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IL BENESSERE E LE SUE MISURAZIONI

1. Economia e buen vivir

Nel contesto latinoamericano la contraddizione tra uno sviluppo eco-nomico, indirizzato al massimo vantaggio possibile, ma al contempo in-capace di risolvere fenomeni quali la povertà estrema, la fame, la disoccu-pazione e il degrado ambientale ha portato alla definizione del buen vivir come un’alternativa all’idea di sviluppo occidentale. Questo si costituisce non solo come un frame teorico, ma anche come un insieme di pratiche e di esperienze concrete.

Dal punto di vista filosofico, il buen vivir rappresenta una cosmovisio-ne ovvero una conceziocosmovisio-ne globale della vita che mette al centro i diritti e la responsabilità di ciascuno nei confronti della collettività, nonché la ricerca di armonia con la natura e del benessere collettivo (Acosta, 2010). Esso costituisce il tentativo di disegnare una nuova prospettiva di cam-biamento sociale, a partire da una visione plurinazionale e interculturale

* Dottoressa di ricerca in Politiche transfrontaliere per la vita quotidiana nell’Università di Trieste.

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che, traendo spunto dalle esperienze delle comunità indigene, pone una particolare attenzione all’ambiente naturale, definito come Terra Madre (Bagni, 2013). Cambia, quindi, l’approccio con cui ci si pone in relazione con la natura: essa non costituisce un insieme di risorse da accumulare per raggiungere uno scopo, ma fa parte di un ideale di vita armonico in cui rientra anche l’esistenza umana. Questo porta a un’idea diversa di sviluppo ove il fine non è l’accumulazione continua di ricchezza, quan-to il garantire alla popolazione la soddisfazione dei bisogni essenziali, in un’ottica di giustizia sociale e ambientale. Attualmente, la crisi economi-ca, culturale, valoriale e identitaria che sta vivendo il mondo occidentale pone degli interrogativi circa la sostenibilità del modello consumista su cui esso si fonda. Da questo punto di vista, molti autori evidenziano come l’attuale crisi occidentale sia una crisi di tipo strutturale: in questo con-testo le risposte alle tensioni e alle crescenti disuguaglianze sociali appa-iono sempre più complesse, poco definibili, deboli e limitate (De Marzo, 2009). Al contrario, gli stimoli provenienti dal mondo andino suggeri-scono l’emergere di pratiche politiche e sociali in grado di cogliere tale complessità, mirando a ridurre la frattura tra sviluppo umano e ambiente e costituendo un’ispirazione anche per il mondo occidentale.

A tal proposito, Gudynas (2011) sottolinea come questa visione del mondo sia saldamente ancorata ai saperi e alle tradizioni indigene – collegati dalla credenza nella Pachamama, che gioca un ruolo centrale diventando a tutti gli effetti portatrice di un diritto di tutela – e come tale si propone di conservare una spiritualità che riesca a rafforzare il rapporto tra la natura, l’universo e gli esseri umani, in cui trova spazio un’economia di tipo sostenibile. In questo senso, la riflessione sul buen

vivir si incentra su una decostruzione radicale della base culturale dello

sviluppo occidentale quale risposta dei popoli indigeni al processo di de-colonizzazione. Come sottolinea Prada Alcoreza (2013), a partire dagli anni ‘90, i popoli indigeni si sono interrogati sul concetto di sviluppo e di progresso così come inteso nell’ideale liberista. Infatti, nella letteratura di riferimento spesso si sottolinea come il concetto di sviluppo lineare non trovi piena corrispondenza semantica nelle lingue amerinde. Gudynas (2011), ad esempio, mette in luce la mancanza di un vocabolo analogo che esprima l’idea di sviluppo orientato alla sempre maggiore accumu-lazione di capitale che, a sua volta, permette un’espansione continua dei

consumi e un’accumulazione incrementale dei beni materiali. Non è un caso, quindi, che il buen vivir compaia nel movimento indigeno nel 1992 in occasione dei “500 anni della conquista e della resistenza indigena” in contrasto all’estrattivismo, responsabile dei danni ambientali e sociali provocati dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.

Il buen vivir si costituisce quindi come un modello alternativo di svi-luppo. Come tale, gli autori che ne analizzano le caratteristiche evidenzia-no come esso possa essere considerato un «umbrella for a set of different positions» (Gudynas, 2011: 444); un concetto, quindi, multisfacettato che racchiude al suo interno una serie eterogenea di posizioni. In questo contesto, la letteratura di riferimento – in particolare Acosta e Gudynas – evidenzia in modo trasversale come esso abbia ripreso alcuni elementi della cultura andina proponendo un modello sviluppo che si è cercato di tradurre a livello operativo attraverso una vera e propria visione politica. Tuttavia, come evidenzia il filosofo aymara Fernando Huanacuni Mama-ni (in Morsolin, 2014: 25), ancor prima di acquisire tale valenza politica, esso si costituisce come la ricerca di un paradigma di riferimento: «Il

buen vivir, più che un’originalità della costituzione, fa parte di una lunga

ricerca di modelli di vita promossi particolarmente dagli attori sociali dell’America Latina negli ultimi decenni, come parte delle loro rivendi-cazioni rispetto al modello economico neoliberale. Nel caso ecuadoriano e boliviano tali rivendicazioni sono state riconosciute e incorporate nella costituzione del 2009, convertendosi nei principi e nelle orientazioni del nuovo patto sociale».

La diversa concezione dello sviluppo comporta una declinazione spe-cifica dell’economia che diviene, a sua volta, uno strumento finalizzato a un ideale di vita armonico. Partendo dall’analisi dell’attuale crisi econo-mica, che è primariamente una crisi finanziaria, l’approccio andino so-stiene che porre in modo esclusivo il capitale e la sua accumulazione al centro dell’economia significa perseguire la massimizzazione del profitto, favorendo speculazioni di vario tipo che nel lungo periodo producono crisi che gli economisti occidentali ritengono sistemiche (Stiglitz, 2013). Al contrario, afferma uno dei maggiori teorici del buen vivir: «El valor básico de la economía, en un régimen de buen vivir, es la solidaridad» (Acosta, 2010: 23). In questo senso, quindi, anche l’economia si ispira a principi di concretezza, relazionalità, reciprocità, pluralità e

comple-mentarietà. Si evidenzia così una definizione funzionale dell’economia e delle sue forme: come evidenzia Prada Alcoreza (2013), non si tratta di minimizzare il ruolo dell’economia, ma di declinarla in modo plurale e comprensivo delle diverse realtà che non sono omogenee, poiché nell’e-conomia vengono incorporati anche aspetti sociali e culturali. Da questo punto di vista, il modello cui guardare non è unitario ma deve essere necessariamente plurale, in modo da poter essere aderente alle diverse specificità locali.

Nella costituzione ecuadoriana, si dedica un’intera sezione ai rapporti economici, in cui si enfatizza la ricerca un’economia diversa che aspiri a costruire rapporti di produzione, di scambio e di collaborazione orienta-ti all’autosufficienza e alla qualità. Acosta (2010) parla di produtorienta-tività e competitività sistemica: la proposta è di un rapporto dinamico tra merca-to e società. Si afferma che il solo mercamerca-to governamerca-to da relazioni di scam-bio non è sufficiente a garantire la conservazione delle risorse naturalie a mantenere la coesione sociale. Al tempo stesso, vengono messi in luce anche i fallimenti delle visioni Stato-centriche, per cui si propone l’orga-nizzazione del sistema economico intorno ad una pluralità di attori che perseguono finalità e si ispirano a principi diversi301. In questo contesto, non tutti gli attori economici perseguono come fine ultimo il profitto, ma alcuni sono mossi da principi di solidarietà, reciprocità e redistribuzione. La diversa concezione dei rapporti con la natura comporta anche conse-guenze operative dal punto di vista dei rapporti economici, che vengono ridefiniti nell’ottica di preservare i beni comuni di tutta l’umanità. Le riforme più rilevanti messe in campo dall’Ecuador riguardano la terra e la sua gestione (in particolare la riforma agraria, con la ridistribuzione e l’espropriazione delle terre, e il controllo da parte dello Stato di setto-ri strategici come quello dell’estrazione). Quest’approccio si propone di creare nuove alleanze tra produttori, proprietari e lavoratori proponendo uno schema che si articola secondo un modello di corresponsabilità e complementarità. Acosta (2010) richiama i concetti di autonomia, sovra-nità, reciprocità e di redistribuzione delle risorse e della ricchezza

secon-1 Tale pluralità si rispecchia, ad esempio, nella definizione di uno dei capisaldi dell’economia moderna occidentale: la proprietà. A tal proposito, la costituzione ec-uadoriana prevede cinque tipologie di proprietà: pubblica, privata, mista, popolare e solidale.

do criteri di equità. Così, il modello proposto si propone di includere e dotare di un diverso orizzonte di senso gli attori del mercato stesso: ad esempio, Prada Alcoreza (2013) evidenzia come sia importante anche capire come la finanza possa essere a supporto dell’economia reale e del sistema produttivo. Analogamente, anche in Bolivia è presente un’econo-mia plurale composta da varie forme di organizzazione. Nel complesso queste organizzazioni sono complementari e necessarie a coniugare gli interessi privati con il benessere collettivo nell’ottica di creare un’econo-mia solidale comune (Prada Alcoreza, 2013: 151). In questo quadro, lo Stato svolge un ruolo centrale nel regolare i processi economici, suppor-tato da processi democratici e consultativi.

Tali indicazioni possono essere interpretate come un mantello istitu-zionale (Polanyi in Trigilia, 2009) che permette di attuare un processo di transizione che concretamente mostra alcune difficoltà. Infatti, la realiz-zazione concreta delle politiche appare più complessa e problematica di quanto le elaborazioni teoriche possano far intravedere. Come evidenzia-no Monni e Palottievidenzia-no (2013) quando si parla di buen vivir si intrecciaevidenzia-no necessariamente due aspetti: uno teorico, quale approccio strategico al cambiamento sociale e uno più prettamente legato alle buone prassi. In Ecuador e in Bolivia i concetti di buen vivir e vivir bien sono stati piena-mente riconosciuti nelle costituzioni e nelle prassi politiche, come il Plan

Nacional para el Buen Vivir 2013-2017 che in Ecuador cerca di rendere

operativi alcuni concetti teorici di riferimento. Tuttavia, tali dichiarazioni di principio non trovano sempre riscontro nella realtà. A tal proposito si citano due episodi emblematici: la decisione da parte del presidente ecuadoriano Rafael Vicente Correa di approvare lo sfruttamento petro-lifero nel parco nazionale amazzonico Yasuní (Calligaris, Bellini, 2013) e, in Bolivia, il progetto di costruzione di un’autostrada nel parco nazio-nale Tipnis, area altresì ricca di idrocarburi (http://www.yurileveratto. com/it/articolo.php?Id=243). In questo contesto, il conflitto tra interessi particolaristici di tipo economico e principi teorici è evidente, in quan-to i proventi del petrolio costituiscono una componente rilevante della ricchezza nazionale, permettendo investimenti in termini di inclusione e benessere sociale.

Il buen vivir è considerato come una categoria in continua trasforma-zione e costrutrasforma-zione (Gudynas, 2011), con l’aspiratrasforma-zione di poter creare

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stra molte affinità con il buen vivir. L’ubuntu è una visione sviluppata all’interno di società ancestrali, tramandata oralmente e oggi diffusa in molta parte dell’area sub sahariana. Se, quindi, la specificità del modello andino risiede nel richiamare un vivere armonico con la terra in una vi-sione legata al ciclo della terra e alla sua continua rinascita, in contrasto con il concetto di sviluppo lineare tipico del mondo occidentale e che si è accentuato a partire dalla rivoluzione industriale, molti autori sot-tolineano come questo paradigma non sia così nuovo come sembra. Ad esempio, sottolinea Houtart (2011: 19 s.) che «nelle società precapitaliste di tutto il mondo abbiamo avuto dei riferimenti di questo tipo, ossia una visione completa (olistica) del destino umano sulla terra. In molti casi questa visione si è espressa in termini religiosi, sia nelle tradizioni con base filosofica (taoismo, confucianesimo, induismo, buddismo, giudai-smo, cristianesimo, islamismo), sia nelle religioni tradizionali dei popoli primitivi. Si tratta di riscoprire, in termini contemporanei, per le varie società di oggi, le prospettive adeguate e le traduzioni».

Nel contesto occidentale, la letteratura che affronta il tema della ne-cessità di un cambiamento nel modello di sviluppo è rilevante e si in-centra su diversi aspetti. C’è chi mette al centro della riflessione aspetti quali la valorizzazione della dimensione collaborativa (Sennett, 2012) ed empatica dell’essere umano (Rifkin, 2010) e chi il recupero del senso del limite attraverso percorsi incentrati sul concetto di decrescita (Latouche, 2012). Anche nel mondo squisitamente economico vi sono autori che rilevano i limiti del modello capitalista. Basti pensare al premio nobel Stiglitz (2013) o al recente testo di Piketty (2014) che fanno notare come la pratica economica, orientata ad una libertà sfrenata e connessa ad una sostanziale sudditanza del mondo politico, generi livelli sempre maggiori di disuguaglianza economica, in un circolo vizioso negativo. Alla base di tutte queste riflessioni vi è la difficoltà di spiegare le esternalità negati-ve dell’attuale contesto economico. In molte di queste nuonegati-ve narrazioni compare anche l’attenzione all’ambiente e in generale la necessità di in-dividuare nuovi approcci allo sviluppo che siano sostenibili per il futuro della vita sulla terra: tuttavia, l’approccio rimane molto più antropocen-trico rispetto a quanto evidenziato dai teorici del buen vivir.

Cercando di dare una risposta, seppur limitata e circoscritta a specifici ambiti, sia a livello internazionale sia nazionale, emergono filoni di analisi una possibile alternativa allo sviluppo in termini economici e tecnologici

a partire dai principi culturali dei nativi indigeni, dalle loro tradizioni culturali, dal sapere contadino, dalle esperienze e dalle conoscenze del mondo indigeno tradizionale. Al di là delle molteplici declinazioni prati-che, gli elementi comuni alle diverse concezioni sono soprattutto il fatto che il benessere è legato strettamente all’idea di comunità e al fatto che la vita dell’essere umano e dell’ambiente naturale sono legati tra di loro in modo indissolubile. Il benessere è dunque inteso in maniera collettiva e non ha alcuna connotazione individualista, non è basato sull’accumula-zione di beni materiali e si fonda, invece, sulla reciprocità, sullo scambio e sulla solidarietà.