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In Bruno, innanzitutto, manca una spiegazione del rapporto tra elementi e mate- ria, ossia manca la giustificazione della struttura elementare della materia, che lo Stagirita invece fornisce. Nel secondo libro del De generatione et corruptione, infatti, Aristotele spiega come e perché gli elementi siano le parti prime dei corpi riallac- ciandosi a quanto detto sui principi del divenire nel primo libro della Physica. Le qualità tangibili elementari (quelle che non derivano da altre qualità, ma da cui le altre qualità derivano) vengono introdotte nel ruolo dei primi contrari che agiscono sul sostrato comune. Gli elementi sono i primi corpi perché derivano dalla combina- zione di materia e qualità, combinazione che è necessaria in quanto né il sostrato indeterminato potrebbe esistere senza i contrari definienti né i contrari potrebbero sussistere indipendentemente da un sostrato materiale. Gli elementi hanno pertanto un carattere principiato perché i veri principi sono la materia e le prime qualità contrarie, ma devono essere considerati parti prime dei corpi perché sono i minimi sinoli possibili e rappresentano il livello al di sotto del quale l‘esistenza e la priorità dei principi assumono un carattere puramente logico. Conseguenza di tutto questo è la reciproca trasformabilità degli elementi: essendo unico il sostrato, quando una qualità viene sostituita dalla sua contraria, un elemento si trasforma in un altro se- condo un processo di generazione e corruzione.

Proprio questa reciproca trasformabilità viene contestata da Bruno nei Libri physicorum Aristotelis explanati in cui, come abbiamo visto, il Nolano dimostra di pre- ferire la dottrina di Empedocle e di tutti coloro che ritengono che gli elementi, per essere i principi primi da cui tutto deriva, debbano essere ingenerabili e incorrutti- bili e non possano trasformarsi gli uni negli altri. Tuttavia, Bruno non fa che puntu- alizzare un aspetto di cui Aristotele era ben consapevole quando pose gli elementi al terzo posto nell‘ordine dei principi. Richiamandosi a una più autentica concezione degli elementi, Bruno rifiuta la loro conversione reciproca: dopo aver elencato quali siano per lui i veri elementi, nel De magia naturali il Nolano afferma a chiare lettere che ―haec enim ita sunt ab invicem distincta, ut unum non possit unquam in alterius naturam transformari, sed bene concurrunt haec et associantur‖219 e ciò avviene per- ché, come afferma esplicitamente nel De triplici minimo et mensura, non sono costi- tuiti da un sostrato comune: ―principia materialia quibusdam sunt distincta, quorum sententiae nos magis adstipulamur, lucem, naturam humentem, atomosque seu aridam communi materia consistere non credentes.‖220.

Per i sostenitori della vera dottrina degli elementi, i corpi si formano dalla loro aggregazione e disgregazione ―sicut ex litteris est omnis scriptura et omnia verba

219 B

RUNO, De magia, pp. 204-206. 220 I

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scripta‖221

. Secondo Aristotele, le lettere sono gli elementi del discorso e così ripe- tono anche Averroè e Tommaso d‘Aquino. Bruno ribalta il parallelo tra lettere ed elementi a favore della tesi degli avversari dello Stagirita, quasi come se volesse suggerire che, pur partendo dalle giuste premesse, Aristotele avesse tratto le conclu- sioni sbagliate. Se gli elementi sono quei corpi in cui si dividono gli altri corpi e che non sono divisibili in entità di specie diversa come vuole lo Stagirita, allora è sba- gliato far corrispondere a questa definizione corpi generabili e corruttibili in virtù della loro natura composita.

Il rifiuto della teoria della reciproca trasformabilità degli elementi, a una prima analisi, può sembrare incoerente con la ‗nolana filosofia‘, tesa alla dimostrazione dell‘unità del tutto. Per giustificare questa teoria, infatti, Aristotele invocava l‘unità della materia al di sotto delle modificazioni nell‘assetto qualitativo dei corpi primi. Se gli elementi non mutano l‘uno nell‘altro, allora Bruno non può che concludere che esistano quattro tipi diversi di materia, inficiandone, se non l‘unità, l‘unicità.

Possiamo comprendere la ragione di questo rifiuto esaminando l‘articolo LXXIII

dell‘Acrotismus Camoeracensis. Dopo aver affermato che gli argomenti trattati dallo Stagirita nel terzo libro del De coelo sono teoreticamente legati a quelli del De generatione e che pertanto sono avulsi dalla critica alla cosmologia aristotelica che sta conducendo in quest‘opera, Bruno afferma che Aristotele ―ratione, qua destruit generationem esse ex superficiebus, tollit suam materiam primam e medio; generationem enim elementorum non esse ex non corpore decernit‖222

. Bruno si sta riferendo all‘argomentazione con la quale lo Stagirita aveva respinto le teorie pita- goriche e platoniche secondo cui i corpi primi sono formati da superfici triangolari. Nessun corpo, sostiene Aristotele, può venire dal non-corpo perché, se così fosse, ―omne enim quod fit, in aliquo fit et aut incorporeum erit id, in quo est generatio, aut habebit corpus (…) Si autem incorporeum, necesse est ut vacuum esse separatum‖223

e ciò è impossibile secondo i principi della fisica aristotelica. Gli enti geometrici non sono corpi, quindi da essi non possono derivare gli elementi. Ma, risponde Bruno, nemmeno la materia aristotelica è un corpo:

―Quale enim primum subiectum, quale primum principium, quod ab esse sequentium non absolvitur, quod nullam ex se, sed omnem et aliunde habere dicitur actualitatem, esse potest?‖224.

Un sostrato che non abbia in sé nulla che lo renda attuale, non può avere un‘esistenza fisica indipendente ed è pertanto solo un ente logico da cui non pos- sono in alcun modo derivare i corpi, quindi la stessa argomentazione che lo Stagirita avanzava contro i suoi predecessori può benissimo essere ritorta contro di lui. Come nel caso della critica alla natura degli elementi, Bruno sta rivelando l‘incoerenza interna delle teorie di Aristotele facendole implodere dall‘interno.

La critica che Bruno rivolge alla nozione aristotelica della materia è quella espo- sta nel De la causa, principio et uno: la materia è sì un sostrato indifferenziato atto a

221 ID., Libri Phyis. expl., p. 343. 222 ID., Camoer. Acrot., p. 185. 223 A

RISTOTELE, De coelo, III, f. 216A-E (De caelo, 305a 13-17). 224 B

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ospitare tutte le forme, ma non è una potenza pura, un prope nihil, perché alla po- tenza passiva corrisponde immediatamente la potenza attiva del principio datore di forme, di modo che ―la materia le manda come da sé, e non le riceve come di fuora‖225. Per questo Bruno apprezza la teoria delle dimensiones interminatae, per cui la materia ha già di per sé una qualche determinazione, teoria che Averroè chia- mava in causa proprio nel commento alla critica aristotelica delle teorie pitagorico- platoniche allo scopo di salvare il moto di generazione, cioè il venire all‘essere delle sostanze, che sembrerebbe richiedere un sostrato totalmente indifferenziato, cioè puramente potenziale e che sarebbe ricaduto sotto la critica aristotelica. Per il filo- sofo di Cordoba, il sostrato non è in realtà del tutto indifferenziato, infatti il corpo in potenza (cioè il sostrato atto a diventare corpo) deve già essere caratterizzato da una sua tridimensionalità.

Secondo Bruno, il principio formale attivo è necessariamente intrinseco al princi- pio materiale passivo e potenziale perché non c‘è essere senza poter essere e vice- versa. Materia e forma, sebbene logicamente distinguibili, sono ontologicamente inseparabili, come sa bene anche Aristotele, il quale analizza però la genesi degli elementi come se fosse davvero possibile scindere forma e materia. Le qualità non sono mai esplicitamente definite come forma degli elementi, sebbene ne svolgano spesso la funzione e sebbene siano state introdotte nel ruolo di quei contrari che nella Physica sono proprio la forma e la privazione, tanto che Averroè era stato co- stretto a introdurre il concetto di forma diminuta per giustificare lo status ontologico delle qualità. La teoria di Aristotele si dimostra debole nel momento in cui cerca di far derivare i corpi primi da un sostrato che, considerato indipendentemente dalla forma, non è un corpo. Questa è la difficoltà che Bruno vuole aggirare respingendo il principio della reciproca trasformabilità degli elementi, principio che è ancorato su una concezione puramente logica della materia, e prendendo le mosse diretta- mente da corpi già formati e attualmente esistenti piuttosto che da un sostrato indif- ferenziato e astratto, seppur unico.

Un‘altra critica analoga, ma condotta con argomentazioni diverse e secondo un differente punto di vista, è esposta nel De triplici minimo ed è basata sulla distinzione tra minimi naturali e minimi sensibili. I primi sono i minimi corpi, cioè gli atomi della tradizione antica che Bruno riprende e propugna contro l‘aristotelismo, atomi che avranno un posto preciso anche nella sua teoria della struttura elementare della materia. A causa delle loro dimensioni, gli atomi sono impercettibili, quindi soltanto i loro aggregati possono essere colti dai sensi. Esiste dunque una quantità minima di materia atomica aggregata tale che ―ad sensum habeat analogiam‖226 e che, in que- sto modo, costituisca il cosiddetto minimo sensibile, che pertanto non coincide con il minimo naturale:

―Minima quippe iuxta primam formam, qua minima et corpora sunt, indifferentia habentur omnia; quod vero subinde eorum haec quidem sunt

225 I

D., Causa, p. 716. 226 I

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sensibilia, illa vero non, oportet quadam adiectione fieri; ac non est credibile ullam huiusmodi qualitatem super prima materia immediate fundari‖227.

Questa istanza è perfettamente in accordo con l‘atomismo di Lucrezio, che giunge alla medesima conclusione a partire da un‘argomentazione diversa: se gli atomi sono i principi primi, inalterabili ed eterni, non possono essere caratterizzati da nessun tipo di qualità. Constatiamo infatti che le qualità sono mutevoli ed effi- mere e se per natura un atomo fosse bianco, dovrebbe alterarsi o distruggersi per diventare nero. Questo vale per tutti gli altri tipi di qualità, che emergono nei corpi composti a seconda della modalità di aggregazione dei corpi primi:

―Sed ne forte putes solo spoliata colore corpora prima manere, etiam secreta teporis sunt ac frigoris omnino calidique vaporis, et sonitu sterilia et suco ieiunia feruntur,

nec iaciunt ullum proprium de corpore odorem‖228.

Per Bruno, come per Lucrezio, tutte le qualità, comprese le quattro qualità tangibili elementari di Aristotele, non si fondano sui minimi corpi, ma è necessario che vi sia già un aggregato strutturato in modo da fungere da minimo tangibile. Nemmeno secondo una prospettiva atomista è possibile che le qualità agiscano direttamente su un sostrato indeterminato, ossia sugli atomi non aggregati, che sono tuttavia molto meno astratti della materia aristotelica. Se la teoria delle qualità elementari non fun- ziona nemmeno quando viene applicata a un sostrato fisico concreto, a maggior ra- gione deve essere respinta quando è ancorata a un sostrato meramente logico.

Secondo Aristotele, gli elementi derivano da principi primi antecedenti, la mate- ria e le qualità, e in virtù di questa comune genesi sono reciprocamente convertibili, mentre per Bruno il discorso fisico deve prendere le mosse da quattro elementi non ulteriormente scomponibili e impossibilitati a mutare l‘uno nell‘altro. La materia è di quattro tipi distinti, ma la sua unità verrà recuperata in un secondo momento, in base a un‘istanza che, come vedremo, è nondimeno di origine aristotelica.

Questa differenza di vedute sulla priorità dei principi del divenire si riflette sul fatto che Aristotele non dedica una trattazione sistematica a ciascuno degli elementi, approfondendo piuttosto nel quarto libro dei Meteorologica le proprietà e le opera- zioni delle qualità, fedele alla sua teoria per cui gli autentici principi delle cose sono materia e forma piuttosto che i corpi semplici. Bruno, invece, ponendo gli elementi come veri principi, ne espone dettagliatamente le caratteristiche in quattro capitoli del De rerum principiis, oltre che in riferimenti più o meno approfonditi nei testi che abbiamo menzionato. Tuttavia, è nel De magia naturali che Bruno ci fornisce l‘elenco più completo di quelli che egli ritiene siano i veri elementi:

―Summa et divina et vera, utpote naturae maxime consona, philosophia est, quae rerum principia posuit aquam, seu abyssum seu stygem, item aridam

227 Ibid. 228 L

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seu atomos seu terram (non inquam tellurem), item spiritum seu aërem seu animam, et quartum lucem‖229.

Gli elementi sono acqua, atomi, spirito e luce: il loro numero resta invariato rispetto alla tradizione antica e alla teoria aristotelica che da questa tradizione deriva. Si ri- scontra anche una certa tendenza a rispettarne le forme, dal momento che Bruno riconduce gli atomi alla terra e lo spirito all‘aria, conciliando così le sue teorie con quelle tradizionali, conciliazione che, per ora, non avviene nel caso della luce, che prende il posto del fuoco senza spiegazioni del perché di tale sostituzione. Questo elenco, però, non coincide con quello premesso al De rerum principiis:

―In spacio subinde sunt duo materialia, terra videlicet et aqua. Terram appellamus interdum aridam, interdum atomos; aqua interdum est vapor, interdum magis subtiliata est aër. Duo consistentia immaterialia sunt spiritus et anima communiter dicta‖230.

Bruno introduce in questo passo una distinzione che non era presente nel De magia, quella cioè tra elementi materiali, cioè terra e acqua, a cui è ricondotta anche l‘aria, ed elementi immateriali, spirito e anima, e non nomina la luce, modificando così l‘elenco dei quattro elementi. Se si guarda però ai titoli dei capitoli, si ritrovano puntualmente gli elementi indicati nell‘altra opera magica, con l‘aggiunta dell‘identificazione tra luce e fuoco: De luce et igne, De aëre seu spiritu, De aqua e De terra. L‘elenco del De rerum principiis pone anche il problema se lo spirito sia da con- siderarsi materiale o immateriale, difficoltà confermata anche da un brano del De triplici minimo: ―Vim vero animalem ita individuam, ut tota sit in toto et singulis (…), concludimus esse aut non materialem aut eius materiae, quae in idem genus cum tribus praedictis non conveniat‖231.

Principi materiali sono dunque la luce, l‘acqua e l‘arida, indicati poco prima del passo citato, mentre la vis animalis, la ‗forza vitale‘, prende il posto dell‘aria e dello spirito in questo elenco ed è descritta con l‘espressione ‗tota in toto et singulis‘, che Bruno impiega di solito per indicare l‘anima mundi. Nel De la causa, principio et uno, ad esempio, il Nolano afferma che ―non in minor ragione vogliono l‘anima esser tutta in tutto il mondo, e tutta in qualsivoglia parte di quello‖232. Un altro dei nume- rosi esempi che possono essere addotti è un passo del De magia naturali in cui viene spiegato come l‘anima, sia universale che particolare, pur essendo presente in ogni cosa, attualizzi soltanto alcune delle sue potenzialità:

―Sicut enim anima nostra ex toto corpore totum opus vitae producit primo et universaliter, mox tamen quamvis tota est in toto et tota in qualibet parte, non tamen ideo totum facit ex toto et totum ex qualibet parte (…), ita et anima mundi in toto mundo‖ 233.

229 B

RUNO, De magia, p. 204. 230 I

D., De rerum princ., pp. 588-590.

231 ID., De minimo p. 170. I tre tipi di materia, che Bruno indicava poco sopra rispetto al passo citato,

sono appunto l‘acqua, la terra e la luce.

232 I

D.,Causa, p. 659. 233 I

119

Spesso, tuttavia, anima e spirito sono trattati come entità equivalenti a causa della similitudine della loro natura e delle loro funzioni. Se dunque intendiamo la vis animalis del passo sopra citato come equivalente allo spiritus, si può concludere che, in linea generale, per Bruno gli elementi sono quattro: lo spirito, la luce, l‘acqua e l‘arida234

.

Le fonti esplicite di questo elenco sono quelle attinenti alla tradizione ermetica: Mercurio Trismegisto, Mosé, i maghi caldaici, i poeti teologi e, da questi, tutta la fi- losofia greca facente capo a Platone235. È sufficiente leggere i passi in cui è descritta l‘origine del mondo tratti dal Poimandres e dalla Genesi per rendersene conto. Nel primo, il Nous mostra a Ermete una natura umida, tenebrosa e caotica, sulla quale agisce il logos divino organizzatore, che appare come una ‗voce di luce‘ e che ri- scalda l‘elemento umido producendo il fuoco. Questo si muove verso l‘alto, seguito dall‘aria che è simile allo spirito, mentre nella regione più bassa rimangono terra e acqua mischiate assieme e mosse dal logos dello spirito. I protagonisti di questa ge- nesi sono proprio i quattro elementi bruniani: l‘acqua e la luce, da cui deriva in un secondo momento il fuoco, l‘aria-spiritus e la terra inseparabile dall‘elemento umido.236

Ancora più forte è l‘influenza della Genesi, che all‘epoca di Bruno si supponeva scritta da Mosé in persona, che alcuni identificavano con lo stesso Er- mete prima della conversione. La coincidenza di alcuni lemmi ci costringe a ripor-

234 C‘è anche un altro elenco, che complica ancora di più il quadro complessivo, nella Lampas triginta

statuarum. In quest‘opera, i ‗semplici‘ diventano più numerosi: vi sono dapprima i quattro semplici

inferiori, cioè ―vacuum, hoc est receptaculum corporum‖, ―umbra, hoc est potentia formabilis et illuminabilis‖ e ―materia, hoc est subiectum primum susceptivum‖ (BRUNO, Lampas trig. stat., p. 1304),

che ripropongono la triade Chaos, Orcus e Nox. A questi se ne aggiunge un quarto, l‘―atomus, hoc est substantia physice impartibilis‖ (ibid.), ma esso non coincide più con l‘arida, che fa parte dei quatuor

prope simplicia assieme all‘acqua, al vapor e all‘exhalatio (cfr. ivi, p. 1306). Vi sono poi i prope simplicia,

cioè lo ―spiritus universalis, qui est aër universum vacuum replens‖, la ―lux universalis et ignis primum elementum‖ (ivi, p. 1341) e infine la substantia pura et simplex, che tuttavia è triplice e coincide con la triade Mens, Intellectus e Lux (da non confondersi con la lux precedentemente citata). Escludendo i principi pre-fisici, cioè la prima triade, e i principi meta-fisici, ossia la triade superiore, rimangono i quattro elementi elencati anche altrove più i due derivati ‗aerei‘ della terra e dall‘acqua di tradizione aristotelica, con la differenza che l‘atomo sembra assumere un carattere ancor più elementare dell‘arida, che ―est prima in qua concursus atomorum conflanda actuantur‖ (ivi, p. 1306).

235 Ecco, a titolo esemplificativo, l‘elenco delle fonti citate nelle prime pagine del De rerum principiis: ―ut

intellexit Thales et Moises‖ (BRUNO, De rerum princ., p. 590); ―hoc significant Orpheus, Linus, Hesiodus et omnes poetae‖ (ivi, p. 592); ―eo pacto quo intellexit Psaltes‖ (ibid.); ―authoritate Mercurii, Chaldaeorum et Moisis‖ (ivi, p. 596). Nel De magia naturali, invece, Bruno nomina ―Aegyptii, Moises, Diogenes Apolloniates‖ (ID., De magia naturali, p. 204).

236 ―Pauolopost umbra quidam horrenda obliqua resolutione subter labebatur in humidamque

naturam migrabat ineffabili tum vultu (sic) exagitatam. Inde fumus quidam magnus in sonitum erumpebat, ex sonitu vox egrediebatur quam ego luminis vocem existimabam, ex hac luminis voce verbum sanctum prodiit. Verum hoc nature humide adstans eam fovebat, ex humide autem nature visceribus sinceribus ac levis ignis protinus evolans alta petit. Aer quoque levis spiritu parens mediam regionem inter ignem et aquam sortiebatur. Terra vero et aqua sic invicem commixte iacebant, ut terre facies aquis obrupta nusque pateret. Hec duo deinde commota sunt a spiritali verbo‖ (ERMETE

TRISMEGISTO, Mercurii Trismegisti liber de Potestate et Sapientia Dei e Greco in latinum traductus a Marsilio

Ficino Florentino: ad Cosimum Medicem Patrie patrem. Pimander, in officina Henrici Stephani, Parisiis,

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tare parte dei primi dieci versetti, brano piuttosto lungo, ma necessario a mostrare le vicinanze lessicali:

―In principio creavit Deus cælum et terram. Terra autem erat inanis et vacua, et tenebræ erant super faciem abyssi: et spiritus Dei ferebatur super aquas. Dixitque Deus: Fiat lux. Et facta est lux. Et vidit Deus lucem quod esset bona: et divisit lucem a tenebris. Appellavitque lucem Diem, et tenebras Noctem: factumque est vespere et mane, dies unus (…). Dixit vero Deus: Congregentur aquæ, quæ sub cælo sunt, in locum unum: et appareat arida. Et factum est ita. Et vocavit Deus aridam Terram, congregationesque aquarum appellavit Maria. Et vidit Deus quod esset bonum‖237.

Come nel Poimandres, appare dapprima l‘acqua che è abyssus, come afferma bruno nel De magia naturali, sulla quale aleggia lo spiritus divino. La prima creazione di Dio è la luce, non il fuoco, che non viene menzionato nemmeno nel resto della narrazione. Dopo aver separato le acque superiori da quelle inferiori e aver creato così il firmamento, Dio separa l‘acqua dalla terra, che è chiamata anche arida, nome