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Questo è il contesto aristotelico a partire dal quale è stata elaborata la teoria dei minima naturalia che Bruno ha recepito grazie alla mediazione di Tommaso d‘Aquino. I corpi non sono divisibili all‘infinito perché la loro natura è caratteriz- zata dalla qualità che, sotto una certa soglia, non sono più in grado di manifestare le loro proprietà non solo da un punto di vista oggettivo, ma anche sotto l‘aspetto sog- gettivo: le passiones cadono infatti sotto i nostri sensi e quindi nel De sensu et sensibilibus Aristotele pone il problema se esse possano essere divise all‘infinito come accade a ciò che è considerato sotto un punto di vista meramente quantitativo. Entrambe le risposte sembrano condurre a delle assurdità: se le qualità si divides- sero all‘infinito, ―necessarium (est) sensum in infinita dividi et omnem

76 Cfr. AVERROÈ, In Physicam, I, comm. 39, ff. 24M-25A. 77 Ivi, f. 25C.

78 Ivi, f. 25D.

79 TOMMASO, In Physicam, I, l. IX, n. 15. 80 BRUNO, Libri Phys. expl., p. 290. 81 Ibid.

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magnitudinem esse sensibilem: impossibile enim album quidem videre, non quantum autem‖82. Se le qualità sono ciò che rende percepibile un corpo, allora an- che corpi piccolissimi sarebbero percepibili, ma constatiamo che non è possibile per noi percepire alcunché se è inferiore a certe dimensioni: esisterebbe quindi un limite minimo che costituisce la soglia di sensibilità, al di sotto della quale corpi e qualità esistono, ma non in quanto avvertibili.

Le qualità sensibili, allora, non dovrebbero potersi dividere all‘infinito, ma in questo caso ―continget utique esse aliquod corpus nullum habens colorem, neque gravitatem, neque talem aliquam aliam passionem, quare neque sensibile omnino‖83. Esisterebbero cioè dei corpi completamente privi di qualità e per questo insensibili: questa tesi porterebbe un ottimo argomento a favore delle teorie atomi- ste, alle quali Aristotele si è sempre dimostrato avverso: ―si haec habent sic, videtur testificari illis, qui indivisibiles faciunt magnitudines‖84. Tuttavia, anche questa conclusione conduce a conseguenze assurde: i corpi sensibili, infatti, sarebbero composti da corpi insensibili, cioè da enti matematici85, ipotesi che Aristotele aveva già respinto nel De coelo confutando le tesi pitagorico-platoniche sulla genesi degli elementi a partire da superfici triangolari86. Inoltre, mentre gli enti matematici sono entia rationis e quindi perfettamente intelligibili, i corpi insensibili, che Tommaso d‘Aquino definisce ―minima corpora‖87, introducendo il concetto di ‗minimo‘ che non appare esplicitamente nella trattazione aristotelica, dovrebbero essere comun- que dei corpi materiali esterni e quindi, se non sono accessibili ai nostri sensi, ancor meno lo saranno al nostro intelletto: ―nec enim intelligit intellectus quae exterius, non cum sensu, existentia‖88. Da ciò deriva che, non conoscendo le parti, non sa- remmo neppure in grado di conoscere l‘intero che deriva dalla loro somma, ma que- sto intero è sensibile e pertanto intelligibile, in aperto contrasto con quanto concluso a partire dall‘ipotesi che le qualità sensibili non siano infinitamente divisibili.

La soluzione proposta da Aristotele per uscire da questa impasse consiste nel ri- corso ai concetti di atto e potenza: come non siamo in grado di vedere la decimille- sima parte di un chicco di miglio pur riuscendo a cogliere con lo sguardo l‘intero chicco e quindi a percepire anche quella parte pur senza distinguerla dal tutto, così le qualità che, al di sopra di una certa soglia cadono attualmente sotto i nostri sensi, al di sotto di quella soglia sono potenzialmente sensibili:

―sensus exuperantia non secundum se ipsam sensibilis, nec separata (potentia enim inest in exquisitione, exuperantia) nec tamen sensibile separatum erit actu sentire, sed tamen erit sensibile: nam et potentia iam est et actu erit adveniens‖89.

82 ARISTOTELE, De sensu, f. 10F (De sensu, 445b 8-10). 83 Ibid. (ivi, 445b 11-13).

84 Ibid. (ivi, 445b 18-19).

85 ―Sensibile igitur erit compositum non ex sensibilibus, sed necesse est non enim ex mathematicis‖

(ibid.; ivi, 445b 14-15).

86 Cfr. supra, pp. 71-72.

87 TOMMASO, In De sensu, tr. I, l. xv, n. 5.

88 ARISTOTELE, De sensu, f. 10G (De sensu, 445b 17-18). 89 Ivi, f. 10I-K (ivi, 446a 11-15).

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L‘eccedenza di sensazione (sensus exuperantia), cioè quella parte di sensazione che eccede i limiti inferiori (o superiori) oltre i quali non è più avvertibile, non è sensi- bile né in sé né in quanto separata, ossia presa isolatamente dalla totalità della sen- sazione stessa. La stessa cosa può essere detta dell‘oggetto della sensus exuperantia, che è percepibile in atto soltanto quando non è separato dall‘insieme dell‘oggetto percepito.

Tommaso spiega questa tesi aristotelica con un percorso diverso: in una realtà continua e indivisa, tutte le parti esistono soltanto in potenza, ma avranno un‘esistenza attuale come entità a sé stanti quando la realtà continua verrà divisa, quindi ―pars seprata est actu existens, unde potest actu sentiri; pars autem indivisa est in potenita, et ideo non sentitur in actu‖90. La stessa cosa accade alle qualità, ―quae sunt divisibiles per accidens‖91, cioè non divisibili in sé ma in quanto inerenti a una realtà indivisibile. Avremo dunque qualità sensibili in potenza quando queste ineriscono a una parte indivisa di un continuo, avremo invece qualità sensibili in atto quando ineriscono a una parte attualmente separata.

Questo contrasta in parte con l‘affermazione aristotelica secondo cui ―separatae autem tantae exuperantiae rationabiliter utique resolventur in continentia‖92, ossia che le exuperantiae, se separate dal corpo di cui fanno parte, non sono sensibili. Que- sta discrepanza però sussiste soltanto fintantoché Tommaso non prende in conside- razione la soglia minima discriminante fra sensibile e insensibile: il domenicano af- ferma infatti che ―etiam partes separatae non sunt in infinitum sensibiles‖93 e questo per due ragioni. Innanzitutto, c‘è differenza fra gli enti matematici e i corpi naturali:

―corpus mathematicum est divisibile in infinitum, in quo consideratur sola ratio quantitatis in qua nihil est repugnans divisioni infinitae. Sed corpus naturale, quod consideratur sub tota forma, non potest in infinitum dividi, quia, quando iam ad minimum deducitur, statim propter debilitatem virtutis convenitur in aliud‖94.

Vi sono delle dimensioni minime al di sotto delle quali le virtutes, le proprietà che definiscono l‘essenza di un determinato ente corporeo, non sono più in grado di manifestarsi ed è proprio questo il principio che sottende la dottrina dei minima naturalia.

Il secondo motivo è che, se anche i corpi sensibili potessero essere divisi all‘infinito, i nostri sensi non sarebbero sufficientemente acuti per coglierli: ―non semper inveniretur superabundantiam sensus in excellentia virtutis, secundum ipsam superabundantiam sensibilis in parvitate‖95. Questo però non implica che le superbundantiae sensibiles in parvitate non siano potenzialmente sensibili perché, se esistesse un senso acutissimo, le potrebbe percepire.

90 TOMMASO, In De sensu, tr. I, l. xv, n. 10. 91 Ibid.

92 ARISTOTELE, De sensu, f. 10I (De sensu, 446a 9-10). 93 TOMMASO, In De sensu, tr. I, l. xv, n. 12.

94 Ibid. 95 Ivi, n. 14.

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L‘impossibilità di dividere all‘infinito i corpi e le qualità sensibili ha due giustifi- cazioni: una estrinseca, legata ai limiti dei nostri sensi (se non c‘è un senso in grado di coglierlo, è assurdo definire ‗sensibile‘ alcunché), l‘altra intrinseca, dovuta all‘essenza stessa delle realtà sensibili. L‘argomentazione di Tommaso è in realtà una dettagliata spiegazione di quanto Aristotele afferma con poche parole sulla cor- rispondenza tra sensus exuperantia e sensibile, ma proprio la maggior accuratezza dell‘Aquinate lo conduce a esplicitare il legame con le riflessioni dello Stagirita rela- tive alla confutazione della dottrina anassagorea delle omeomerie infinitamente di- visibili e alla teoria dei minima naturalia, che i commentatori successivi hanno svi- luppato a partire da tali riflessioni e che, come vedremo, troverà posto anche nella classificazione bruniana delle atomae naturae.