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La terza realtà, l‘Unum a cui Aristotele accennava, è una risposta dello Stagirita ai paradossi eleatici, che mostravano l‘inconsistenza del divenire sostenendo l‘impossibilità che qualcosa muti nel suo contrario. Aristotele spiega invece come ciò sia possibile criticando i filosofi che l‘hanno preceduto e introducendo la sua soluzione:

―Dubitant enim aliquis qualiter densitas raritatem facere apta nata sit, aut haec densitate, similiter autem et alia quaecunque contrarietas: non enim amicitia litem congregat et facit aliquid ex ipsa, neque lis ex illa, sed utraque alterum quiddam tertium‖46.

Se vi è una terza realtà sulla quale entrambi i contrari possono agire, allora non si deve più sostenere che il bianco diventi nero, ma che l‘uomo caratterizzato dall‘esser bianco diventi nero: i contrari si succedono così in un realtà che muta, ma non si trasformano l‘uno nell‘altro.

Lo Stagirita illustra quindi come funzioni questo meccanismo esaminando il di- venire nella generazione in generale, cioè non considerano il mutamento tout-court, ma solo uno dei suoi aspetti. L‘uomo immusico diviene uomo musico in quanto ―oportet semper aliquid subiici, quod fit‖47 e, proprio grazie alla sua permanenza, in questo subiectum si succedono i due contrari ‗immusico‘ e ‗musico‘: ―etenim non oppositum permanet, homo enim permanet, musicum autem et immusicum non permanet, neque ex ambobus compositum, ut immusicus homo‖48

. Si dice che ‗l‘uomo immusico diviene musico‘, spiega Aristotele, perché c‘è un sostrato che sus- siste anche al termine del processo del divenire, mentre si dice ‗il musico diviene dall‘immusico‘ perché il contrario iniziale svanisce alla fine del processo e il perma- nere del sostrato non è reso esplicito (nella lingua comune, tuttavia, si dice anche ‗l‘immusico diviene musico‘).

45 ID., Libri Phys. expl., p. 294.

46 ARISTOTELE, De Physico auditu, I, t. 51, f. 31H (Phys., 189a 22-26). 47 Ivi, t. 60, f. 35I (ivi, 190a 14-15).

―Quare manifestum est ex dictis quod omne, quod fit, semper compositum est (...). Et hoc dupliciter: aut enim subiectum, aut oppositum. Dicitur autem opponi inmusicum, hominem autem subiici: et infigurationem quidem, et informitatem, vel inordinationem oppositum, aes autem, vel lapidem, vel aurum subiectum‖49.

Nel divenire non avremo mai una realtà semplice, ma ci troveremo sempre di fronte a qualcosa composto dal sostrato e da uno dei due contrari: ne deriva che né il so- strato né i contrari possono sussistere l‘uno senza gli altri. Lo Stagirita sta ancora procedendo per esempi, infatti il subiectum è sempre identificato con specifici mate- riali (bronzo, pietra, oro), ma stanno per emergere i concetti generali che sono alla base della sua filosofia della natura:

―Manifestum igitur quod, si quidem sunt causae et principia eorum, quae natura sunt, ex quibus primis sunt et facta sunt (...) quod omne et ex subiecto et forma fit. (...) est autem subiectum numero quidem unum, forma vero duo. Homo enim et aurum, et omnino materia numerabilis (...) quod fit non secundum accidens ex ipso fit: privatio autem, et contrarietas accidens, unum autem forma, ut ordo, aut musica, aut aliorum aliquid sic praedicantium‖50.

Per Aristotele, tutto ciò che diviene deve divenire dal sostrato e dalla forma, ma la forma è duplice perché implica anche il suo contrario, cioè la privazione. Il so- strato, che fin qui è stata indicato con gli esempi particolari dell‘uomo o di altri ma- teriali, è in generale la materia, mentre i due contrari sono privazione e forma, che non sono due contrari positivamente opposti, ma sono tali in quanto l‘una è assenza dell‘altra51. Nei Praedicamenta, infatti, Aristotele distingueva accuratamente tra l‘opposizione dei contrari (il bianco e il nero, il buono e il cattivo) e l‘opposizione tra possesso e privazione52

e sottolineava che quest‘ultima comportava l‘irreversibiiltà del passaggio da possesso a privazione. Queste due caratteristiche renderebbero impossibile l‘applicazione del concetto di privazione alla spiegazione del muta- mento, che deve avvenire da un contrario all‘altro e, nel caso della generazione e della corruzione, deve spiegare il passaggio dalla privazione alla forma e dalla forma alla privazione. Tuttavia, come l‘essere, anche la privazione si dice in molti modi e ne esiste un tipo che può essere annoverato fra i contrari, anzi, che costitui- sce la prima contrarietà: ―Prima vero contrarietas habitus et privatio est, non tamen omnis privatio (multipliciter enim privatio dicitur) sed quae cum perfecta sit‖53. Lo

49 Ivi, t. 64, f. 38G (ivi, 190b 10-17).

50 Ivi, tt. 65-66, ff. 38L-39E (ivi, 190b 17-29).

51 Così spiega Enrico Berti: ―la qualità a partire da cui ha inizio il mutamento è l‘opposto (antikeimenon)

di quella a cui il movimento approda. Ebbene, la prima qualità, ad esempio l‘essere non-musico, si chiama anche «privazione» (sterêsis), mentre la seconda, ad esempio l‘essere musico, si chiama «forma» (morphê), sicché si può dire che gli elementi del divenire sono: sostrato, privazione e forma, dove è chiaro che la privazione è detta così perché è appunto la privazione, cioè la mancanza, della forma‖ (ENRICO BERTI., La materia come soggetto in Aristotele e nei suoi epigoni moderni, «Quaestio», VII, 2007,

Brepols, Turnhout, p. 32).

52 Cfr. ARISTOTELE, Praedicamenta, ff. 53F-54B (Cat., 12b 26-13a 36). 53 I

strumento che ci consente di piegare il divenire non è la privazione di natura né la privazione assoluta, bensì la privazione perfetta:

―Sit itaque generationes ipsi materiae ex contrariis; fiunt autem ex forma et habitus formae, aut ex aliqua privatione speciei et formae: patet quod omnis quidem contrarietas privatio est, privatio vero non omnis fortasse contrarietas est‖54.

Il possesso della forma ‗bianco‘ (cioè di un contrario) implica l‘assenza della forma ‗nero‘ ossia, più in generale, la forma, quando presente, comporta la priva- zione della forma contraria. Privazione e forma si configurano così come una sorta di contenitori logici, di ‗classi‘ che servono allo Stagirita per generalizzare il di- scorso, quasi come se parlasse di un‘incognita e del suo opposto, di ‗x‘ e ‗-x‘. Non possiamo dire che il bianco è sempre forma e il nero è sempre privazione (o vice- versa), ma l‘attribuzione all‘una o all‘altra ‗classe‘ dipende dalla funzione che svol- gono nei particolari casi di generazione e corruzione. Per cui, sia esso bianco o nero, ciò che è all‘inizio del processo e che è destinato a svanire è definibile come ‗priva- zione‘ di ciò che ancora non è, mentre ciò che ancora non è, una volta realizzatosi al termine del processo, è definibile come ‗forma‘.

Come abbiamo già avuto modo di constatare nei Libri Physicorum, i commentatori di Aristotele esplicitano, così come fa anche Bruno, distinzioni e correlazioni con altri concetti della speculazione aristotelica che nella Physica rimangono implicite oppure integrano il testo con riferimenti alle altre opere dello Stagirita. Ciò accade in occasione di queste riflessioni sulla differenza tra l‘espressione ‗l‘immusico di- viene musico‘ e l‘espressione ‗l‘uomo musico diviene dall‘uomo immusico‘, cioè quando Aristotele si avvale di considerazioni di carattere linguistico per ricostruire la differenza tra il mutare di un aspetto sostanziale e quello di un aspetto acciden- tale in base al carattere semplice (‗musico‘) o composto (‘uomo musico‘) dei termini impiegati. A questo proposito, infatti, Averroè distingue tra alterazione sostanziale e alterazione accidentale: l‘espressione ‗hoc fit hoc‘ indica che a mutare è la sostanza della cosa, mentre ‗ex hoc fit hoc‘ significa che l‘aspetto che cambia è soltanto acci- dentale. Ciò che permane al di sotto del mutamento è definito dispositio substantialis, mentre ciò che si altera è la dispositio accidentalis55. Questa distinzione è collegata poi alla differenza tra il generari simpliciter, che è proprio delle sostanze, e il generari multipliciter, proprio invece degli accidenti: infatti non solo gli accidenti mutano, ma anche le sostanze, che non si predicano di nessun altro soggetto e che perciò fun- gono da sostrato necessario ad ogni cosa, possono mutare le une nelle altre (come accade quando dal seme si sviluppano piante o animali)56

.

Anche Tommaso d‘Aquino riprende la distinzione tra mutamento sostanziale e mutamento accidentale e aggiunge che il fieri simpliciter proprio delle sostanze è un initium essendi, mentre il fieri secundum quid è relativo a quantità, qualità e altri acci- denti57

. In questo caso, sia Averroè che l‘Aquinate non fanno altro che ricollegarsi al

54 Ivi, t. 16, f. 263G (ivi, 1055b 11-15).

55 Cfr. AVERROÈ, In Physicam, I,comm. 62, f. 37E-I. 56 Cfr. ivi.

57 Cfr. T

primo libro del De generatione et corruptione, in cui Aristotele affronta in modo più approfondito e articolato la questione delle differenze dei vari tipi di divenire ed elabora la celebre classificazione dei quattro tipi di mutamento secondo quattro delle dieci categorie. La generatio simplex è il mutamento secondo la categoria di so- stanza, ed avviene ex non ente, e si distingue dall‘alterazione, dall‘aumento e dal moto locale, che avvengono sempre ex aliquo58. Essi implicano invece mutamenti delle qualità, della quantità o del luogo ma in senso lato possono anche essere defi- niti generazioni in quanto si tratta di evoluzioni da un contrario all‘altro all‘interno delle rispettive categorie.

Bruno, nei Libri physicorum, riporta anch‘egli le osservazioni linguistiche di Ari- stotele e aggiunge la spiegazione canonica: laddove lo Stagirita si limitava a dire che la formula ‗hoc fit hoc‘ si applica a ciò che permane come sostrato della mutazione, mentre la formula ‗ex hoc fit hoc‘ si applica ai contrari che si succedono nel muta- mento, Bruno attribuisce questa differenza alla tipologia del cambiamento. Si dirà che ‗l‘immusico diviene musico‘ perché il mutamento coinvolge la sostanza della cosa che muta e quindi il cambiamento avviene substantive; si dirà invece che ‗il mu- sico diviene dall‘immusico‘ (inteso come ‗il musicista diviene da colui che non è musicista‘) perché a cambiare è un aspetto accidentale (la capacità di suonare) della cosa che muta e quindi il cambiamento avviene adjective. Tuttavia, anche in questa accezione, è possibile dire ‗l‘immusico diviene musico‘ perché in questo caso inten- diamo dire che l‘uomo che non sa suonare (sostrato con privazione) diventa uomo che sa suonare (sostrato con forma), cioè l‘attribuzione degli accidenti alla sostanza avviene in modo implicito59

. Come si può facilmente notare, questa distinzione tra mutamento substantive e mutamento adjective corrisponde alla distinzione tra generatio simplex e generazione di Aristotele, tra alteratio substantialis e alteratio accidentalis di Averroé, tra fieri simpliciter e fieri secundum quid di Tommaso: questo ci dimostra che Bruno aveva ben presente sia il testo dello Stagirita sia i commenti che ne erano derivati.