici che successi-vamente sono stati ampliati e ulteriormente perfezionati). Sulla base del-l’«approccio delle capacità» (capability approach) elaborato da Amartya Sen, lo sviluppo umano è inteso come «un processo di ampliamento delle possibilità di scelta delle persone», che consenta loro di avere accesso alle risorse materiali e immateriali necessarie a una vita dignitosa e di godere di opportunità politiche, economiche e sociali che li facciano sentire a pieno titolo membri della loro comunità di appartenenza (Undp, 1990: 1). Ricollegando il concetto di benessere (well-being) o di qualità della vita a quello aristotelico di eudaimonia, tradotto nel Rapporto del 1990 come «fioritura umana» di contro al termine “felicità” di marca utilitari-stico-welfarista (Undp, 1990: 6 s.), Sen (1994: 62 ss.) specifica che la ca-pacità riflette la libertà delle persone di scegliere tra diverse combinazioni di funzionamenti (functionings), intesi come modi di essere e di fare a cui le persone attribuiscono un valore intrinseco. Tali sono, ad esempio, es-sere nutriti, godere di buona salute, partecipare attivamente alla vita della comunità – funzionamenti che a loro volta coincidono per lo più con contenuti espressi nelle carte dei diritti umani (Longato, 2001). Se la vita delle persone è costituita da un insieme di funzionamenti, la vita effettiva che ciascuna è in grado di condurre è data dalla possibilità di assegnare liberamente (capability) il peso relativo ai diversi funzionamenti o, per usare la terminologia di Nussbaum, alle diverse «capacità funzionali» che è messo in condizione di scegliere e realizzare (Nussbaum, 2001: 95 ss.). In quest’ottica sono interpretabili come altrettanti funzionamenti il con-trollo partecipato del proprio territorio, la cura dell’ambiente naturale, la conservazione della propria identità culturale che si è visto caratterizzare le concezioni autoctone del sumak kawsay (Renshaw, Wray, 2004; Hönig, 2011: 106 s.). Functionings e capabilities rivestono un valore intrinseco nel senso che sono considerati importanti e quindi perseguibili di per sé, assumono un valore strumentale solo nella misura in cui ciascuno è fun-zionale alla realizzazione di altri funzionamenti e capacità (ad es., l’essere istruiti ha di per sé valore e nel contempo è un mezzo per aver voce nella

comunità). La distinzione rilevante è tra la sfera dei funzionamenti e delle capacità da un lato e reddito e risorse materiali dall’altro: nel capability

approach sono quest’ultimi ad avere un valore unicamente strumentale.

L’approccio delle capacità, che costituisce oggi il riferimento princi-pale per le problematiche legate allo sviluppo, è oggetto di analisi e di discussione presso i teorici del buen vivir che, se pur con accenti diversi, ne sottolineano gli aspetti di discontinuità rispetto al paradigma dello “sviluppo come opulenza” di contro a uno stile di vita improntato alla sobrietà. Ad es., il Plan Nacional para el Buen Vivir si colloca esplicita-mente nel solco della prospettiva dello sviluppo umano e del capability

approach. Tuttavia, due sono le principali critiche rivolte a quest’ultimi:

il fatto di basarsi sull’individualismo etico e la mancata, o perlomeno in-sufficiente, considerazione dell’ambiente naturale come parte integrante di una nozione di sviluppo in grado di rendere ragione delle diverse ar-ticolazioni del “vivere bene” perseguite e perseguibili a livello locale. Se il capability approach, soprattutto nella versione di Sen, non intende for-mulare indicazioni precise applicabili omogeneamente a livello generale – insistendo anzi su un processo deliberativo bottom-up per la definizione del “vivere bene” nei diversi contesti di vita –, nondimeno le due critiche rappresentano altrettante sfide a cui i teorici del capability approach solo in tempi molto recenti hanno cercato di far fronte.

L’individualismo etico, secondo cui solo i singoli hanno personalità morale, è effettivamente un tratto centrale del capability approach. Ciò non significa misconoscere i legami sociali a favore di un individualismo ontologico di tipo atomistico, bensì che le strutture e le proprietà sociali sono da valutare per la loro funzione causale sul well-being degli indivi-dui. La preoccupazione è che quest’ultime possano ostacolare il “vivere bene” dei loro singoli componenti (Robeyns, 2008: 90 s.). In tal modo, però, non è adeguatamente considerata la centralità della relazione come fonte di modi di essere e di fare, di funzionamenti, che possono essere ac-quisiti solo come risultato dell’interazione sociale e che sono irriducibili a proprietà di singoli individui. Si tratta di strutture sociali e istituzionali basate sul con-vivere, che permettono la fioritura dei singoli così come delle comunità, perché caratterizzate da relazioni di reciprocità (Comim, 2008; Deneulin, 2008: 111). In tal senso vi è l’esigenza di introdurre nel

capabili-Fulvio Longato 67 66 Filosofie del buen vivir tra passato e futuro

ties di funzionamento collettivo possedute da una determinata comunità,

le quali hanno sì un valore strumentale perché sono i singoli a beneficiar-ne, ma anche un valore intrinseco perché non possono essere espresse in termini individuali (Andreoni, 2009). È significativo che tale esigenza viene recepita dai teorici del capability approach in riferimento a forme di cooperazione orizzontale nel lavoro comunitario, di microfinanza e di gestione di common goods come fiumi, laghi e foreste attuate da popola-zioni autoctone (Distaso, Ciervo, 2007). Una riconsiderazione del

capa-bility approach, che colleghi l’affiliazione (affiliation), di cui Nussbaum

sottolinea la centralità come capacità funzionale individuale, a forme di capacità relazionale e sociale può permettere di coniugare individualismo etico e ontologia relazionale nei termini di un’«autonomia relazionale» (Giraud et al., 2013) che risponda alle istanze poste dal buen vivir.

Per quanto concerne la seconda critica, i lavori di Sen e Nussbaum, pur non negando l’importanza della cura per l’ambiente, considerano quest’ultimo in funzione del well-being individuale inteso altresì in ottica intergenerazionale. Sen ha, infatti, proposto di modificare la definizione di sviluppo sostenibile del Rapporto Bruntland sostituendo il riferimento ai bisogni (needs) con quello alle capacità, nel senso di «uno sviluppo in grado di assicurare le capacità delle generazioni presenti senza compro-mettere le capacità delle generazioni future» (Sen, 2013: 11). Recente-mente Nussbaum ha proposto di riconoscere e di tutelare, sotto forma di diritti, capabilities specifiche del mondo animale, attribuendo quindi un valore in sé agli individui senzienti non umani, ma considerando gli ecosistemi come supporto alle esistenze individuali (Nussbaum, 2012: 150 ss.).

La sfida ecologica del buen vivir rappresenta senz’altro un banco di prova impegnativo per il capability approach, in primo luogo per quanto riguarda l’attribuzione di un valore intrinseco alla natura. Nella recen-tissima letteratura in proposito vi è, a quanto è dato conoscere, un’unica proposta che affronta esplicitamente il tema dal punto di vista del

capa-bility approach. Essa consiste nel differenziare la nozione di servizi

eco-sistemici – intesa in generale come i benefici multipli che un ecosistema apporta al genere umano – in supporting ecosystem services (in un senso però diverso da Nussbaum) e in direct ecosystem services (Pelenc et al., 2013). Mentre i secondi hanno una funzione strumentale per il benessere

umano (fornendo acqua, cibo, ecc.), i primi corrispondono ai processi e cicli dei sistemi naturali che supportano dal punto di vista biologico la vita sulla terra, generando habitat adatti agli organismi viventi, inclusi gli umani che figurano perciò come parte della natura e non da questa distinti. Dal momento che i supporting ecosystem services sono necessari alla produzione dei direct ecosystem services, è attribuibile a essi e quindi alla natura un valore intrinseco, distinto da quello strumentale diretto al well-being individuale. Dall’attribuzione di un valore intrinseco alla natura, che, per quanto interrelato a quello strumentale, rappresenta la natura a livello culturale e simbolico come non pienamente disponibi-le all’intervento umano, consegue l’assunzione di una responsabilità ex

ante nei confronti degli ecosistemi intesi come common goods. Nell’ottica

della “sostenibilità forte” – della non sostituibilità del capitale naturale con quello prodotto dall’uomo – una responsabilità antagonista a un at-teggiamento prometeico nei confronti della natura può esercitarsi prima-riamente mediante forme collettive di agency. Tali forme di azione sono realizzate da comunità, gruppi e associazioni di agenti che si attivano non solo in vista del proprio benessere, ma per apportare cambiamenti all’in-terno delle loro comunità e in generale della società, i quali trascendono il well-being individuale. In tal modo si conferma, anche rispetto al modo di “vedere” la natura, l’esigenza di capacità sociali che emergano da inte-razioni guidate da una condivisa rappresentazione di responsabilità.

Come più volte sottolineato, il buen vivir è una filosofia in costruzione, ma lo è anche in generale l’interrogarsi e il riflettere su che cosa significhi e su come sia praticabile un “vivere bene” rispettoso del Mitwelt. L’inter-pretazione qui proposta delle convergenze stimolate dal buen vivir con-ferma che «todas as culturas são incompletas e problemáticas nas suas concepções de dignidade humana … A incompletude provén da própria existência de uma pluralidade de culturas, pois, se cada cultura fosse tão completa como se julga, existiria apenas uma só cultura … O reconheci-mento de incompletudes mútuas é condição sine qua non de um diálogo intercultural» (de Sousa Santos, 1997: 22).

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Abstract: Based on the analysis of the concepts of sumak kawsay and suma qamaña, this article focuses on the convergences between the

philosophies of buen vivir and the current Western thinking. The focus is on the role of reciprocity in the relationship between hu-man beings and nature and on the challenges the buen vivir poses to human development.

Keywords: Good Life, Reciprocity, Nature as an intrinsic value,

di Silvia Bagni 7*

Sommario: 1. Introduzione: il costituzionalismo andino nel contesto politico latinoamericano. – 2. Pachamama e sumak kawsay nelle cosmovisioni indigene. – 3. Pachamama, sumak kawsay, buen vivir nella costituzione ecuadoriana. – 4. Le criticità nell’attuazione del progetto costituzionale tra sumak kawsay e buen vivir: profili giu-ridici, sociali e politici. – 4.1. Il difficile rapporto tra le forze politi-che progressiste dalla Costituente all’attuale Assemblea nazionale. – 4.2. Il delicato passaggio dal testo costituzionale alla legislazio-ne attuativa. – 4.3. Il retaggio culturale della colonizzaziolegislazio-ne. – 5. Conclusioni: in difesa dell’autonomia del nuovo costituzionalismo andino.

1. Introduzione: il costituzionalismo andino nel contesto politico