CAPITOLO 2: LE CAUSE DELLA CRISI D’IMPRESA
IX. Incapacità del management
“I processi decisionali possono essere pensati come il cervello e il sistema nervoso di un’organizzazione. La decisione rappresenta l’uso finale delle informazioni e dei sistemi di controllo a disposizione dell’azienda”119.
Il processo decisionale è un’attività che impegna quotidianamente i manager di tutti i livelli dell’organizzazione e determina la prosperità o il fallimento dell’azienda. Esso è formato da due fasi: la prima fase concerne l’identificazione del problema, mentre la seconda fase si riferisce alla soluzione del problema, con la valutazione delle alternative e la scelta del percorso d’azione più efficacie.
L’incapacità del management si manifesta quando le organizzazioni, o i manager, non riescono a prevedere ciò che succederà in futuro, con conseguenti difficoltà nel riconoscere segnali di potenziali pericoli (che possono minare la sopravvivenza o il funzionamento dell’organizzazione) o segnali di potenziali opportunità (che potrebbero portare all’azienda vantaggi in termini competitivi ed economici). Gli studiosi indicano il fenomeno con il nome di miopia organizzativa120.
Le miopie sono fenomeni che posso manifestarsi sia a livello individuale (decisione errata del singolo soggetto sulla gestione di un processo o su una valutazione di alternative), sia a livello organizzativo (errori dell’organizzazione nel suo complesso
119 Daft R., Organizzazione Aziendale, Quinta edizione, Apogeo Editore, Milano, 2014, pp. 345 e ss. 120 Catino M., Miopia organizzativa: problemi di razionalità e previsione nelle organizzazioni, Il Mulino,
nell’analisi della valutazione di minacce ed opportunità); questa distinzione è solo formale poiché nella realtà i fenomeni operano in modo interconnesso.
Uno dei fenomeni che possono inficiare sulla capacità di giudizio del management sono le trappole cognitive: convinzioni che tendiamo a commettere e che di norma conducono a scelte sbagliate (Daft R., 2014).
Le tre trappole cognitive più comuni sono:
• Persistenza nell’errore. “La ricerca suggerisce che le organizzazioni spesso continuano a investire tempo e denaro in una determinata soluzione, malgrado ci siano prove che essa non funziona”. In questo caso i manager, pur messi di fronte alla prova di aver preso una decisione sbagliata, persistono nel percorrere scelte economiche inefficaci convinti che il problema è esterno, e temporaneo, e che presto saranno in grado di recuperare le perdite subite. Questo atteggiamento, invece di portare miglioramenti, non fa altro che peggiorare la situazione e portare l’azienda verso la crisi.
• Avversione alle perdite. “Molti manager mostrano una tendenza ad analizzare i problemi pensando a ciò che temono di perdere, e non a ciò che potrebbero guadagnare”. In questo caso si ha la predilezione a far valere maggiormente il peso delle perdite rispetto ai potenziali profitti, questo porta i manager a lasciarsi sfuggire opportunità di profitto potenzialmente rilevanti a causa di un possibile esito negativo. Tale tendenza, può determinare un utilizzo delle capacità
aziendali inferiore a quello reale, data l’eccessiva cautela nelle scelte del management.
• Pensiero di gruppo. “Il desiderio di conformarsi agli altri membri dell’organizzazione può determinare distorsioni nel giudizio”. In questo caso si tendono a non mostrare pareri contrastanti per la paura di creare disarmonia. Questo abbassa la qualità delle decisioni prese, in quanto quest’ultime non risultano decise al termine di un confronto realistico dove vengono analizzate tutti possibili punti di vista.
IL CASO “BLOCKBUSTER”
Uno dei casi più clamorosi di miopia gestionale riguarda la caduta di Blockbuster e la contemporanea ascesa di Netflix121.
Nel 1990 il mercato del home-‐video era dominato dal colosso Blockbuster. L’azienda, nata da un’intuizione di David Cook, vede luce solo 5 anni prima in Dallas, Texas, ed ottiene fin da subito un grande successo tra il pubblico.
121 La vicenda viene riportata nel caso della Harvard Business School, del 2014, ad opera di Willy Shih e
Inizialmente la catena di negozi era specializzata nel noleggio delle videocassette: ogni store era capace di contenere fino a 2500 titoli differenti, con una predilezione per le “nuove uscite” che rappresentavano più dei due terzi dei noleggi.
Il management puntava su una strategia di diffusione capillare dei punti vendita nel territorio per essere più vicini che mai ai clienti, per questo la location dei negozi era collocata in zone ad alta densità di popolazione, o su strade molto trafficate, tant’è che i responsabili affermavano che in quegli anni il 70% degli americani risiedeva a 10 minuti di macchina da un Blockbluster.
Nel 2002 Blockcuster raggiunge nuovi traguardi di profitto grazie all’avvento dei DVD che fanno crescere il mercato dal 24% al 37% in un solo anno.
In quegli stessi anni però fa la sua comparsa un nuovo concorrente: Netflix.
Anche questa azienda punta a sfruttare il mercato dei DVD, in maniera del tutto differente rispetto a Blockbuster, spendendo i prodotti per posta e offrendo una piattaforma online (sostanzialmente un catalogo dove a farla da padrone erano, non solo i film di punta, ma anche quelli meno conosciuti destinati alle nicchie del mercato) a cui il cliente poteva accedere per trovare suggerimenti sui film da vedere in base alle sue preferenze. Inoltre, innova la sua offerta proponendo un abbonamento, che permetteva la visione di un numero illimitato di film, ad un prezzo fisso.
L’intuizione di sfruttare la nuova risorsa del mercato online permette all’azienda di crescere rapidamente, grazie anche ad un servizio sempre più personalizzato ed orientato al cliente che gli assicura i favori del pubblico.
Netfilx aveva capito prima di tutti che i bisogni dei consumatori stavano cambiando, spostandosi dal noleggio online dei film allo streaming online.
Nel 2000 Reed Hastings, co-‐fondatore di Netflix, incontrò John Antioco, CEO di Blockbuster, per cedergli la società. Prezzo di vendita: 50 milioni di dollari. Antioco però declinò l’offerta, considerando quello di Netflix un settore senza futuro, affermando che la vendita online era destinata solo ad un mercato di nicchia e che Blockbuster non aveva intensione di entrare in competizione con Netflix lanciando un proprio canale online.
Dichiarazioni smentite dalle azioni dell’azienda stessa che nel 2004, appena un anno dopo, decide di lanciare (ormai troppo tardi) un servizio in rete molto simile a quello del concorrente.
Nonostante l’adesione di molti utenti al nuovo canale di vendita, l’obsolescenza del modello di business e i costi derivanti dagli store fisici resero insostenibile la situazione finanziaria ed economica dell’azienda che nel 2010 fu costretta a dichiarare bancarotta.
Blockbuster ha pagato lo scotto di un management che non a saputo vedere il cambiamento, a causa della falsa sicurezza acquisita negli anni in cui l’azienda primeggiava come leader indiscusso del mercato122.