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264 ID., De immenso II, p. 199. 265 Ivi, p. 76. 266 I D., Camoer. Acrot., p. 177.

267 Jean Seidengart giustamente sottolinea il ruolo dell‘aër-aether-spiritus nello svolgere nello spazio

cosmico alcune delle funzioni che l‘acqua compie invece nei singoli pianeti: ―l‘éther permet d‘unifier ce que la diluition spatiale et temporelle disperse à travers la multiplicité infinie des lieux et des instants (…). Les seules fonctions que Bruno reconnaisse à l‘éther, c‘est de transmettre de proche en proche la lumière et la chaleur des soleils, c‘est a dire d‘être un milieu qui soit le support des phénomènes de rayonnement biens qu‘ils ne puissent se manifester que lorsqu‘ils rencontrent un corps opaque et humide‖ (JEAN SEIDENGART, La métaphysique du minimum indivisible et la réforme des mathématiques chez

Giordano Bruno, in FESTA E.,GATTO R. (a cura di), Atomismo e continuo nel XVII secolo. Atti del Convegno

Internazionale Atomisme et continu au XVII siècle, Napoli, 28-29-30 aprile 1997, Vivarium, Napoli 2000, p.

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immensi spazi interplanetari. Tuttavia, per metonimia si può chiamare ‗aria‘ anche lo ―spacium cum tali substantia‖268, cioè il cielo, che dunque ―nihil aliud secundum substantiam esse dicimus, quam aërem‖269

. Ma questo slittamento semantico porta a un‘ulteriore equiparazione, che chiama in causa anche l‘elemento la cui esistenza è più volte e con veemenza negata dal Nolano: ―Aether vero idem est quod coelum, inane, spacium absolutum, qui insitus est corporibus, et qui omnia corpora circumplectitur infinitus‖270. Il cielo è lo spazio che contiene l‘aria e tale spazio, per essere in grado di contenere i corpi, deve essere vuoto. Come tale, il vuoto è inalte- rabile, ingenerabile, incorruttibile e per questo somiglia all‘etere aristotelico. Se Bruno recupera il termine, non intende però recuperare ciò che da esso è indicato nella fisica peripatetica: l‘etere bruniano è lo spazio vuoto, non l‘elemento che co- stituisce i cieli, e differisce da quello aristotelico perché è immobile. Risalendo all‘etimologia, Bruno corregge lo Stagirita, affermando che la sostanza dei cieli è detta ‗etere‘ non perché sia essa stessa mobile, ma perché in essa avviene il movi- mento: ―Astra item dicuntur aethera quod currant. Spacium dicitur aether quia decurritur‖271. La metonimia che consente di identificare l‘aria col cielo e quindi con l‘etere è il motivo per cui Bruno, nel passo de De magia naturali sopra citato, può de- finire lo spirito aëreus seu aethereus 272. L‘equiparazione tra queste tre entità è giustifi- cata dal loro indissolubile legame: lo spazio è vuoto perché deve essere atto ad ac- cogliere i corpi, ma allo stesso tempo è pieno perché effettivamente contiene tutte le cose, dal momento che l‘infinita potenza attiva dell‘Uno traduce immediatamente in realtà la possibilità, di modo che per noi è logicamente possibile pensare una distin- zione tra l‘etere e l‘aria in esso contenuta, ma ontologicamente non si dà l‘una senza l‘altro e viceversa273.

268 I D., De immenso II, p. 78. 269 ID., Camoer. Acrot., p. 176. 270 ID., De immenso II, p. 78. 271 Ivi, p. 79.

272 Miguel A. Granada rintraccia nella concezione bruniana dell‘aër-aether, equiparato allo spiritus,

anche delle influenze di matrice stoica. L‘aere tranquillo che riempie gli spazi interplanetari, infatti, ricorda da vicino lo pneuma della Stoà, che è un ―fluido compuesto por una mezcla de éter-fuego y aire que se extiende de forma continua (aunque con diversas proporciones en la mezcla) a toto lo largo del mundo actuando como principio de vida y de movimento‖ (MIGUEL ANGEL GRANADA, Giordano Bruno y

la Stoa: ¿una presencia no reconocida de motivos estoicos?, «Nouvelles de la République des Lettres», XIII-1,

1994, Prismi, Napoli, p. 138), concezione questa che fu tuttavia integrata anche nella cosmologia neoplatonico-ermetica.

273 Si veda quanto detto sopra sulla coincidenza di vuoto e pieno nel Chaos (cfr. supra, p. 52).

L‘equiparazione di entità distinte nella tradizione aristotelica (e non solo) ha la funzione di rafforzare la tesi dell‘unità del reale: ―I concetti di vacuum, spacium ed aër si connettono quindi strettamente, fino a diventare reciproci, stringendosi nell‘unica nozione di coelum come luogo dei corpi (…) condizione dello stesso moto degli astri poiché diversamente dall‘etere aristotelico – nel quale i corpi celesti si trovano fissati «ligni nodo» –, si presenta invece come aër fluidus, fissilis ac cedens, privo di qualsiasi barriera solida e tale quindi da non rappresentare impedimento alcuno al movimento spontaneo degli astri. La sua coincidenza con lo spiritus garantisce l‘omogeneità sostanziale dello spazio infinito e sigla di fatto l‘unità del reale‖ (GIOVANNOZZI D., Spiritus mundus quidam cit., pp. 37-39). A questo proposito,

si vedano anche MICHEL P.-H., La cosmologie de Giordano Bruno cit., pp. 147-148 e 262-263; EDWARD

GRANT, Much Ado about Nothing. Theories of Space and Vacuum from the Middle Ages to the Scientific

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Il tema dello spiritus, collegato com‘è al vitalismo universale, è affatto estraneo alla fisica aristotelica ma, sotto la patina neoplatonica ed ermetica e al di là dei rife- rimenti lucreziani, è ancora possibile individuare qualche suggestione peripatetica. Nel primo libro dei Meteorologica, Aristotele introduce una suddivisone della re- gione dell‘aria in due zone, di cui la più bassa è occupata dal vapor caldo-umido, che deriva dal surriscaldamento dell‘acqua presente sulla superficie del nostro pianeta, mentre nella più alta si colloca lo spiritus caldo-secco, che deriva dal surriscalda- mento della terra e presenta qualità simili a quelle del fuoco. Anzi, questa riparti- zione corrisponde alla vera suddivisione tra la reale sfera dell‘aria e la reale sfera del fuoco. La fiamma, cioè il fuoco che noi consociamo, altro non è che spiritus sicci ardor, spiritus aut fumus ardens. Anche in Aristotele, dunque, esiste l‘utilizzo del ter- mine ‗spiritus‘ per indicare l‘aria, anche se si tratta di un‘esalazione calda e secca, mentre lo spirito, per Bruno, ha una natura umida: ―Proprie ergo loquendo et distinctius, aerem dicimus substantiam spiritualem, seu corporis subtilis

humidam‖274

.

Per quanto riguarda la suddivisione della zona dell‘aria in due regioni, Bruno in un primo momento, ne La cena de le Ceneri, indica come sua fonte Platone:

―Questo forse intese Platone allor che disse noi abitare nelle concavità e parte oscure de la Terra (…). Vuol dire che in certo modo questo aria vaporoso è acqua; et il puro aria che contiene più felici animali (i corpi cele-

sti) è sopra la terra: dove, come questo Amfitrite è acqua a noi, cossì questo

nostro aere è acqua a quelli‖275.

Nel dialogo successivo, il De l‟infinito, universo e mondi, tuttavia, il Nolano si di- mostra consapevole che tale suddivisione è presente anche in Aristotele:

―forzato dalla verità o pure dalla consuetudine del dire di antichi filosofi, (…) Aristotele nel primo della sua Meteora (…) confessò che le due regioni infime de l‘aria turbulento ed inquieto sono intercette e comprese da gli alti monti, e sono come parti e membri di quella; la quale vien circondata e compresa da aria sempre tranquillo, sereno e chiaro‖276.

Bruno riconosce la validità della divisione in zone e se ne appropria applicando i suoi lemmi alla descrizione aristotelica. Lo Stagirita, infatti, ritiene che nella regione superiore non si formino nubi né venti sia a causa del continuo movimento tra- smesso dal cielo della Luna sia per il maggior calore che caratterizza lo spiritus secco, mentre constata che i venti si formano essenzialmente nella regione più bassa, quella compresa tra le cime dei monti più alti, che individuano così una circonfe- renza ideale che segna il confine tra le due zone277

. Ecco dunque che la zona infe-

cit., pp. 249-252; BARBARA AMATO, La nozione di 'vuoto' in Giordano Bruno, «Bruniana & Campanelliana», III-2, 1997, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, pp. 209-229.

274 B

RUNO, De immenso II, p. 78.

275 I

D., Cena, p. 515. 276 ID., Infinito, p. 104.

277 ―Cur igitur in eo, qui sursum est, loco non cogantur nubes, hanc exisitmandum est causam esse,

quia non inest aer solum, sed magis ignis. Nihil autem prohibet et propter circularem lationem prohiberi nubes cogi in superiori loco. Fluere enim necessarium est omnem in circuitu aerem,

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riore è la sede dei fenomeni atmosferici e a buona ragione Bruno la può definire tur- bolenta e tempestosa, mentre quella superiore, più pura, non è caratterizzata da tali fenomeni ed è occupata dall‘aer tranquillus. Bruno, tuttavia, piega questa suddivi- sione alle esigenze della sua cosmologia: la zona del vapor-aria diventa la zona oc- cupata dall‘aria mista e turbolenta, che scende anche nelle profondità della Terra, mentre la zona dello spiritus-fuoco viene sostituita dalla zona dello spiritus-etere tranquillo e puro ed estesa oltre i confini del mondo terrestre, diventando lo spazio infinito che accoglie e vivifica tutti i corpi celesti e soppiantando le sfere eteree e cri- stalline della cosmologia aristotelica.