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Collegandosi a quanto promesso alla fine del terzo libro, Aristotele dedica il quarto libro all‘analisi del pesante e del leggero, cioè alle potentiae che sembrano ca- ratterizzare in prima istanza gli elementi e Averroè non esita a giustificare la neces- sità di questa trattazione ―cum ipsas (pesantezza e leggerezza) esse formas horum corporum sit manifestum per se‖46, proponendo l‘identità tra peso e leggerezza e forme degli elementi. Tale posizione è confermata anche dal fatto che, quando Ari- stotele collega immediatamente il peso e la leggerezza all‘attitudine naturale di un

42 A

RISTOTELE, De coelo, III, t. 77, f. 233B (De caelo, 307b 19-23). 43 AVERROÈ, In De coelo, III,comm 77, f. 233C-D.

44 Cfr. ARISTOTELE, De coelo, III,t. 67, f. 225M (De caelo, 306b 9-11); ivi, t. 74, f. 231G (ivi, 307a 33-307b 4). 45 Cfr A

VERROÈ, In De coelo, III, comm. 77, f. 233D-E. 46 Ivi,

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corpo a muoversi in un certo modo affermando che ―Grave enim et leve, quia moveri aliquo modo naturaliter potest, dicimus‖47, Averroè definisce questa attitu- dine ―habitus, scilicet forma‖48

, specificando che ―cum dicit illud, quod habet potentiam, intendit formam, non illud quod habet formam: forma enim et habitus dicuntur habere potentiam, et dicuntur esse potentiae, sed activae, non passivae‖49

. Per il filosofo di Cordoba, che ancora una volta conferma il suo intento di individu- are le forme degli elementi, le potentiae attive degli elementi sono dunque più adatte delle passiones a ricoprire il ruolo di formae diminutae.

Aristotele chiarisce quale sia la correlazione tra peso e leggerezza e attitudine al movimento dopo una rapida critica ai suoi predecessori, che hanno trattato soltanto del pesante e del leggero relativi e non hanno mai teorizzato l‘esistenza di peso e leggerezza assoluta. Al contrario, è possibile individuare un criterio di assolutezza:

―haec quidem semper nata sunt a medio ferri, illa vero semper ad medium: horum autem id quidem, quod a medio fertur, sursum dicimus ferri, deorsum vero id, quod ad medium (...). Nos autem ipsum universi extremum sursum dicimus, quod et secundum positionem est sursum, et natura primus‖50.

L‘estremo limite del cosmo costituisce il luogo più alto in assoluto, perché al di so- pra di esso non c‘è null‘altro, mentre il centro dell‘universo coincide con il luogo assolutamente basso, in quanto nulla può esservi collocato al di sotto e, chiara- mente, la possibilità di affermare ciò deriva direttamente dalla finitezza del cosmo dimostrata nel primo libro. Di conseguenza, peso e leggerezza dei corpi si defini- scono in base al loro movimento, in quanto pesante è ciò che si muove spontanea- mente verso il centro, cioè verso il basso, e leggero è ciò che tende ad allontanarsi dal centro, cioè a muoversi verso l‘alto: ―Simpliciter igitur Leve dicimus, quod sursum fertur et ad extremum. Grave autem, quod simpliciter deorsum et ad medium‖51. Relativamente pesante o leggero, invece, è ciò che, confrontato con un altro corpo dotato dello stesso volume della stessa tendenza a muoversi verso lo stesso luogo assoluto, si muove rispettivamente verso il basso o verso l‘alto con maggiore o minore rapidità52

.

Il passo successivo dell‘argomentazione consiste nell‘indagare le cause del peso e della leggerezza dei corpi e, secondo il metodo consueto, Aristotele procede prima a negare validità alle dottrine dei suoi predecessori, in particolare a quella di Platone, secondo il quale il peso dipende dal numero delle parti da cui è costituito un corpo, e a quella degli atomisti, che ritengono che il peso di un corpo dipenda dal rapporto tra vuoto e pieno che lo caratterizza. In questa sezione lo Stagirita fornisce, anche se in modo non sistematico, l‘ordine in cui vanno disposti gli elementi: il fuoco è as- solutamente leggero e la sua regione è l‘alto assoluto, la terra è assolutamente pe-

47 A

RISTOTELE, De coelo, IV,t. 2, f. 234B (De caelo, 307b 31-32). 48 A

VERROÈ, In De coelo, IV,comm. 2, f. 234E. 49 Ivi, f. 234F.

50 ARISTOTELE, De coelo, IV, t. 4, f. 235E-F (De caelo, 308a 14-22). 51 Ivi, t. 6, f. 236I (ivi, 308a 29-31).

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sante ed è collocata al centro, l‘aria e l‘acqua occupano la regione intermedia, ma l‘aria è più leggera dell‘acqua e l‘acqua è più leggera della terra53.

Aristotele espone la propria dottrina del peso e della leggerezza prendendo le mosse dalla teoria generale di movimento, inteso come un mutamento che avviene da un contrario all‘altro. Il movimento secondo natura di corpi semplici, infatti, non può che essere lo spostamento verso l‘alto o verso il basso perché, come il muta- mento secondo la qualità, cioè l‘alterazione, non può che procedere da una qualità alla sua contraria e come il mutamento secondo la quantità non può che procedere dal più al meno o dal meno al più, così il mutamento secondo luogo, semplice e se- condo natura, non può che essere verso uno dei due luoghi naturali54. Nel caso del movimento locale, inoltre, non solo l‘inizio e la fine del movimento sono legati da una precisa relazione, ma anche il rapporto tra motore e mobile non è casuale, ma determinato da precisi rapporti. Quindi le condizioni che ci permettono di indivi- duare le cause del peso e della leggerezza che, come abbiamo visto, sono correlati al movimento, sono che ―ad ipsum sursum et deorsum motivum quidem est ipsum grave factivum ac leve factivum‖, che ―mobile autem sit quod potentia grave est atque leve‖ e che si possa affermare che ―in suum locum ferri unumquodque ad suam formam est ferri‖55. In primo luogo, secondo la definizione stessa di ‗pesante‘ e ‗leggero‘, il motore che spinge i corpi verso l‘alto o verso il basso coincide con ciò che rende pesante o leggero un corpo. In secondo luogo, il mobile che qui si prende in esame non è un corpo qualsiasi, ma è ciò che è in potenza pesante o leggero. Es- sendo infatti il movimento ―eius, quod potentia existit actus, quatenus huiusmodi‖56

, esso non coincide con la perfetta realizzazione della potenza, ma piuttosto con il processo che conduce a questa attualizzazione. Il raggiungimento dello stato attuale, infatti, consiste nel termine del processo, quindi implica la quiete e la stabilità, non il divenire. Il mobile deve dunque essere solo in potenza pesante o leggero perché, se il peso o la leggerezza fossero in atto, esso avrebbe già raggiunto il basso o l‘alto e sarebbe di conseguenza immobile. In terzo luogo, Aristotele indica una connessione tra luogo e forma dal momento che afferma che muoversi verso il proprio luogo è realizzare la propria natura, e ciò per due motivi

:

―Quoniam autem locum est ipsius continentis finis (...), hoc autem modo quodam fit forma contenti, in suum locum ferri ad simile ferri est. Quae enim deinceps sunt, similia sunt invicem, ut aqua aeri et hic ingni (...). Semper enim quod superius est ad id, quod est sub ipso, ut forma ad materiam, sic se habent ad seinvicem‖57.

53 Cfr. ivi, t. 9, f. 238D-E (ivi, 308b 13-21); ivi, t. 10, f. 238L-M (ivi, 308b 21-28); ivi, t. 16, f. 242 D-G (ivi,

309a 27-b 16).

54 ―Unumquodque autem dupliciter inest omnibus: ut hoc, aliud enim est forma ipsius, aliud vero

privatio; et secundum Quale, hoc enim est album, illud autem nigrum; et secundum Quantum, aliud enim perfectum est, aliud vero imperfectum; similiter autem et secundum Lationem, hoc enim est sursum, illud vero deorsum, aut alium quidem leve, aliud vero grave: quare motus et mutationis species toti sunt, quot entis‖ (ARISTOTELE, De physico auditu, III, t. 5, f. 87 E-F; Phys., 201a 3-9).

55 ARISTOTELE, De coelo, IV,t. 22, f. 247K-L (De caelo, 310a 31- b 1). 56 I

D., De physico auditu, III,t. 6, f. 87K-L (Phys., 201a 10-11). 57 I

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Il luogo è il limite di ciò che contiene, quindi contribuisce alla sua definizione conferendogli una figura58 e, proprio per questo, muoversi vero il proprio luogo è muoversi verso il simile: la forma conferita, infatti, non può essere di natura diversa dalla cosa che la conferisce59. Nell‘applicazione cosmologica, inoltre, all‘affinità tra luogo e mobile contribuisce anche l‘affinità tra gli elementi consecutivi: l‘acqua è simile all‘aria e l‘aria è simile al fuoco. La pesantezza o la leggerezza di un elemento dipendono dalla sua tendenza a raggiungere spontaneamente quel luogo in cui rea- lizza appieno la propria forma, che sembra caratterizzata dall‘affinità con l‘elemento ad esso soprastante, il quale funge da contente. In cosa consista questa affinità, però, non viene ancora spiegato, ma Averroè lo anticipa nel suo commento: ―intendit per consimilia hic, ea quae conveniunt in una qualitate et differunt in alia, verbi gratia quod aer assimilatur igni, quia convenit ei in calore, licet contradicat ipsi in humiditate, et sic de aliis‖60

.

Naturalmente, anche per il filosofo di Cordoba il movimento dei corpi semplici è correlato al luogo, ma aggiunge che in esso ogni elemento ―quaerit suam perfectionem ultimam propriam, quae est locus, scilicet superficies corporis continentis‖61

. Averroè inserisce il concetto di perfezione, di piena realizzazione della propria natura ossia della propria forma, il cui desiderio sarebbe la causa fi- nale del moto degli elementi e quindi del loro essere pesanti o leggeri. Il rapporto tra potentiae, luoghi e forme si complica sempre di più in quanto, come abbiamo vi- sto, Averroè sembra in un primo momento identificare le forme degli elementi con peso e leggerezza, mentre ora afferma che ―elementa moventur ad sua loca

secundum quod generabile movetur ad formam qua perficitur‖62

, cioè ora sembra che i luoghi, in quanto superfici contenenti che definiscono la figura del corpo e che contribuiscono per questo alla realizzazione della sua essenza, assumano il ruolo di forma al posto di peso e leggerezza. Tuttavia, dato che le potentiae altro non sono che la tendenza a muoversi verso un luogo, la qualifica di forma può essere trasferita a tale luogo il cui raggiungimento rappresenta la piena realizzazione delle potentiae stesse. L‘ambiguità si chiarisce col proseguire delle argomentazioni: come afferma lo Stagirita, il concetto di forma è chiamato in causa solo come pietra di paragone. Così

58 Anche nel De generatione et corruptione è sostenuta la stessa posizione: ―ignis (…) natus est ferri ad

terminum; unumquodque autem natum est ad suam ispsius ferri regionem: forma autem et species omnium in terminis‖ (ID., De generatione, II, t. 50, f. 383D-E; De gener. et corr., 335a 19-23).

59 Elisa Fantechi, pur riferendosi alla trattazione della nozione di luogo nella Physica, afferma che

―indicativa al fine di una precisazione del concetto aristotelico di luogo è l‘analogia con la forma. Essa verte infatti sul concetto di ‗limite‘ (péerav), per cui il luogo e la forma sono entrambi definibili come limite, anche se in riferimento ad aspetti differenti del medesimo ente: come nella forma risiede il principio di individuazione che determina l‘ente, così il luogo, delimitandone la superficie, sembra costituire anch‘esso un elemento che contribuisce alla sua determinazione‖ (ELISA FANTECHI, Tra

Aristotele e Lucrezio. La concezione dello spazio nella teoria cosmologica di Giordano Bruno, «Rinascimento», s.

II, XLVI, 2006, Leo S. Olschki Editore, Firenze, p. 560). Inoltre ―nell‘esposizione della teoria dei luoghi

naturali i corpi sembrano essere condotti al proprio luogo in virtù di una potenza insita nel luogo stesso, che in questo fenomeno pare quindi assumere il ruolo di soggetto‖ (ivi, p. 561), potenza che potrebbe essere appunto il suo ruolo ‗formativo‘ nel definire la natura dei corpi che vi si collocano.

60 AVERROÈ, In De Coelo, IV,comm. 23, f. 250I. 61 Ivi, comm. 22, f. 248E.

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spiega Averroè: ―cum locus sit orizon rei quae continet, et indendit per orizon finem, (…), finis, qui continet rem extrisecus, similis sit formae: forma enim est finis rei habentis formam et in hoc tamen differunt, quia hoc separatur, hoc autem non‖63. La forma è limite non separabile dal corpo, mentre il luogo è separato: i due concetti non si possono identificare, ma c‘è tra essi un rapporto di similitudine in quanto svolgono entrambi una funzione definiente, per cui ―continens est similis formae et contentum materiae‖64.

Una particolarità del pesante e del leggero è che si muovono sempre verso i loro luoghi senza l‘apporto di un motore estrinseco, mentre secondo Aristotele questo accade solo talvolta nell‘alterazione o nell‘aumento e diminuzione:

―Magis autem his gravis et leve in seipsis habere videntur principium, propterea quod proxime ad substantiam horum materia sit. Signum autem est quod latio absolutorum est et generatione ultima motuum. Quare primus utique erit et secundum substantiam hic motus‖65.

Il motore è intrinseco perché negli elementi si può riscontrare una sorta di autosuffi- cienza in quanto, data la loro semplicità, la forma che li definisce deve essere la più elementare e rudimentale possibile: essa pertanto non si differenza molto dalla ma- teria. Gli elementi rappresentano la realtà corporea dotata del minimo livello di de- finizione che possa esistere e sono quindi i corpi col massimo grado di indetermi- natezza, al di là del quale è pensabile soltanto il sostrato indifferenziato: questo è il motivo per cui si può affermare che la loro materia è prossima alla sostanza e che la loro forma coincide quasi con la loro materia, prossimità che può consentire anche di sostenere che l‘elemento superiore può svolgere nei confronti dell‘elemento infe- riore una funzione analoga a quella che la forma svolge nei confronti della materia.

Avendo bisogno di un grado di determinazione molto basso, non è necessario l‘apporto di qualcosa di esterno che definisca l‘essenza degli elementi né che contri- buisca alla loro realizzazione. Il principio del loro movimento è intrinseco: il fuoco andrà verso l‘alto e la terra verso il basso semplicemente perché questa è la loro natura, in quanto la loro potenzialità non può che realizzarsi in questo modo:

―potentia ens, in actum veniens, proficiscitur illuc et ad tantum et tale, ubi est actus, et quanti et qualis et ubi. Eadem autem causa est ut ea, quae iam existunt atque sunt terra et ignis, moveantur in sua loca, nullo impediente‖66.

Questa vicinanza alla sostanza è chiarita da Averroè facendo riferimento alla di- stinzione tra il peso la e leggerezza e gli altri accidenti:

―materia gravis et levis (…) appropinquat substanitaa eorum, econtrario aliis accidentibus existentibus in ea. Et ideo, cum acquirit aliqua parse formae gravis aut levis, statim cum illa parte acquirit motus ad suum ubi,

63 Ivi, comm. 23, f. 250B. 64 Ivi, f. 250K.

65 A

RISTOTELE, De coelo, IV, t. 24, f. 251B (De caelo, 310b 31-311a 1). 66 Ivi, t. 25, f. 252K-L (ivi, 311a 4-8).

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nisi aliquod impediat, et non sunt ista accidentia remota a substantia eorum et ideo non indigent motore extrinseco‖67.

Peso e leggerezza sono diversi dagli altri accidenti perché, mentre nel processo di alterazione che coinvolge qualità, come il bianco e il nero oppure la salute e la ma- lattia, si modifica soltanto una parte dell‘ente in questione, con l‘assunzione di peso e leggerezza si modifica lo status dell‘intero corpo, che tutto assieme cambia il suo moto68

. Di conseguenza è la materia di tutto il corpo, e non di una parte di esso, ad essere coinvolta nel mutamento, il che implica che l‘azione delle potentiae sugli ele- menti sia radicale e coinvolga la sostanza stessa della cosa proprio perché ne coin- volge la totalità. Ciò implica anche l‘intrinsecità del motore, che coincide con il mosso: ―motor in istis non differt a moto nisi in modo, et sunt idem in subiecto‖69

. Stabilita la causa del movimento verso il luogo proprio, Aristotele dà una nuova definizione di pesante e leggero assoluti: ―Grave quidem simpliciter id esse, quod omnibus subsidet; leve autem quod omnibus supereminet‖70, ripetendo poi che il fuoco è assolutamente leggero e la terra assolutamente pesante. Il peso e la legge- rezza dipendono quindi dalla localizzazione, cioè dal luogo naturale nel quale l‘elemento si trova in quiete perché vi ha completamente realizzato la propria na- tura (ed è per questo che peso e leggerezza sono le cause del moto verso il basso o l‘alto). Averroè sostiene addirittura che è la localizzazione a determinare la potentia caratterizzante di un corpo semplice, infatti afferma:

―grave non est grave in actu nisi inquantum est in loco inferiori in actu, et similiter leve non est leve in actu nisi inquantum est in locum superiori in actu; necesse est ut illud, quod est in potentia in loco inferiori, sit materia gravis, et illud, quod est in potentia in loco superiori, sit materia levis‖71.

Ciò significa che la materia è potenzialmente in alto o in basso e non potenzialmente pesante o leggera: le due potentiae, pertanto, non hanno materia propria, ma sono i luoghi a definire il peso o la leggerezza di un corpo.

Inoltre, per Aristotele non si deve dubitare che esistano pesante e leggero assoluti in quanto, esistendo l‘alto e il basso assoluti come estremo e centro di un cosmo fi- nito, dei corpi che si dirigono spontaneamente verso quei luoghi l‘uno non può avere nulla sopra di sé e quindi è assolutamente leggero, l‘altro non può avere nulla sotto di sé, quindi è assolutamente pesante72

. In secondo luogo, lo Stagirita fornisce la definizione di pesante e leggero relativi: ―Aliter autem grave et leve quibus utraque insunt: etenim supereminent quibusdam et substant, quemadmodum aer et

67 AVERROÈ, In De coelo, IV,comm. 24, f. 252F. 68 Cfr. ivi, f. 252B.

69 Ivi, f. 252H. 70 A

RISTOTELE, De coelo, IV, t. 26, f. 254H (De caelo, 311a 17-18). 71 A

VERROÈ, In De coelo, IV, comm. 35, f. 262E.

72 Cfr. ARISTOTELE, De coelo, IV, t. 32, f. 258I-L (De caelo, 311b 17-29). Trattando del fuoco, Averroè nota

che ―definitio enim ignis istius est ebullitio corporis calidi et sicci‖ (AVERROÈ, In De coelo, IV, comm. 32,

f. 259 K) e lo descrive come lucens in quanto ―forte illuminatio ei accidit extra suum locum‖ (ivi, f. 259I).

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aqua: simpliciter enim neutrum horum leve est, aut grave‖73

. In questa definizione rientrano l‘acqua e l‘aria, che sono entrambe più leggere della terra e più pesanti del fuoco dal momento che il loro luogo naturale è il luogo intermedio. Tuttavia, l‘aria è più leggera della terra in quanto si colloca sempre sopra di essa, mentre l‘acqua è più pesante dell‘aria perché si colloca sempre sotto di essa. I corpi composti, invece, sono più o meno pesanti o leggeri a seconda del fatto che siano composti in maggior o minor parte da elementi pesanti o leggeri.

L‘esistenza dei corpi intermedi è poi giustificata quasi secondo un criterio di simmetria: in primo luogo, come esiste un luogo intermedio che non è né alto né basso, così deve esistere un altro genere di corpo né pesante né leggero; in secondo luogo, come esiste un corpo semplice che sta sopra a tutti e uno che sta sotto a tutti, così ne devono esistere altri due che allo stesso tempo sottostanno ad alcuni e sovra- stano altri74

. Aristotele aggiunge poi alcune osservazioni sul rapporto tra forma e materia: come già visto precedentemente, il luogo, che è la superficie interna del corpo contenente, svolge nei confronti del contenuto una funzione definiente ana- loga a quella svolta dalla forma rispetto alla materia. Ne consegue allora che l‘alto, cioè il confine dell‘universo, sarà il contenente e quindi sarà analogo alla forma, mentre il basso, cioè il centro del cosmo, sarà il contenuto, analogo alla materia (si potrebbe anche aggiungere che il fuoco sarà simile alla forma e la terra alla materia). E questo si può dire anche in rapporto al pesante e al leggero: ―Quare et in ipsa materia, quae est ipsius gravis et levis, quatenus quidem tale est potentia, est ipsius gravis materia, quatenus vero tale, levis. Et est quidem eadem, esse autem non idem‖75

. Se il pesante è correlato al basso e quindi è analogo alla materia e il leggero è correlato all‘alto e quindi è analogo alla forma, allora il sostrato in quanto tale, cioè materia indeterminata che può essere potenzialmente sia in alto che in basso, è cor- relato al pesante, ma in quanto facente parte di un sinolo attualizzato, cioè in quanto materia di qualcosa di pesante o di qualcosa di leggero, è correlato alla forma e quindi al leggero.

Proprio la potenziale duplicità della materia consente ad Averroè di anticipare che ―materiam primam esse unicam in subiecto, plura abilitate‖76, come osserva subito dopo Aristotele, il quale afferma che la materia, pur essendo comune sia al pesante, sia al leggero che ai quattro elementi, deve comunque differenziarsi per essenza: i quattro elementi sono costituiti da un sostrato comune, determinato però in modi diversi dalle loro proprietà: ―quare necesse est et materias tot esse quot haec sunt, quatuor scilicet. Sic autem quatuor, ut una quidem omnium sit communis,