CAPITOLO 2: LE CAUSE DELLA CRISI D’IMPRESA
II. Cambio di regolamentazione del mercato
Uno degli elementi del mercato con cui l’azienda si dovrà confrontare sarà la sua regolamentazione, ovvero la presenza o meno di norme, emanate dall’autorità pubblica, che limitano o condizionano il comportamento dei soggetti che vi operano (ne sono un esempio le leggi antitrust e la tassazione)69.
Per ottenere obiettivi legati al benessere dei consumatori e ai bisogni dei cittadini, lo Stato utilizza un insieme di strumenti di limitazione per indirizzare l’attività di impresa.
Queste manovre di intervento pubblico all’interno del mercato sono dette anche “politiche industriali” e possono concernere il funzionamento della compravendita, la proprietà delle imprese e le modalità con cui avviene il processo produttivo. Tali politiche possono essere più o meno pervasive ed interventiste (a seconda del carattere delle norme). Se invece guardiamo alla “tipologia” delle politiche di regolamentazione, esse possono essere “dirigiste”, quando prevedono un ruolo attivo dello Stato all’interno del sistema tale da definirne gli assetti fondamentali, o al contrario “liberiste”, quando non prevedono – o prevedono un debole -‐
69 La fonte normativa a cui faremo riferimento per la trattazione legata alla regolamentazione dei mercati è
l’elaborato, La regolamentazione dei mercati e delle imprese, prodotto dal Dipartimento di Studi aziendali e
giuridici dell’Università di Siena, consultabile al sito:
https://www.disag.unisi.it/sites/st07/files/allegatiparagrafo/20-‐01-‐
2015/la_regolamentazione_dei_mercati_e_delle_imprese_aggiornato_genn_2015.pdf.
intervento da parte dello Stato incentivando così la riproduzione della concorrenza e dell’attività privata.
Gli strumenti principali delle politiche industriali si suddividono in due categorie:
v Provvedimenti di tipo proprietario (incidono sulla proprietà delle imprese):
Ø Nazionalizzazioni/municipalizzazioni, ovvero la trasformazione o la creazione di imprese pubbliche di proprietà dello Stato o degli enti locali; Ø Partecipazioni statali, ovvero l’orientamento dell’andamento delle imprese
da parte degli entri pubblici tramite l’acquisizione di parte del pacchetto azionario;
Ø Istituzioni di poteri speciali associati a quote proprietarie pubbliche, ovvero la possibilità da parte dello Stato di controllare alcuni aspetti strategici dell’attività delle imprese anche possedendone una minima parte (senza avere il pacchetto di maggioranza) grazie alla previsione di prerogative speciali (ad esempio il potere di veto sulla vendita dell’impresa).
Ø Privatizzazioni (o dismissioni), ovvero la cessione a privati da parte dello Stato di attività o quote azionarie di cui era proprietario.
v Provvedimenti di regolamentazione del mercato:
Ø Regolamentazione in senso restrittivo della concorrenza, tramite l’adozione di norme intese a limitare o eliminare la libera concorrenza (come:
istituzione monopoli pubblici, previsioni barriere legali all’entrata, limiti quantitativi o qualitativi alla vendita di determinati beni e servizi ecc…); Ø Regolamentazione in senso pro-‐concorrenziale, tramite l’adozione di norme
intese a ricreare nel mercato reale le condizioni di un mercato idea, sia attuando politiche di limitazione del potere di mercato delle imprese (come: norme contro la concentrazione, contro l’abuso di posizione dominante, contro le intese tra oligopolisti, ecc…);
Ø Pura deregolamentazione, si lascia che il potere del mercato scaturito dalle dinamiche interne agisca indisturbato (si favorisce la fuoriuscita dello Stato dal sistema).
In particolare, gli elementi su cui possono incidere le regolamentazioni sono: il prezzo, la possibilità di entrata sul mercato, l’introduzione di nuovi prodotti, il mercato dei fattori (lavoro) e le modalità di svolgimento dell’attività produttiva.
Come si può intuire, i cambi di regolamentazione posso essere l’origine di forti crisi, in quanto la modifica di anche solo uno degli elementi sopracitati può creare serie difficoltà ad un sistema di azienda già operante.
Prendiamo per ipotesi il caso in cui lo Stato decidesse di calmierare a ribasso il prezzo di una determinata categoria di prodotti.
Le aziende, che vendevano ad un prezzo più alto, si ritroverebbero così nell’impossibilità di attuare la propria strategia, non avendo più la possibilità di
garantirsi la quota di entrate prevista, e dovrebbero rivoluzionare il proprio sistema di costi (rivendendo l’equazione del reddito associata a tali prodotti) per rientrare all’interno dei nuovi parametri senza produrre perdite. Inoltre, assisteremo all’aumento del numero delle aziende operanti sulla stessa fascia di prezzo, dato il ricollocamento sulle fasce inferiori delle imprese che vendevano i beni a prezzi maggiori, producendo anche un cambiamento negli equilibri delle logiche concorrenziali.
IL CASO “RAILTRACK”
La Railtrack vede la sua nascita nel 1993, alla fine di un lungo dibattito politico del governo inglese sulla privatizzazione delle linee ferroviarie70.
L’allora primo ministro John Major71 riteneva che, nonostante gli ottimi risultati ottenuti dalla British Rail (impresa pubblica che deteneva il monopolio sulla gestione delle ferrovie), la privatizzazione avrebbe migliorato la situazione sfruttando lo spirito imprenditoriale e le capacità manageriali dei privati. Con l’avvicinarsi delle elezioni e la scarsità di risorse pubbliche a disposizione, Major contava che la privatizzazione avrebbe portato una riduzione degli sprechi gestionali
70 Le informazioni sulla storia della privatizzazione del settore ferroviario britannico sono state riprese dal
libro di Antonio Caprarica, Ci vorrebbe una Thatcher, edito da Sperling & Kupfer, Milano, 2012.
71 John Major, politico britannico iscritto al partito conservatore, è diventato primo ministro dopo le
e dei sussidi pubblici, aumentando la competizione a favore di una maggiore efficienza e una più larga scelta dei servizi.
Così nel 1993, nonostante molti pareri contrari, viene approvato in parlamento il Railways Act, trattato che stabiliva la separazione tra infrastrutture e gestione operativa dei treni. La gestione dell’intero sistema venne affidata nelle mani di un unico gestore monopolista, la Railtrack, responsabile per le 11.000 miglia di binari, 2.500 stazioni e 40.000 tra ponti, viadotti e tunnel, oltre ad ulteriori società per la manutenzione, l’ingegnerizzazione e il design.
Uno schema che provocò molte critiche e, purtroppo, anche disastri ferroviari (come quello del 2000 a Hatfield, dove un treno deragliò per la mancata manutenzione di un binario danneggiato, che costò la vita a 4 persone).
Il nesso incidenti-‐privatizzazione apparve evidente: dal Novanta ad inizio Duemila si verificarono una serie di incidenti a catena, mentre l’ultimo registrato dalla vecchia società a gestione pubblica risaliva al 1967 e fino alla fine le ferrovie pubbliche avevano offerto standard di sicurezza elevati. Le cause dei terribili incidenti furono individuate nella mancata modernizzazione/manutenzione del sistema ferroviario e sui tagli alla formazione del personale effettuati dalla Railtrack (le settimane di addestramento per i ferrovieri passarono da quarantatré a trentatré).
Davanti a questo disastro, il governo decise in una prima fase di intervenire tramite lo stanziamento di fondi pubblici e successivamente attraverso l’adozione della
procedura di amministrazione controllata della società, prima di sostituirla definitivamente con una nuova, sempre privata ma non a scopo di profitto. Una scelta che ha destato critiche per l’intervento pubblico in una società privata (sebbene la società fosse beneficiaria di sussidi pubblici che potevano legittimare l’intervento da parte dello stato) e che è costata al governo ben due miliardi di sterline.
In un articolo72 del 2012 nel quale si sconsiglia la privatizzazione delle imprese situati nei settori strategici o di pubblica utilità per lo stato, La Repubblica racconta così la vicenda della Railtrack come esempio di fallimentare deregolamentazione: “La privatizzazione di Railtrack era stato uno dei vanti dei governi conservatori di Margareth Thatcher. Cedere ai privati la gestione della rete dei binari era parsa una buona idea per recuperare valore e far ritirare lo Stato da uno dei servizi chiave. Ma ben presto il piano si rivelò un disastro. L’incidente del 17 ottobre del 2000, quando 4 persone morirono per il deragliamento di un treno ad alta velocità sulla tratta Londra-‐Edimburgo, mise in evidenza le gravi carenze nella manutenzione affidata alla società privatizzata. Soprattutto, i vertici di Railtrack si resero conto di aver esternalizzato ad altri privati tutte le competenze di manutenzione: così la società non era più in grado di ricostruire la storia e i problemi delle singole tratte. Presto
72 L’articolo a cui si fa riferimento è: Ilva, tentazione Stato padrone da Renault a Railtrack le lezioni degli altri
in Europa, scritto da Paolo Griseri, pubblicato in data 8 dicembre 2014 e consultabile sul portale di
Economia&Finanza de LaRepubblica.it.
Railtrack fallì: il timore di nuovi incidenti aveva imposto velocità commerciali troppo basse finendo per paralizzare il traffico”.
III. Trasformazioni del ciclo di vita del prodotto
Il modello del “ciclo di vita del prodotto” fu teorizzato per la prima volta nel 1965 da Theodore Levitt, in un articolo pubblicato sulla rivista Harvard Business Review, dal titolo “Exploit the Product Life Cycle”73, nel quale dimostra come differenti fasi di vita del prodotto sul mercato necessitano di diverse strategie di marketing. Il fine della pubblicazione era dare al tema una valenza pratica oltre che teorica del concetto74.
Figura 2.2 – Grafico del Ciclo di vita del prodotto75
73 Exploit the Product Life Cycle, di Thodore Levitt, Harvard Business Review, November 1965.
74 Una ricerca effettuata da Levitt, ha evidenziato che nonostante la maggior parte dei manager conoscesse
il concetto di “ciclo di vita del prodotto”, pochi erano coloro che lo utilizzavano a fini strategici o ne traevano vantaggi a livello di competitività sul mercato.