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Grazie all‘esame delle opere aristoteliche di Bruno e al loro confronto con la Physica dello Stagirita e con i principali commenti successivi, possiamo affermare che i giudizi espressi da Tocco sono ancor oggi condivisibili. Per quanti riguarda la Figuratio, infatti, Tocco afferma: ―Nell‘insieme il compendio della fisica aristotelica (…) è tale che con gli opportuni ritocchi anche oggi potrebbe correre‖107. Inoltre, anche la parte dell‘ampio commento alle opere fisiche di Aristotele relativa ai primi

101 A

LBERTO MAGNO, In Phys., I, tr. 3, c. 10 (citato in NARDI B., La dottrina d‟Alberto Magno sull‟«inchoatio

formae» cit., p. 88).

102 ―Alberto non parla della potenza che forma una cosa sola colla materia prima per sé presa, ma bensì

della potenza della materia propria già resa atta dalla privazione a ricevere l‘azione dell‘agente particolare‖ (NARDI B., La dottrina d‟Alberto Magno sull‟«inchoatio formae» cit., p. 92).

103 Cfr. N

ARDI B., La dottrina d‟Alberto Magno sull‟«inchoatio formae» cit., pp. 89-93. 104 Cfr. TOMMASO, In Physicam, II, lect. II, n. 8.

105 Ivi, lect. I, n. 3. 106 B

RUNO, Figuratio, pp. 155-156; cfr. anche ID., Libri Phys. expl., p. 320. 107 T

due libri della Physica, a parte qualche lieve inesattezza, è valida e fedele al testo ari- stotelico108. Bruno, riportando fedelmente ed efficacemente la dottrina della priva- zione elaborata da Aristotele, dimostra di conoscerla bene e di conoscere anche le interpretazioni proposte da Averroè e Tommaso d‘Aquino.

La dottrina aristotelica rappresenta il punto di partenza dal quale muove il No- lano nell‘elaborare la propria nozione di privazione, ma abbiamo già avuto modo di osservare che nel De la causa, principio et uno Bruno si dimostrava piuttosto critico verso la concezione aristotelica di materia, laddove essa veniva ritenuta un prope nihil a causa della privazione che la caratterizza, per questo è necessario prendere in esame anche le due opere nelle quali lo Stagirita è apertamente e direttamente criti- cato e che fanno da contraltare alla Figuratio e ai Libri Physicorum, dei quali sono esattamente coeve. I Centum et viginti articuli adversus Peripateticos del 1586 e il Camoeracencis Acrotismus del 1588 sono fondamentali al fine di verificare se il con- cetto di privazione delineato da Aristotele sia stato rifiutato in toto da Bruno, o se sia stato accolto senza alcuna modifica e utilizzato nelle opere costruttive e magiche, oppure se, una volta criticato e rielaborato, sia stato fatto proprio e abbia assunto un‘accezione diversa da quella aristotelica.

Gli Articuli adversus Peripateticos sono la raccolta sistematica delle obiezioni del Nolano alla fisica aristotelica, compilata in occasione della famigerata disputa te- nutasi presso il Collège de Cambray109, mentre l‘Acrotismus è la rielaborazione estesa ed articolata dell‘opuscolo parigino. Il decimo articolo di quest‘ultimo è riportato pressoché letteralmente nell‘Acrotismus e così recita: ―Naturae nomine dignius esse formam quam materiam, nusquam probare potuit Aristoteles. Privationem quoque naturae nomine insignire, nescio quam tute potuerit‖110.

Quest‘articolo e la sua corrispondente ratio sono gli unici luoghi in cui Bruno fa riferimento alla dottrina della privazione, rimandando al De la causa per una più ampia trattazione dell‘argomento111

. In questo luogo, tuttavia, ribadisce ulterior- mente la sua obiezione:

―Nusquam ostendit Aristoteles, ubi sit formarum naturalium constantia, cum quippe omnes particulares corrumpantur, neque communiter neque praecise rationem eius principii, quod semper maneat oportet, habere possunt. Ipsae si e potentia materiae educuntur, et non extrinsecus ab efficiente inducuntur, in materia veriori modo sunt, et a materia actus rationem habent‖112.

La forma, anzi le forme particolari, pur trovandosi nel risultato del processo di ge- nerazione, sono comunque destinate a sparire con la corruzione e sono quindi di-

108 Cfr. TOCCO F., Le opere inedite di Giordano Bruno cit., pp. 81-83.

109 Per la ricostruzione più aggiornata degli esiti della disputa, si veda AMALIA PERFETTI, Un nuovo

documento sul secondo soggiorno parigino di Giordano Bruno (1585-1586) in EUGENIO CANONE (a cura di),

Giordano Bruno. Gli anni napoletani e la peregrinatio europea, Università degli studi, Cassino 1992, pp. 99-

109.

110 BRUNO, Camoer. Acrot., p. 104. Il passo corrispondente è in ID., Articuli adv. Perip., p. 11.

111 ―Sed de actu materiae et de existentia formarum in ea, partim diximus in dialogis de principio‖ (ID.,

Camoer. Acrot., p. 105).

sposizioni transeunti e contingenti della materia, incapaci di sussistere senza quest‘ultima, che ne permette appunto la realizzazione. Se Aristotele, in quanto filo- sofo della natura, rifiuta l‘esistenza di un principio formale che in qualche modo trascenda le cose particolari, respingendo sia la nozione platonica di idee che quella pitagorica di numeri, cioè se Aristotele respinge gli universalia ante rem, è costretto ad affermare soltanto l‘esistenza degli universalia in re, particolari e contingenti, e degli universalia post rem, che sono enti puramente logici, nessuno dei quali presenta le caratteristiche di stabilità e permanenza necessarie per essere definito natura113. A maggior ragione, se si ritiene che il principio efficiente che informa la materia sia intrinseco, non è possibile sostenere la permanenza delle forme indipendentemente dalla materia, unico elemento veramente permanente al di sotto del continuo e infi- nito susseguirsi delle forme:

―Quod vere perseverat materia est, quia non minus particularis, quae est in me et in lapide, semper manet, quam universalis: quicquid autem forma appellatur Aristoteli, (nisi ad universales faciat recursum) habet novum esse et abesse, noviter inquam in superficie materiae apparet et evanescit‖114.

Soltanto la materia è propriamente natura e principio. A questa si potrebbe sem- mai aggiunge l‘efficiente universale, cioè la Mens universale che ha in sé le idee par- ticolari che fungono da principio formale delle cose, senza bisogno di addurre anche queste ultime, a meno di non voler incorrere in un‘eccessiva ridondanza, giacché esse sono già contenute nel principio efficiente:

―Porro si haec sunt in natura ex vi mentis ordinatricis, vel ex natura materiae seipsam casu exagitantis, non est quod formam constituamus principium, sed vel efficientem et materiam, vel solam materiam, sub alicuius contrarietatis conditione et moderamine‖115

.

Il Nolano lascia aperte due possibilità, sostenendo che i principi possono essere o la materia e la Mens o la sola materia sotto l‘effetto dei contrari (posizione che rie- cheggia decisamente quella aristotelica), ma esclude categoricamente che le forme o, in generale, la forma possano essere definite natura a causa del loro carattere tran- seunte. Da questo deriva che ancor meno tale definizione potrà applicarsi alla pri- vazione, che non solo ne condivide l‘instabilità, ma è addirittura assenza di forma.

Questa è l‘unica obiezione che Bruno muove alla dottrina aristotelica della priva- zione e ci permette di comprendere quale carattere essa debba assumere per poter essere integrata nella filosofia della natura del Nolano: la privazione, se intesa come correlato delle forme particolari, va considerata come una causa transitoria e non

113 Aristotele erra anche nel proporre la forma come oggetto di studio della metafisica perché ―la

forma, così come l‘ha intesa lo Stagirita, non merita neppure di essere considerata un principio naturale, poiché manca dei requisiti di necessità e universalità propri dell‘oggetto della scienza fisica, fissati dallo stesso Aristotele‖ (BARBARA AMATO, Aspetti dell‟antiaristotelismo bruniano nel Camoeracensis

Acrotismus, «Bruniana & Campanelliana», XI-1, 2005, Fabrizio Serra Editore, p. 155). Se non è degna di

essere oggetto della fisica, la forma non potrebbe nemmeno, a rigore, essere oggetto della metafisica, disciplina a cui lo Stagirita rimanda alla fine del primo libro della Physica.

114 Ivi, p. 105. 115 Ibid.

come un principio del divenire. Tuttavia, se fosse possibile parlare di una priva- zione assoluta che caratterizza la materia prima e che faccia da correlato all‘unico principio efficiente-fromale, allora si deve considerare come essa svolga questa fun- zione, in modo tale da non degradare la materia a prope nihil, istanza già sostenuta nel De la causa.

Riguardo a questa duplice natura della privazione, infatti, abbiamo visto che Averroè e Tommaso d‘Aquino offrivano al Nolano interpretazioni diverse: nello spiegare cosa lo Stagirita intendesse parlando di privazione come forma negativa, Averroè aveva distinto tra le privazioni particolari, ognuna correlata a ogni singola forma particolare e definibile come forma diminuta, e privazione assoluta di tutte le forme che, in quanto tale, si configura come vera e propria forma della materia prima. Alberto Magno prendeva in considerazione entrambi gli aspetti, ma metteva in risalto soprattutto il ruolo delle privazioni particolari che sottostanno alle singole inchoationes formae, mentre l‘Aquinate si limitava a considerare la privazione una forma imperfecta e non proponeva affatto un concetto generale di privazione, impli- candone così la correlazione alle forme positive particolari. Tuttavia, ciò implica, almeno a livello teorico, l‘impossibilità di pensare una materia che sia veramente informe e spogliata di ogni determinazione, cioè di pensare una vera e propria ma- teria prima.

Non è difficile capire per quale di queste due interpretazioni propenda Bruno, che nel De la causa esprime a chiare lettere la sua ammirazione per Averroè e pro- prio in riferimento alla dottrina della materia che il filosofo arabo elabora nel primo capitolo del Sermo de substantia orbis116

:

―Dice lui che la materia ne l‘essenzia sua comprende le dimensioni interminate: volendo accennare che quelle pervengono a terminarsi, ora con questa figura e dimensioni, ora con quella e quell‘altra, quelle e quell‘altre, secondo il cangiar di forme naturali. Per il qual senso si vede che la materia le manda come da sé, e non le riceve come di fuora‖117.

Averroè, ricollegandosi ad Aristotele e ricapitolando la sua dottrina della genera- zione, tratta della materia prima, riportando correttamente l‘istanza per cui essa, dovendo ricevere le forme sostanziali, deve essere in potenza, giacché ciò che è in atto non è in grado di accogliere altre forme oltre a quella che già possiede. Averroè, però, riconduce la potenzialità e l‘indeterminatezza della materia alla quantità: dal momento che ciò che si genera dall‘interazione tra forme e materia sono i corpi e dal momento che tutti i corpi sono primariamente caratterizzati dall‘avere tre dimen- sioni, ne consegue che la condizione per cui il sostrato è grado di accettare le forme sostanziali, che determinano appunto la figura e le dimensioni dei corpi, è che esso sia totalmente privo di dimensioni definite, ma che sia comunque dotato di una sorta di dimensionalità:

116 Cfr. RITA STURLESE, «Averroe quantumque arabo et ignorante di lingua greca...». Note sull'averroismo di

Giordano Bruno, «Giornale critico della filosofia italiana», LXXII-2, 1992, Le Lettere, Firenze, pp. 253-254. 117 B

―invenit omnes formas comunicari in dimensionibus non terminatis, sicut quod prima materia nunquam denudatur a dimensionibus non terminatis: quia, si denudaretur, tunc corpus esset ex non corpore et dimensio ex non dimensione‖118.

La nozione di dimensioni interminate permette ad Averroè di saldare due istanze: da un lato, l‘indeterminatezza garantisce l‘universalità del sostrato renden- dolo adatto a ricevere tutte le forme e le figure senza escluderne alcuna, dall‘altra consente di non equiparare la pura potenzialità della materia a un prope nihil, attri- buendole una dimensionalità che non ne inficia la capacità di accogliere qualsiasi cosa, in quanto se esiste una proprietà comune a tutti i corpi, come appunto la tri- dimensionalità, essa può essere attribuita anche al loro sostrato senza correre il ri- schio che esso non sia più compatibile con alcuni di essi. Ci si può addirittura spin- gere ad affermare che le dimensioni interminate sono la forma della materia prima: ―illa forma, scilicet dimensionis non terminatae, existit in prima materia primitus‖119.

La dimensionalità della materia prima, inoltre, è ciò che le rende possibile rice- vere la molteplicità delle forme: ―si non haberet dimensionem, non reciperet insimul formas diversas numero, neque diversas spe ci (sic) sed in eodem tempore non inveniretur nisi una forma‖120. Se la materia non avesse un‘estensione indeterminata ma potenzialmente determinabile e divisibile, cioè se non fosse costitutivamente possibile individuare in essa porzioni distinte, sarebbe un‘entità unitaria e omoge- nea e non potrebbe accogliere simultaneamente più forme diverse121

, cioè sarebbe ridotta al rango dei sostrati particolari e già determinati che sottostanno alle singole cose.

Con il concetto di dimensioni interminate sembrerebbe cadere quello di priva- zione assoluta come forma della materia prima in quanto a quest‘ultima verrebbe attribuito un carattere spicifico. Tale carattere, tuttavia, è per sua essenza indetermi-

118 A

VERROÈ, De sub. orbis, f. 4B. 119 Ivi, f. 4D.

120 Ivi, f. 4G. Silvia Donati ricostruisce così il ragionamento di Averroè, che si basa su tre assunti: il

primo è che ―la materia in se stessa è una e indivisa ed è resa divisibile da una forma accidentale, la quantità estesa‖; il secondo sostiene che ―una forma materiale è estesa e divisibile non in se stessa, ma in virtù della sua inerenza ad un sostrato esteso e divisibile‖; il terzo è che ―la forma sostanziale è estesa e divisibile in quanto inerisce ad una materia estesa e divisibile‖. Da questi tre assunti consegue che ―occorre postulare quale sostrato della forma una materia estesa, cioè dotata di dimensioni. In altre parole, occorre postulare delle dimensioni quali prima determinazione formale della materia e anteriori alla forma sostanziale. Secondo Averroè, le dimensioni indeterminate costituiscono la corporeità assolutamente considerata (corpus simpliciter), dalla quale la materia non si separa mai‖ (SILVIA DONATI, Materia e dimensioni tra XIII e XIV secolo: la dottrina delle dimensiones indeterminatae,

«Quaestio», VII, 2007, Brepols, Turnhout ―, p. 365). Per la trattazione di questa tematica in Tommaso

d‘Aquino, cfr. ivi, pp. 367-371.

121 ―(…) la materia veniva a connettersi con la forma in un rapporto di reciproca azione nella genesi

delle sostanze corporee: la forma, in virtù della sua determinazione qualitativa, procedeva a definire e delimitare l‘indeterminatezza della materia, quest‘ultima, in virtù della propria dimensione, era responsabile della divisione e distinzione delle forme, rendendo possibile l‘esistenza sia simultanea sia successiva di forme molteplici‖ (STURLESE R., «Averroe quantumque arabo et ignorante di lingua greca...»

nato perché è una dimensionalità pura, originariamente carente di ogni termine e definizione (in-terminata), non compromettendo così il carattere radicalmente pri- vativo del sostrato.

Bruno esprime esplicitamente la sua approvazione per questa dottrina per il fatto che essa attribuisce alla materia un ruolo positivo nella produzione delle cose122: la dimensionalità fa sì che la generazione dei corpi non sia dovuta unicamente all‘azione di un principio efficiente e formale, ma che sia richiesto anche l‘apporto del principio materiale che, privo di determinazioni, sembra però cacciarle fuori da se stesso, perché, come affermava sempre nel De la causa ―ha tutte le misure, ha tutte le specie di figure e di dimensioni; e perché le have tutte, non ne ha nessuna‖123. Questo è quanto sostiene anche Bruno nel momento in cui postula l‘esistenza di un efficiente universale intrinseco che ribalta l‘indeterminazione e la privazione asso- luta del sostrato nella pienezza del possesso di tutte le forme. Subito dopo, però, il Nolano accosta l‘aristotelico Averroè al neoplatonico Plotino:

―Questo in parte intese ancor Plotino, prencipe nella setta di Platone. Costui facendo differenza tra la materia di cose superiori et inferiori, dice che quella è insieme tutto; et essendo che possiede tutto, non ha in che mutarsi: ma questa con certa vicissitudine per le parti, si fa tutto; et a tempi e tempi, si fa cosa e cosa, però sempre sotto diversità, alterazione, e moto. Cossí dumque mai è informe quella materia, come né anco questa, benché diffe- rentemente quella e questa: (…) quella esplicatamente, questa complicata- mente‖124.

Nella distinzione plotiniana tra materia intelligibile e materia sensibile Bruno vede un‘eco della distinzione cusaniana tra complicatio ed explicatio e vede un‘ulteriore conferma del legame indissolubile tra materia e forma. Tuttavia, non stupisce affatto che Bruno, nel suo eclettismo, rievochi anche un autore platonico, nonostante questi abbia una concezione radicalmente negativa della materia125

, in quanto il legame tra

122 Antonio Corsano propone altri due motivi, ossia la tendenza monistica e la maggior concretezza del

sostrato così definito, per cui Bruno esprime tale approvazione verso la dottrina delle dimensiones

interminatae che, come dice lo studioso, fu poi avversata da Tommaso d‘Aquino nel De materia: ―Si

apriva così la prospettiva di un monismo materiale-dimensionale, per unificare tutte le particolari dimensioni e relazioni quantitative in una dimensione universale infinita; ma anche quella di una considerazione della materia più positiva che quella strettamente aristotelica, una volta che la si fosse dichiarata intrinsecamente, epperò indissolubilmente, determinata per opera di questa sua unica determinazione quantitativa‖ (ANTONIO CORSANO, Il pensiero di Giordano Bruno nel suo svolgimento

storico, Congedo, Galatina 2002, p. 120).

123 B

RUNO, Causa, 713-714.

124 Ivi, p. 716. ―Item materia eorum quae gignuntur aliam semper et aliam habet speciem.

Sempiternorum vero materia eadem semper possidet idem. Ferme vero haec apud nos materia contra se habet, atque illa. Haec enim per partes et aeterne sit omnia, in singulisque temporibus singula: ideo que nihil usquam permanet, dum alia ab aliis extruduntur. Idcirco nihil semper est idem. In superis autem materia simul est cuncta. Cumque iam cuncta possideat, non habet omnino in quo valeat permutari. Nunquam igitur materia illic est informis, quando neque informis unquam est materia nostra. Sed et in hoc aliter haec atque illa se habet‖ (PLOTINO, Enneades cum Marsilii Ficini intepretatione

castigata, A. F. Didot, Paris 1855, II, 4, 3, pp. 72-73).

125 ―Est igitur incorporea, quoniam corpus posterius est atque compositum, et ipsa una cum alio

aristotelismo e platonismo relativamente alla nozione di materia prima è antico e ben fondato.

Che vi sia un‘influenza platonica sulla teoria aristotelica del sostrato può essere attestato a partire non tanto dalla teorizzazione esplicita della nozione, quanto dalle immagini che lo Stagirita impiega per rafforzare la sua posizione126. In primo luogo, come abbiamo visto sopra, Aristotele utilizza un paragone, quello tra il rapporto tra materia e forma e il rapporto tra femmina e maschio, che introduce il tema del desi- derio e della sua necessaria connessione con la mancanza. Tale similitudine rimanda alla caratterizzazione dell‘Eros nel Simposio che, in quanto desiderio, non può che essere desiderio di ciò che gli manca: ―Considera allora (…) se anziché verosimile, non sia proprio necessario che ciò che ha desiderio abbia desiderio di ciò che è man- cante, e invece non abbia desiderio se non ne sia mancante‖127. L‘immaginario plato- nico ricorre anche in un altro paragone aristotelico: ―permanens enim cum forma causa est eorum, quae fiunt, sicut mater‖128. Ritroviamo puntualmente questa similitudine nel Timeo:

―occorre pensare tre generi: quello che diviene, quello in cui si diviene, e quello che rappresenta il modello del divenire. E conviene assimilare quello che riceve alla madre, il modello al padre e la natura intermedia alla prole‖129.

Per Platone, il cosmo fisico, cioè il mondo del divenire, è simile al figlio che nasce dall‘unione di un padre, il mondo paradigmatico delle idee, e di una madre, lacéwra oupodocèh.

L‘ultima analogia consiste nel fatto che Platone afferma esplicitamente che la céwraè assolutamente indeterminata e priva di qualsiasi attributo:

―Se infatti fosse simile a qualcuna delle cose che entrano, quando giunges- sero le cose contrarie e assolutamente opposte per natura, le accoglierebbe e le riprodurrebbe male, lasciando trasparire la propria sembianza. (…) ciò

ratio, neque etiam terminus: est enim indefinitas quaedam: rursus neque potestas. Quid enim faciat? Sed haec omnia subterfugiat, nimirum neque entis appellationem sortiri debet, sed merito non ens nominatur, neque tamen ita non ens dicitur, ut motus vel status non ens dici solet, sed re vera non ens, simulacrum et imaginatio molis appetitioque substantiae sive subsistentiae‖ (PLOTINO, Enneades cit., III,

6, 7, p. 157.)

126 Ottimo a questo proposito è l‘articolo di Franco Ferrari apparso sul numero monografico di

«Quaestio» dedicato alla materia: ―Aristotele attribuisce a Platone l‘identificazione tra la materia e la misteriosa entità che compare nel Timeo con il nome di chora. Questa identificazione ha percorso l‘intera storia del platonismo antico, tanto che dopo Aristotele per un platonico risulterà quasi inevitabile considerare chora e hyle come sinonimi‖ (FRANCO FERRARI, La chora nel Timeo di Platone.