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Pachamama, sumak kawsay, buen vivir nella costituzione ecuadoriana

La costituzione ecuadoriana costruisce il buen vivir tanto come prin-cipio quanto come statuto di diritti (Titolo II, Capitolo II: Diritti del

buen vivir), che lo Stato deve dunque garantire ai soggetti interessati, i

quali hanno a disposizione un’ampia serie di strumenti giuridici e azioni processuali di tutela. Essa mostra un approccio originale nel recepimento della tradizione indigena, se si considera che nella costituzione della Bo-livia, l’unica che insieme a quella ecuadoriana abbia sperimentato questa via, il vivir bien (suma qamaña) è inserito fra i principi, valori e fini dello Stato (Capitolo II, art. 8), quindi come elemento extragiuridico che deve ispirare la condotta pubblica.

La costituzione ecuadoriana si compone di 444 articoli, posizionan-dosi tra le più lunghe al mondo. Nell’ottica che qui stiamo privilegiando, cioè quella di evidenziare la penetrazione della cosmovisione indigena all’interno del testo costituzionale, può essere utile procedere all’analisi di un così vasto impianto normativo distinguendo le diposizioni che la menzionano direttamente, dalle parti del testo che, pur in assenza di un riferimento esplicito, introducono istituti in qualche modo riconducibi-li a quel tipo di mentariconducibi-lità; e ancora, all’interno della prima categoria, distinguere fra quelle che richiamano istituti e concetti nel loro nome originale (Pachamama e sumak kawsay), da quelle che utilizzano invece il corrispondente tradotto in castigliano (buen vivir e naturaleza). In questo modo avremo al contempo due ordini di grandezza del fenomeno: quan-titativo e qualitativo, poiché l’uso della lingua originale rappresenta a mio avviso una scelta di campo circa l’effettiva volontà, almeno in sede costi-tuente, di imprimere una svolta ideologica alla costituzione, alla ricerca di una vera convivenza interculturale nel nuovo Stato plurinazionale. Il clima politico all’interno della maggioranza di governo, infatti,

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mente unita da un programma di cambiamento radicale di paradigma, nel tempo si è andato modificando, tanto che ben presto alcuni protago-nisti del momento costituente, come Alberto Acosta, nominato ministro dell’energia e presidente della Costituente, si sono quasi subito defilati da Alianza País, insieme a una parte del movimento indigenista. Il partito del presidente, pur godendo della più ampia maggioranza di sempre in Assemblea, si trova oggi nel mezzo di due diverse opposizioni, quella tradizionale di destra, liberale e neoliberista, e quella di estrema sinistra.

Da un punto di vista giuridico, inoltre, ritengo che l’uso della parola in lingua originale rappresenti un vincolo interpretativo per il giudice im-pegnato a garantire il rispetto della costituzione: egli infatti, nella ricerca del significato costituzionale della disposizione, sarà portato a interpre-tarla alla luce dei valori propri di quella tradizione.

Il sumak kawsay è citato in costituzione cinque volte: nel preambo-lo, come obiettivo per la costruzione di una nuova forma di convivenza cittadina, basata sulla diversità e l’armonia con la natura; all’art. 14, che riconosce il diritto a vivere in un ambiente sano, che garantisca la soste-nibilità e il sumak kawsay; all’art. 250, che riconosce il territorio amazzo-nico quale ecosistema necessario per l’equilibrio ambientale dell’intero pianeta e gli attribuisce uno statuto speciale, garantito da una particolare forma di pianificazione che assicuri la conservazione dei suoi ecosistemi e del sumak kawsay; all’art. 275, il quale definisce il regime di svilup-po, orientato alla realizzazione del sumak kawsay; all’art. 387, dove si elencano fra le responsabilità dello Stato quella di promuovere la ricer-ca scientifiricer-ca e tecnologiricer-ca, nonché lo sviluppo dei saperi ancestrali, per contribuire a realizzare il sumak kawsay. La Pachamama è menzionata due volte: nel preambolo, dove viene celebrata come vitale per la nostra esistenza, e all’art. 71, dove si stabiliscono per la prima volta i diritti del-la natura intesa come soggetto di diritto. In tutti questi articoli sumak

kawsay e Pachamama sono sempre citati insieme alla rispettiva

traduzio-ne castigliana, come rafforzativi, a sottolitraduzio-neare l’origitraduzio-ne, la matrice del pensiero tradizionale da cui quelle disposizioni sono scaturite. Si tratta sempre del tema ambientale: la constatazione è di particolare interesse, poiché dimostra come proprio su tale dimensione ecologista sia stata giocata la partita dell’innovazione del paradigma culturale nel processo costituente, a dispetto di una posizione governativa attuale meno estrema

nei confronti delle tematiche ambientali, soprattutto quando si tratta di contemperarle con esigenze di sviluppo economico-sociale (infra, § 4).

Il buen vivir viene citato in costituzione ben ventuno volte (a fronte dei solo sette richiami al vivir bien nella costituzione boliviana). Dopo il preambolo, lo ritroviamo come uno dei «doveri primordiali dello Stato» (art. 3, c. 1, n. 5) e immediatamente dopo, nel Titolo II dedicato ai di-ritti, il primo gruppo è proprio quello dei diritti del buen vivir: all’acqua (art. 12), a un’alimentazione sana e sufficiente (art. 13), a un ambiente sano (art. 14), alla comunicazione e informazione libera, interculturale, includente, diversa e partecipativa, che comprende il diritto all’accesso alle tecnologie dell’informazione (art. 16), all’identità culturale (art. 21), al tempo libero (art. 24), a beneficiare delle applicazioni del progresso scientifico e dei saperi ancestrali, fra loro equiparati (art. 25), all’educa-zione (art. 26), a un habitat sicuro e salubre e all’abitaall’educa-zione degna (art. 30), allo sfruttamento dello spazio cittadino sostenibile (art. 31), inteso come diritto di partecipazione al suo governo e come diritto di proprietà con funzione sociale e ambientale, alla salute, anche sessuale e riprodut-tiva (art. 32), riconosciuto come diritto dipendente dall’attuazione degli altri diritti del buen vivir, al lavoro (art. 33) e alla sicurezza sociale (art. 34). Questo Capitolo riconosce dunque come pertinenti al buen vivir gran parte dei diritti sociali e di terza generazione, che tuttavia vengono ulteriormente arricchiti nei successivi capitoli attraverso il riconoscimen-to di statuti di diritti a gruppi sociali individuati (bambini, adolescenti, giovani, donne incinte, disabili, anziani, migranti, carcerati, consumatori) e a comunità, popoli e nazioni in quanto tali.

Dal buen vivir dipendono anche doveri e responsabilità dei cittadini: «Ama killa, ama llulla, ama shwa. No ser ocioso, no mentir, no robar» (art. 83, c. 1, n. 2), ma soprattutto «Promover el bien común y anteponer el interés general al interés particular, conforme al buen vivir» (art. 83, c. 1, n. 7). Tale articolo va letto in connessione con il successivo art. 85, che vincola l’orientamento delle politiche pubbliche a rendere effettivi il

buen vivir e tutti i diritti, secondo il principio di solidarietà. Si dà quindi

prevalenza alla prospettiva comunitaria rispetto a quella individualistica, pur imponendo un tentativo di contemperamento degli interessi even-tualmente in conflitto, ma «sin perjuicio de la prevalencia del interés ge-neral sobre el interés particolar».

Infine, il buen vivir gioca un ruolo fondamentale nella costituzione economica del paese, in quanto preordina e vincola il regime di sviluppo dello Stato a determinati obiettivi: «El régimen de desarrollo es el conjun-to organizado, sostenible y dinámico de los sistemas económicos, políti-cos, socio-culturales y ambientales, que garantizan la realización del buen vivir, del sumak kawsay» (art. 275, c. 1). Tuttavia, se il primo destinatario della disposizione è lo Stato, che deve pianificare la politica economica del paese in quella direzione, le persone, comunità, popoli e nazionalità sono chiamate a partecipare attivamente all’impresa attraverso l’esercizio delle loro responsabilità «en el marco de la interculturalidad, del respeto a sus diversidades, y de la convivencia armónica con la naturaleza» (art. 275, c. 3). Di nuovo, si tratta di una impostazione parzialmente nuova nel panorama giuridico costituzionale. Se, ad esempio, anche la costituzione italiana richiama i doveri di solidarietà, lo fa partendo da una prospet-tiva personalista, di azione individuale, come parte dello sviluppo della personalità di ciascuno («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderoga-bili di solidarietà politica, economica e sociale»). La costituzione ecua-doriana affianca alla persona la comunità in una escalation sempre più inclusiva, sottolineando così che gli obiettivi da realizzare mirano sempre al bene comune, all’interno del quale c’è anche quello individuale. An-cora, questa prospettiva trova conferma nell’art. 277, che, elencando i doveri generali dello Stato per la realizzazione del buen vivir, indica una triade di soggetti destinatari, titolari di diritti per la costituzione: le per-sone, le collettività, la natura. Quando parla di buen vivir la costituzione non si riferisce mai ai cittadini, bensì a questo gruppo di destinatari. Non credo sia un caso: il paradigma del cittadino coincide oggi, nei moderni ordinamenti socialdemocratici, con la politica dell’esclusione, dell’egua-glianza formale e non sostanziale, della neutralizzazione delle differenze attraverso l’astrazione giuridica e dunque esattamente con il sistema di sviluppo che si vuole superare.

Il buen vivir come principio-chiave del modello di sviluppo ecuado-riano trova concreta declinazione nel Capitolo dedicato alla Sovranità economica. L’art. 283 definisce il sistema economico come sociale e soli-dale e pone come suo obiettivo la produzione e riproduzione delle

condi-zioni materiali e immateriali che rendono possibile il buen vivir. Il regime economico si arricchisce, rispetto alle forme di organizzazione tipiche del sistema liberale (pubblica, privata e mista), dell’economia popolare e solidale, riconoscendo in questo modo le forme di produzione e scambio tipiche della tradizione indigena. È forse interessante segnalare, in un pe-riodo in cui all’interno dell’Unione Europea le politiche di rigore hanno imposto addirittura revisioni costituzionali a garanzia del contenimento del debito, che la disposizione sul debito pubblico dell’art. 290 ricono-sce come limite di legittimità dell’indebitamento la sovranità, i diritti e il

buen vivir, e proibisce espressamente la statalizzazione di debiti privati.

Infine, la costituzione individua un «Régimen del buen vivir», sud-diviso in due ambiti, quello delle azioni nel campo dei diritti sociali e quello dei diritti della natura, già specificati nel Capitolo VII del Titolo II dedicato ai Diritti. La natura, secondo l’art. 72, ha diritto «a la restaura-ción». È un diritto indipendente dall’obbligo di indennizzare o risarcire le persone che hanno subito danni diretti dall’evento e include anche i danni causati alla natura dallo sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili. Ai sensi dell’art. 71, infatti, la natura (Pachamama), defini-ta come il luogo dove si riproduce e si sviluppa la videfini-ta, ha il diritto a che si rispetti integralmente la sua esistenza nonché i suoi cicli vitali, la sua struttura, funzioni e processi evolutivi. Questo diritto è attivabile da qualsiasi persona, comunità, popolo o nazione, e prescinde dal fatto di aver subito un danno a titolo individuale. Lo Stato è tenuto ad applicare il principio di precauzione ed eventualmente a porre restrizioni rispetto ad attività suscettibili di condurre all’estinzione di specie, alla distruzione di ecosistemi o all’alterazione permanente di cicli vitali (questo obbligo è integrato da quello di consultazione delle comunità indigene rispetto a qualsiasi decisione che riguardi il loro territorio, la loro esistenza e il loro stile di vita: art. 57) mentre è totalmente proibita l’introduzione di organismi e materiali geneticamente modificati che possano alterare in maniera definitiva il patrimonio genetico nazionale (art. 73). Le persone, comunità, popoli e nazioni potranno godere delle ricchezze naturali e dell’ambiente ma i servizi ambientali dovranno restare di titolarità pub-blica (art. 74).

Il riconoscimento della natura come soggetto di diritto è rivoluziona-rio in prospettiva giuridica. Comporta un rovesciamento di prospettiva,

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da antropocentrica a biocentrica: il passaggio dal diritto dell’ambiente al diritto ecologico. La natura non è più tutelata in quanto finalizzata al benessere dell’uomo, ma in quanto portatrice di valori in sé. Questo permette di riconoscere un’azione popolare a difesa della natura, a pre-scindere da una lesione soggettiva di interessi propri del soggetto che agisce. L’ordinamento, tuttavia, non si è consegnato senza riserve alla subordinazione al diritto naturale in senso letterale; tutt’altro, visto che la costituzione chiarisce fin dall’inizio che la natura ha i diritti che essa stessa le riconosce (art. 10, c. 2). Solo in Ecuador la natura è riconosciuta come soggetto di diritto, mentre la costituzione ambientale in Bolivia si sviluppa soltanto attraverso il paradigma dei diritti di terza generazione, che sono sempre e comunque diritti della persona (diritto a un ambiente salubre, diritto alla salute, ecc.), ossia situazioni giuridiche funzionali allo sviluppo dell’identità individuale. L’art. 395, c. 4, cost. Ecuador arriva a prescrivere che in caso di dubbio interpretativo circa disposizioni am-bientali il giudice debba applicare il principio nel dubbio pro natura.

Passiamo ora all’identificazione di quel gruppo di disposizioni che presuppongono la cosmovisione andino-amazzonica come fondamento epistemologico, senza tuttavia richiamare esplicitamente il sumak kawsay o il buen vivir. Possiamo raggrupparle, a seconda della materia, in quelle volte a riconoscere e realizzare: a) la dignità del lavoro e un’economia sociale e solidale; b) la plurinazionalità e l’interculturalità; c) la parteci-pazione cittadina al governo democratico.

a) L’articolo 283 della costituzione dichiara che l’economia ecuado-riana è sociale e solidale. Questo significa che l’uomo è messo al centro dei rapporti economici, e ciò comporta l’adozione di misure che esaltino la dignità del lavoro, come la partecipazione democratica dei lavoratori nella gestione dei processi produttivi, la redistribuzione della ricchezza, il salario minimo o il divieto di terziarizzazione del rapporto di lavoro. La difesa del lavoro deve prevalere su quella del capitale, per cui il principio di solidarietà impone un ridimensionamento dei concetti di produttività e competitività, che cedono di fronte ad esigenze legate alla tutela del-la persona-del-lavoratore. Tutto ciò senza negare in principio né il capitali-smo, né la proprietà privata, bensì riconoscendo entrambe come forme di espressione delle capacità di sviluppo dell’uomo, insieme, e alla pari, rispetto al cooperativismo, all’impresa sociale, all’autogestione, alle reti

del commercio giusto, ecc. Il sistema economico è finalizzato, come tutti gli altri ambiti del più ampio sistema sociale, alla realizzazione del buen

vivir. Questo significa che il modello economico di sviluppo è con esso

compatibile solo in quanto sostenibile, ossia inteso come “sviluppo inte-grale” dell’uomo in armonia con la natura, nel rispetto del sumak kawsay (Stato ecosociale). Quindi, la crescita economica non è demonizzata in sé, ma subordinata a un principio di sostenibilità. «El buen vivir no es vida pobre, sino una vida rica en un sentido más profundo e integral, digna en lo material, trascendente en lo social y espiritual, sensible a la diversidad cultural y a la naturaleza» (Grijalva Jiménez, 2012: 49). È l’in-tervento regolatore dello Stato sull’economia a garantire che ciò avvenga, sia in modo diretto, attraverso imprese pubbliche, soprattutto nei settori strategici, sia indirettamente, attraverso la pianificazione (il Piano nazio-nale per lo sviluppo è il documento, vincolante per le pubbliche ammini-strazioni, su cui si basa l’intera azione statale) e una puntuale disciplina, costituzionale e legislativa, di limiti e condizioni all’esercizio dell’inizia-tiva economica e alla proprietà in funzione dello sviluppo integrale della persona nel rispetto dell’ambiente.

b) Il rapporto fra conquistatori occidentali e popolazioni indigene è stato caratterizzato, in prospettiva giuridica, prima dal paradigma dell’as-similazione, poi da quello della tutela delle minoranze, sempre però da una posizione che presupponeva l’inferiorità della cultura tradizionale rispetto a quella europea. Come riconosce anche Zagrebelsky, il multi-culturalismo «si ferma a una giustapposizione delle diverse culture, nella migliore delle ipotesi estranee l’una all’altra; nella peggiore, conflittuali» (Mauro, Zagrebelsky, 2011: 104). L’autore richiama la necessità di supe-rare questo modello, facendo riferimento non al concetto di intercultura ma a quello di «interazione» come «capacità delle culture di entrare in rapporto per definire sé stesse e la disponibilità a costruire insieme e, eventualmente, a imparare l’una dall’altra», senza rinunciare alla propria identità e su un piano di eguaglianza. Questa posizione appare in totale consonanza con il modello interculturale che propongono le nuove costi-tuzioni andine. Infatti, attraverso la costituzionalizzazione della cosmo-visione andino-amazzonica, rafforzata dalla tutela esplicita della cultura ancestrale, si riconosce a tutte le forme epistemologiche uguale dignità. La prospettiva interculturale diventa un’occasione per lanciare un

pro-cesso di decolonizzazione dei diritti umani, la cui teorica viene integrata da visioni del diritto non occidentali, che suggeriscono, ad esempio, nuo-ve riflessioni circa la dimensione collettiva dei diritti. Esempio paradig-matico è l’art. 11, n. 7, cost., che riconosce la dimensione collettiva della dignità, superando la visione individuale occidentale. Infine, l’art. 1 cost. proclama l’Ecuador «un Estado constitucional de derechos». La “s” fi-nale nella parola derechos non è una svista, bensì la testimonianza di una scelta cosciente a favore di una nuova forma di Stato, quella dello Stato costituzionale dei diritti. Mentre la versione classica dello Stato di diritto ha il suo perno nella sottoposizione dei pubblici poteri ai limiti formali e sostanziali previsti dalla legge prima, dalla costituzione poi, nello Stato dei diritti la loro massima estensione costituisce l’obiettivo primario dello Stato (art. 11, n. 9), mentre diventano un limite per il pubblico e il priva-to, grazie alla loro efficacia diretta e vincolante. Viene superata la distin-zione classica fra diritti civili, politici ed economico-sociali: essi vengono raggruppati per “materia”, sono tutti immediatamente giustiziabili e fra loro non c’è gerarchia (art. 11). Quanto alla loro progressiva estensione, l’impegno costituzionale in tal senso si evince anche dall’equiparazione dello status di cittadino e di straniero immigrato, incluso il diritto di voto, esercitabile dopo cinque anni di residenza in Ecuador, nonché dalla pre-visione costituzionale della promozione della cittadinanza universale. Lo Stato interculturale, plurinazionale e dei diritti implica il riconoscimento del pluralismo giuridico, declinato sia come pluralità di fonti del diritto (la legge e in generale il diritto dello Stato, gli usi e costumi del diritto in-digeno, la giurisprudenza, financo la morale), sia come sistema articolato di garanzie (normativa, politica, che si traduce nell’obbligo dello Stato di determinare le politiche pubbliche, sanzionabile mediante l’azione co-stituzionale di inadempimento, e giurisdizionale). L’organizzazione della funzione giudiziaria si arricchisce con la previsione della giurisdizione indigena. Nel processo, la competenza giurisdizionale resta finché non c’è la soddisfazione piena del diritto attraverso l’esecuzione della senten-za (art. 86, n. 3).

c) Il processo politico che ha condotto all’Assemblea costituente di Montecristi ha visto protagonisti, per la prima volta nella storia ecua-doriana, gruppi sociali subalterni, in primis i movimenti indigeni, che hanno portato come contributo fondamentale alla nuova costituzione la

loro particolare cosmovisione e dunque il sumak kawsay. Come abbia-mo visto, la interrelazionalità e la vita comunitaria sono aspetti centrali di questo modo di vivere. Questa dimensione si è dunque riversata nel testo costituzionale attraverso la qualificazione dello Stato come parte-cipativo e grazie alla declinazione della partecipazione popolare come diritto, come modus operandi nella definizione delle politiche pubbliche per mezzo della pianificazione, come funzione autonoma dello Stato (di trasparenza e controllo sociale), istituzionalizzata in diversi organi (il Consiglio di partecipazione cittadina e controllo sociale, il difensore del popolo, l’organo di controllo generale dello Stato e le sovrintendenze).

4. Le criticità nell’attuazione del progetto costituzionale tra sumak