• Non ci sono risultati.

L‘atteggiamento di Aristotele verso gli indivisibili, come emerge da quanto detto, sembra essere duplice: inaccettabili da un punto di vista matematico e quantitativo, nel quale viene fatta rientrare anche la tesi dell‘atomismo fisico, accettabili da un punto di vista logico e ontologico tramite il riconoscimento dell‘indivisibilità colta dal nostro intelletto sotto forma di concetti che corrispondono all‘essenza unitaria degli oggetti della conoscenza, anche in via negativa. Da un punto di vista fisico, invece, si è notato come lo Stagirita alluda all‘esistenza di qualcosa che è indivisibile per sé nell‘ambito delle determinazioni qualitative di un ente e questa tesi viene in un certo modo confermata dagli argomenti che Aristotele muove contro le omeome- rie di Anassagora.

159

Nel primo libro della Physica Aristotele, alla ricerca dei principi del divenire, va- glia le tesi dei suoi predecessori, tra cui i cosiddetti ‗fisici‘ che, per restare fedeli all‘istanza per cui nulla deriva da nulla, sostenevano che tutto proviene da parti- celle, elementi preesistenti ma impercettibili e che, dal momento che si constata che ogni cosa sembra generarsi da ogni altra, in qualsiasi corpo devono essere presenti tutti i tipi possibili di particelle (principio riassumibile nella formula ‗tutto è in tutto‘), anche se i singoli enti acquisiscono le proprietà e il nome dell‘elemento pre- valente. Ogni cosa si genera dalle altre per un processo di separazione, ossia un corpo A si genera da un corpo B (composto in maggioranza da particelle di tipo B) quando gli elementi di tipo A si separano da esso e si aggregano fra loro per for- mare un nuovo corpo in cui rappresentano il maggior numero, definendone la na- tura. Fra questi fisici è compreso Anassagora, secondo il quale gli elementi, le cosid- dette omeomerie, sono infiniti sia per numero che per specie.

La critica di Aristotele si muove lungo due linee: la prima è rivolta contro l‘infinità e l‘indeterminatezza delle omeomerie, la seconda contro il principio ‗tutto è in tutto‘. In primo luogo, sostiene lo Stagirita, l‘infinito è inconoscibile sia secondo il numero che secondo la specie, quindi gli elementi anassagorei sono inconoscibili e altrettanto inconoscibili dovrebbero essere i corpi da essi formati, ma questo con- traddice la realtà, dal momento che i corpi composti cadono sotto i nostri sensi e sono per noi intelligibili50.

Inoltre, le parti che compongono i corpi non possono essere né infinitamente grandi né infinitamente piccole, cioè non possono avere dimensioni indeterminate:

―si necesse est cuius (compositi) partem contingit quantulamcumque esse secundum magnitudinem et parvitatem, et ipsum contingere (…) si autem impossibile est animal aut plantam quantamcumque esse secundum magnitudinem et parvitatem, manifestum est quod neque partium quamlibet‖51.

Se il tutto ha dimensioni determinate e finite, allora anche le sue parti dovranno avere dimensioni altrettanto determinate e finite. Le parti di cui Aristotele parla, specifica Averroè, sono quelle

―in quas totum dividitur secundum quantitatem et non secundum qualitatem, sicut corpus dividitur in materiam et formam, neque partes quae sunt in toto in potentia, sed partes in quas universum dividitur et sunt illae quae sunt in toto in actu‖52.

Le parti qui prese in considerazione non sono né la forma e la materia, né parti esistenti potenzialmente in un continuo indiviso, come conferma anche Tommaso d‘Aquino, ma sono parti che hanno una natura e una funzione precisa all‘interno di un organismo: ―sicut caro, nervus et os‖53, oppure ―fructus plantarum‖54. Mentre né

50 Cfr. ARISTOTELE, De physico auditu, I, t. 35, f. 22M (Phys., 187b 7-13). 51 Ivi., t. 36, f. 23K (ivi, 187b 13-18).

52 AVERROÈ, In Physicam, I, comm. 36, f. 24D. 53 TOMMASO, In Physicam, I, l. IX, n. 8.

160

lo Stagirita né il Cordobense sembrano legare questo argomento alla definizione di precisi limiti in qualche modo inerenti alla natura dell‘intero (il corpo dell‘animale o la struttura della pianta), ma si limitano a constatare che laddove l‘intero abbia di- mensioni determinate anche le sue parti devono essere determinatamente piccole o grandi, l‘Aquinate aggiunge: ―est enim aliqua quantitas ita magna, ultra quam nullum animal extenditur, et aliqua ita parva, infra quam nullum animal invenitur; et similiter dicendum est de planta‖55. Tommaso afferma chiaramente che esistono dei massimi e dei minimi nelle dimenioni di un ente naturale, limiti che, tenden- zialmente, non vengono mai superati: infatti ―oleaster nunquam ad molem olivae exurgit, cuniculus ad molem bovis, elephas ad montis magnitudinem‖56, spiega Bruno nei Libri Physicorum Aristotelis explanati. Il Nolano segue l‘interpretazione to- mista e introduce anch‘egli ―maximum et minimum‖57 propri ad ogni specie di ente, arricchendo l‘esposizione con una serie di chiari esempi, che tuttavia applica anche alla confutazione del secondo principio anassagoreo: ―Quocirca necessarium est inferre non esse possibile in quocunque esse quodcunque, cum etiam quodcunque non est quantumcunque et qualemcunque‖58. Per i due domenicani la determina- tezza delle dimensioni del tutto non è una semplice costatazione generale, ma è le- gata ad un preciso carattere intrinseco alla sua essenza e la spiegazione che Tom- maso ne dà è la seguente: ―in corpore naturali consideratur forma naturalis, quae requirit determinatam quantitatem sicut et alia accidentia. Unde non potest inveniri quantitas in specie carnis nisi infra aliquos terminos determinata‖59. Le dimensioni di un corpo naturale non sono aspetti contingenti, ma contribuiscono a determi- narne la natura: in un corpo troppo piccolo, ad esempio, non potrebbero manife- starsi quelle proprietà che lo caratterizzano e, al di sotto di quelle dimensioni, non avremmo quel corpo, ma qualcosa di diverso, come afferma l‘Aquinate nella Sentencia libri de sensu et sensato, che avremo modo di esaminare fra poco.

Contro il principio secondo il quale tutto è in tutto, Aristotele avanza questo primo argomento: se la carne si genera dall‘acqua attraverso un processo di segre- gazione, ―remota enim ex aqua carne, et iterum alia facta ex reliqua segregatione, quamvis sempre minor erit segregata, at tamen non excedit magnitudinem aliquam parvitate‖60. Dato che il composto iniziale di carne e acqua ha una quantità definita, sarà definita anche la quantità di carne presente nel composto. Se da essa conti- nuiamo a estrarre parti di carne, per quanto sempre più piccole, non sarà tuttavia possibile toglierne più di quella che è effettivamente presente, come interpreta an- che Averroè: ―caro enim habet magnitudinem et parvitatem terminatam, quam non pertransit, scilicet quod non invenitur caro habens magnitudinem minorem ista‖61,

55 TOMMASO, In Physicam, I, l. IX., n. 8. 56 BRUNO, Libri Phys. expl., p. 289. 57 Ibid.

58 Ibid.

59 TOMMASO, In Physicam, I, l. IX, n. 9. Tra gli argomenti forniti da Tommaso a suffragio delle tesi dello

Stagirita c‘è anche un richiamo ai minimi sensibili: ―Non ergo est possibile quod sint aliquae partes carnis aut ossis quae sint insensibiles propter parvitatem‖ (ibid.).

60 ARISTOTELE, De physico auditu, I, t. 37, f. 24G (Phys., 187b 27-30). 61 AVERROÈ, In Physicam, I, comm. 37, ff. 24M-25A.

161

dove con magnitudo e parvitas vanno intesi, a mio avviso, i limiti indicanti la quantità di carne attualmente presente nell‘ipotetico composto. Le situazioni possibili sono due: o il processo di estrazione giunge a un termine e in questo caso, quando sarà stata estratta anche l‘ultima particella, non resterà più carne nell‘acqua e quindi tutto non sarà più in tutto, perché avremo un composto assolutamente privo di carne; oppure il processo non avrà fine, cioè la quantità di carne presente nell‘acqua sarà divisibile all‘infinito in parti sempre più piccole, ma allora avremo infinite parti finite che costituiscono una grandezza finita, il che è assurdo.

Tuttavia, se per Aristotele la seconda possibilità conduce a un assurdo e la prima è invece lo strumento atto a confutare la teoria di Anassagora, se ne può lecitamente dedurre che la quantità di carne presente nel composto non sia infinitamente divisi- bile, conclusione che convalida l‘interpretazione di Tommaso, secondo il quale ―contingit dare aliquam parvam mensuram carnis, qua non erit minor aliqua caro, ut ex superiori ratione apparet‖62, sostenendo così che i corpi abbiano un minimo naturale al di sotto del quale perdono le loro proprietà e la loro essenza. Nei Libri Physicorum, invece, Bruno non invoca questo principio, in quanto ne aveva già anti- cipato l‘applicazione in occasione dell‘esposizione del secondo argomento contro l‘infinità e l‘indeterminatezza delle omeomerie.

Il secondo argomento proposto da Aristotele è quello in cui più fortemente emerge la possibilità di un‘interpretazione in favore della dottrina dei minimi natu- rali:

―si omne quidem corpus, remoto quodam, minus necesse est fieri, carnis autem determinata est quantitas et magnitudine et parvitate, manifestum est quod ex minima carne nullum segregabitur corpus: erit enim minor minima carne‖63.

Anche per lo Stagirita si arriverà a una parte minima di carne dalla quale non sarà più possibile estrarre alcunché, o meglio, da cui non sarà più possibile estrarre altra carne, come dice Averroè: ―ex minima carne, scilicet qua nulla caro est minor, impossibile est exire corpus consimile omnino‖64, anche se poco oltre aggiunge: ―necesse est ut illud corpus, a quo exeunt haec corpora, perveniat ad minimam quantitatem illius speciei corporis et tunc erit impossibile ut ex eo exeat aliquid‖65. Questo passo, tuttavia, può essere interpretato nel senso della dottrina dei minimi naturali in quanto, se dalla minima caro non fosse possibile estrarre assolutamente niente, avremmo allora un corpo perfettamente indivisibile, in contrasto con il ri- fiuto aristotelico delle teorie atomiste. Se invece fosse possibile estrarre dalla mi- nima carne qualcosa di diverso e privo delle proprietà della carne, non si incorre- rebbe nel rischio di sconfinare nell‘atomismo, in quanto il corpo preso in considera- zione rimarrebbe comunque divisibile, né in quello di assecondare la teoria anassa- gorea, in quanto il risultato della divisione non è più la stessa omeomeria a sua volta infinitamente divisibile, ma un corpo di natura diversa.

62 TOMMASO, In Physicam, I, l. IX, n. 11.

63 ARISTOTELE, De physico auditu, I, t. 38, f. 25D (Phys., 187b 35-188a 2). 64 AVVERROÈ, In Physicam, I, comm. 38, f. 25F-G.

162

L‘interpretazione di questo passo resta tuttavia ambigua: il processo di segrega- zione che Aristotele descrive, come risulta chiaramente dal‘argomento precedente, non è quello matematico per cui dall‘intero è possibile ad esempio asportare una metà, dalla quale è poi possibile estrarre un quarto e così via all‘infinito, secondo il reciproco delle potenze di due. Per lo Stagirita, dal punto di vista fisico, data una quantità x iniziale, se ne potranno estrarre quantità y sempre più piccole, ma tale che si arriverà a un momento in cui avremo un valore di y che supererà il valore re- siduo di x e che quindi non potrà più essere estratto. Ciò che rende difficile affer- mare che Aristotele stia parlando di minimi naturali è il fatto che egli non specifichi come sia quantificabile questo determinato valore minimo di x, ossia non dice a chiare lettere che esso è determinato in base alla capacità di quella sostanza di mantenere inalterate le proprie caratteristiche essenziali, quindi resta sempre possi- bile che si stia riferendo a un valore contingente, che dipende di volta in volta dalle quantità di sostanze prese in considerazione.

Per quanto riguarda l‘Aquinate, questo secondo argomento è riportato con estrema fedeltà66 dal momento che la sua interpretazione è già stata chiaramente esposta e che proprio questo passo aristotelico è il più vicino alla teoria dei minimi naturali. La stessa cosa vale anche per Bruno, il quale si limita a ripetere come ―in parvitate et magnitudine naturales species sint definitae‖67, quindi se esiste una mi- nima carne ne consegue che da essa non si può asportare una parte che sia minore del minimo.

Il terzo argomento di Aristotele non fa che sviluppare una conseguenza del primo: se in corpi finiti vi sono infiniti corpi di tutte le specie, il che è già di per sé assurdo, allora anche in ognuna di queste infinite omeomerie ci saranno infiniti corpi, ognuno di essi con esistenza separata, e così via68: ―et sic infinita erunt in infinitis infinities‖69, come glossa Averroè e come ripetono anche Tommaso e Bruno70. Tuttavia, è proprio su quest‘ultimo argomento che Bruno muove una cri- tica ad Aristotele nel Camoeracensis Acrotismus: se da un punto di vista quantitativo non esistono indivisibili ma, com‘è affermato nel sesto libro della Physica, una linea è divisibile in infinite parti a loro volta infinitamente divisibili, perché lo Stagirita ―in primo physicorum tam strenue urgeat adversus Anaxagoram, ut ex cujus sententia consequatur, in infinito esse infinita infinities?‖71. Il Nolano è perfetta- mente consapevole che ―aliud sane est magnitudo mathematice, aliud magnitudo physice sumpta‖72 secondo Aristotele, ma contesta proprio la liceità di questa scelta, che pone le basi di una matematica sterile e astratta, inapplicabile alla filosofia della natura:

―Facit natura divisionem, per quam consentaneum est ad illas ultimo minimas partes divenire, ad quas nullum artificium instrumento aliquo

66 Cfr. TOMMASO, In Physicam, I, l. IX, n. 13. 67 BRUNO, Libri Phys. expl., p. 290.

68 Cfr. ARISTOTELE, De physico auditu, I, t. 38, f. 25D (Phys., 188a 2-5). 69 AVERROÈ, In Physicam, I, comm. 38, f. 25H.

70 Cfr. TOMMASO, In Physicam, I, l. IX, n.14; cfr. BRUNO, Libri Phys. expl., pp. 289-290. 71 BRUNO, Camoer. Acrot., p. 154.

163

proprius accedere possit; ultra quam, cum nullus actus naturae neque alterius causae progrediatur, quid rationis est, quod tam subtiliter et egregie non physicorum more sed mathematicorum ludat ingenium?‖73.

Se i corpi sono composti da minima, come sembra sostenere anche lo Stagirita perlomeno nell‘interpretazione tomista, non è opportuno creare una matematica che non li riconosce, totalmente avulsa dalla realtà. I minimi a cui Bruno si riferisce, però, non sono i minima naturalia della tradizione, come risulta dalle seguenti parole:

―in eas partes resolutum os, nullam ossis habet formam: caro nulla carnis: lapidis nullam speciem lapis, in iis os, lapis et caro non differunt, sed ex iis diversimode compositis, compactis et ordinatis, caro, lapis, os et caetera fiunt diversa‖74.

I minimi del Nolano sono senza dubbio gli atomi privi di qualità e dotati solo di determinazioni quantitative, in questo caso ancor più ridotte rispetto a quelle rico- nosciute dagli atomisti, in quanto per Bruno gli atomi sono tutti uguali tra loro per dimensioni e forma, che è sempre sferica. Il Nolano critica l‘astrattezza della mate- matica aristotelica riproponendo quelle entità che a sua volta lo Stagirita rifiutava di assumere come principi della natura in quanto non molto dissimili da enti matema- tici.

L’ultimo argomento contro la divisibilità indiscriminata dei corpi naturali chiama