• Non ci sono risultati.

Se ci si chiede in quale contesto compaia il concetto di indivisibile(\adiaòreton) in Aristotele, il primo caso che viene alla mente è sicuramente la critica condotta con- tro di esso nel sesto libro della Physica, in cui Aristotele dimostra che il continuo non è costituito da indivisibili, respingendone l‘esistenza in ambito matematico-geome-

25 LUCREZIO, De rerum natura, III , vv. 161-162. 26 Ivi, vv. 269-271.

27 Cfr. supra, pp. 122.

28 LUCREZIO, De rerum natura, III, v. 143. 29 Ivi, v. 218.

154

trico. Tuttavia, nel terzo libro del De anima appare una rapida trattazione in cui altre realtà vengono definite come indivisibili, mentre nel primo libro della Physica la cri- tica alle omeomerie di Anassagora implica l‘esistenza di parti minime sotto un certo aspetto indivisibili e nel De sensu et sensibilibus viene discusso il problema se le qua- lità sensibili siano divisibili all‘infinito. È a queste tesi che fa riferimento la dottrina dei cosiddetti minima naturalia sviluppata dai commentatori di Aristotele, tra cui Tommaso d‘Aquino31, dottrina che sostiene la necessità di fissare delle dimensioni minime al di sotto delle quali una cosa cessa di essere se stessa in quanto le sue pro- prietà caratterizzanti non sono più in grado di manifestarsi. Sul piano soggettivo, a questa tesi fa riscontro la teoria dei minimi sensibili, cioè dell‘esistenza di limiti al di sotto dei quali una qualità cessa di essere percepibile dai nostri sensi. La teoria dei minima naturalia non implica uno sconfinamento illecito nel territorio dell‘atomismo in quanto questi minimi non sono affatto indivisibili, ma dalla loro eventuale scis- sione risulterebbero altri corpi di natura diversa. Fu probabilmente la diffusione di queste dottrine a fornire in qualche misura le premesse per il ritorno dell‘atomismo nella fisica del XVII secolo e di esse, come ci si può aspettare dal rapido elenco delle

atomae naturae esaminate da Bruno nel De triplici minimo, se ne troverà traccia anche nella classificazione che analizzeremo al termine di questo excursus.

Delle tre citate opere di Aristotele possediamo il commentarium magnum di Aver- roè, e commenti di Tommaso e Bruno per quanto riguarda la Physica. Anche del De anima sono disponibili i commenti del Cordobense e dell‘Aquinate, mentre in No- lano non commentò quest‘opera, così come non commentò il De sensu, di cui ab- biamo soltanto il commento di Tommaso, in quanto la parafrasi di Averroè si ferma al quinto capitolo mentre questi argomenti sono trattati nel sesto.

3.3.1 - Indivisibili

Quando Aristotele, nel sesto libro della Physica, respinge l‘esistenza di entità in- divisibili, le realtà a cui fa riferimento sono le grandezze e il tempo, a cui fa seguito il movimento, quindi gli indivisibili oggetto del suo esame sono il punto e l‘istante che saranno però riconsiderati e rivalutati nel De anima secondo un‘altra definizione.

In primo luogo, sostiene Aristotele, il continuo è ciò i cui estremi sono uno, men- tre gli indivisibili in quanti tali non hanno parti e, di conseguenza, non si può affer- mare che siano dotati di estremi. Per lo stesso motivo, gli indivisibili non possono

31 Per un‘esposizione completa, anche se cursoria, delle fonti, degli aspetti e degli sviluppi della teoria

dei minima naturalia e degli autori che ne trattarono, si veda il saggio, che presta però scarsissima attenzione ad Averroè e Tommaso, di JOHN E.MURDOCH, The Medieval and Renaissance tradition of

minima naturalia, in LÜTHY C., MURDOCH J.E.,NEWMAN W.R. (a cura di), Late Medieval and Early

Modern Corpuscular Matter Theories, Brill, Leiden 2001, pp. 91-131. Può essere interessante anche lo

scritto di Danielle Jacquart relativo alla presenza di tale teoria nella Scuola di Salerno, dove lo studio della filosofia naturale era applicato alla medicina. Molti esponenti di questa scuola, che si rifacevano a un insieme di fonti piuttosto vasto, da Galeno al Pantegni, dal Timeo a Giovanni Filopono, nel XII secolo

iniziarono a parlare di minima proprio mentre cominciavano a circolare anche le prime traduzioni di Aristotele dall‘arabo, in particolare quella de De generatione et corruptione di Burgundio da Pisa, testo in cui lo Stagirita tratta della differenza tra vera e falsa mistione (cfr. DANIELLE JACQUART, Minima in

Twelfth-century medical texts from Salerno, in ivi, pp. 39-56). Si veda inoltre ANDREW PYLE, Atomism and

155

nemmeno essere in contatto in rapporto a parti, ma non possono esserlo neppure in rapporto al tutto, perché in tal caso dovrebbero essere nello stesso luogo, cioè non sarebbero entità distinte e separate, mentre il continuo è costituito da parti unite, ma che devono pur sempre essere caratterizzate da una certa articolazione spaziale. Infine, il continuo non può essere costituito nemmeno da indivisibili consecutivi, perché tra due entità consecutive, stando alla definizione aristotelica, deve esserci un intermedio che abbia una natura diversa, mentre tra punto e punto c‘è linea, tra istante e istante c‘è tempo, cioè enti dello stesso genere. Arisotele avanza inoltre una serie di argomentazioni di natura cinematica che implicano conclusioni assurde se formulate avendo tra le proprie premesse l‘esistenza degli indivisibili, argomenta- zioni che sono poi rivolte alla confutazione delle aporie di Zenone sul movimento32. Le critiche di Aristotele, di cui si è data solo una rapida esposizione in quanto è la pars construens degli aspetti fisici (e non matematici) del suo pensiero a rivestire il maggior interesse in questa sede, sono sostanzialmente rivolte a realtà dotate di una determinazione esclusivamente quantitativa, tant‘è che egli stesso ammette che ―in solo motu, qui secundum quale est, contingit indivisibile per se esse‖33, dal mo- mento che è possibile dividere in parti un oggetto bianco, ma non è possibile divi- dere il bianco in sé, alludendo così a un ambito in cui è lecita l‘esistenza degli indi- visibili. Le realtà a cui lo Stagirita sta facendo riferimento sono di tipo matematico e lo stesso movimento locale, se considerato solo rispetto alla grandezza, al tempo e alla velocità e indipendentemente dal corpo mosso assume un carattere astratto e matematizzato, come vuole la fisica successiva alla Rivoluzione scientifica.

Le obiezioni che Aristotele rivolge agli atomisti, inoltre, sono essenzialmente le- gate a un‘identificazione degli atomi, corpi materiali tridimensionali, con le super- fici bidimensionali pitagoriche: nel De coelo è esplicitamente affermato che Leucippo e Democrito ―omina entia faciunt numeros et ex numeris, etsi enim non manifeste declarant‖34 e che attribuiscono le proprietà degli elementi alla forma e alle dimen- sioni dei corpi primi, riducendo in questo modo determinazioni qualitative ad aspetti quantitativi35. Per lo Stagirita sembra non esserci molta differenza tra entità puramente geometrico-matematiche e corpi totalmente privi di connotazioni quali- tative, caratterizzati soltanto dalle loro dimensioni e dalle loro forme. Le teorie ato- miste, basate come sono su aspetti esclusivamente quantitativi, da una parte ri- schiano di cadere nelle contraddizioni e nelle assurdità che Aristotele evidenzia nella Physica, dall‘altra sono del tutto inadeguate a rendere conto dei corpi fisici

32 Cfr. ARISTOTELE, De physico auditu, VI, tt. 1-39, ff. 246G-271L (Phys., 231a 21-235b 5). 33 Ivi, t. 49, f. 277K (ivi, 236b 17-18).

34 ID., De coelo, III, t. 37, f. 203I (De caelo, 303a 8-10). La stessa equiparazione tra atomisti e pitagorici si ha

anche nel De anima: ―Acciditque animal moveri a numero, sicut et Democritum diximus ipsum movere. Quid etenim differre dicere sphaeras parvas, aut unitates magnas, aut omnino unitates ferri? (…) Complectentibus igitur in unum numerum et motum, haec quidem accidunt et multa alia huiusmodi.‖ (ID., De anima, I, tt. 72-73, ff. 37F-38A; De anim., 409b 8-13). Anche nella Metaphysica è

riproposta la stessa equivalenza, in un contesto ancora diverso: ―(Democritus) magnitudines namque indivisibiles substantias facit. Patet igitur quod similiter et de numero se habebit (…)‖ (ID., Metaphysica, VII, t. 49, f. 199C; Metaph., 1039a 9-12),

156

concreti, che sono definiti da un insieme di caratteristiche tanto quantitative quanto qualitative, ambito nel quale lo Stagirita riconosce la possibilità di un certo tipo di indivisibilità.

Prima di esaminare questi aspetti, a partire dai quali è stato possibile agli inter- preti successivi elaborare una dottrina dei minima naturalia e dei minimi sensibili che ha riflessi anche nella classificazione bruniana, è d‘uopo analizzare una rapida trat- tazione generale di ciò che Aristotele definisce ‗indivisibili‘ che trova posto nel terzo libro del De anima. Indivisibili infatti sono le nozioni, i concetti che vengono colti dall‘intelletto: ―Indivisibilium quidem igitur intelligentia, in his est, circa quae non est falsum‖36. Il vero e il falso, infatti, non stanno nei singoli concetti, ma nella loro combinazione in proposizioni affermative o negative che possono corrispondere o meno alla realtà delle cose. Gli indivisibili, che per Tommaso sono ―aliquid huiusmodi incomplexorum‖37, si dicono in due modi: in atto o in potenza38. I com- mentatori ricollegano subito queste due modalità con due diverse tipologie: ―quod est indivisibile per quantitatem (…) est illud quod est indivisibile in actu et divisibile potentia (…); quod est indivisibile per formam (…) est indivisibile actu et potentia, nisi accidentaliter‖39, specifica Averroè.

Il primo tipo di indivisibili è costituito da ciò che è indiviso in atto, ma che è po- tenzialmente divisibile: si tratta di quei concetti che hanno a che fare con la quantità, come ad esempio una lunghezza, che possiamo pensare come non divisa in un tempo indiviso, ma possiamo anche pensarla come divisa in due parti e pensare a ciascuna parte in momenti diversi. Tommaso aggiunge che questo tipo di indivisi- bilità si applica alle realtà continue che, per l‘appunto, sono costituite da parti non divise in atto, ma divisibili grazie a un‘operazione dell‘intelletto: ―illud quod est continuum, indivisibile dicitur, inquantum non est divisum actu, licet sit divisibile in potentia (…) nihil prohibet intellectum intelligere indivisibile cum intelligit aliquid continuum, scilicet longitudinem‖40.

Quelli che Averroè chiama ‗indivisibili per forma‘ sono detti dai traduttori della Giuntina e da Tommaso ‗indivisibili per specie‘ (t%%§ eâdei): ―Quod autem non secundum quantitatem indivisibile est, sed specie, intelligit indivisibili tempore et indivisibili animae; secundum accidens autem, et non inquantum illa divisibilia‖41. Stando all‘interpretazione di Averroè, si tratta di indivisibili che sono tali sia in atto che in potenza, cioè che non sono né possono essere divisi, o meglio sono divisibili ―non essentialiter, sed accidentaliter (…) quia tempus, in quo intelligit, et res, quam intelligit, sunt indivisibilia in se, sed tamen sunt in divisibilibus, scilicet instans in quo intelligit et formam quam intelligit‖ 42. La forma e l‘istante sono per sé indivisi- bili ma, in quanto legate a realtà divisibili come il tempo e la materia, che per il filo- sofo di Cordoba è la magnitudo delle dimensiones interminatae, sono in qualche modo

36 ID., De anima, III, t. 21, f. 165E (De anim., 430a 26-27). 37 TOMMASO, In De anima, III, l. XI, n.1.

38 Cfr. ARISTOTELE, De anima, III, t. 23, f. 167A (De anim., 430b 7-8). 39 AVERROÈ, In De anima, III, comm. 24, f. 168A.

40 TOMMASO, In De anima, III, l. XI, n. 7.

41 ARISTOTELE, De anima, III, t. 24, f. 167 E-F (De anim., 430b 14-17). 42 AVERROÈ, In De anima, III, comm. 24, f. 168B.

157

divisibili dal momento che il loro legame con esse è necessario: non esiste istante fuori dal tempo, non esiste forma senza materia.

L‘interpretazione di Tommaso relativa a questo secondo tipo di indivisibile si di- scosta da quella di Averroè in quanto l‘Aquinate sostiene che gli indivisibili per specie sono indivisibili in potenza anche se possono essere divisi in atto. La spiega- zione è incentrata sul ruolo rivestito dalla specie: qualcosa può essere detto ―unum, quando habet speciem unam, etsi si compositum ex partibus non continuis, sicut homo, aut domus, aut etiam exercitus‖43. A differenza degli indivisibili del primo tipo, che sono unitari in quanto si riferiscono a realtà omogenee e continue, esistono concetti che noi cogliamo come unitari ―quia in partibus divisis etiam in actu, est aliquid indivisibile, scilicet ipsa specie‖44, ossia perché la cosa a cui si riferiscono, pur non essendo né continua né omogenea, ha tuttavia in sé qualcosa che la rende unitaria, cioè la specie o la forma, come direbbe Averroè. Un uomo è composto da un‘anima e da un corpo articolato in membra di diversa natura e funzione, che for- mano tuttavia una realtà organica, un esercito è composto da soldati che sono at- tualmente distinti e separati l‘uno dall‘altro e si limitano a combattere insieme in modo coordinato; tuttavia, il nostro intelletto ―indivisibiliter intelligit‖45 sia l‘uomo che l‘esercito in virtù della specie indivisibile ―quae facit omnes partes totius esse unum‖46. Il primo tipo di indivisibili, le realtà continue, è tale per l‘attuale indivi- sione delle sue parti, il secondo tipo invece lo è per l‘essenza unitaria che travalica l‘attuale divisione delle parti.

Esiste anche un terzo tipo di indivisibili: ―Punctum autem et omnis divisio et sic indivisibile, mostratur sicut privatio (…): contrario enim aliquo modo cognoscit‖47. Si tratta cioè di indivisibili che il nostro intelletto non coglie immediatamente, ma solo attraverso la negazione del loro contrario, allo stesso modo in cui, dice Aristo- tele, conosciamo il nero negando che sia bianco, ossia concependo il nero come pri- vazione del bianco. Averroè elenca questi indivisibili, che sono il punto, l‘istante e l‘unità, ma non aggiunge nulla a quanto detto dallo Stagirita.

Tommaso include tra gli esempi di questo terzo tipo, l‘unico ad essere per lui autenticamente indivisibile sia in atto che in potenza, ―punctum, quod est quoddam signum divisionis inter partes lineae, et omne quod est divisio inter partes continui, sicut instans inter partes temporis‖48. Il punto, l‘istante e le realtà simili sono quei fattori di divisione che separano le parti del continuo ossia, in termini più contem- poranei, si potrebbe dire che essi sono il limite minimo a cui tende un processo di divisione senza mai raggiungerlo. Aristotele e i suoi discepoli accolgono così questi indivisibili come casi-limite con valore euristico e non come entità con uno status definito e reale (senza quindi venire meno alla tesi per cui, in ambito quantitativo, la divisione deve poter procedere all‘infinito), la cui natura non è direttamente afferra- bile dall‘intelletto perché quest‘ultimo non può che lavorare su dati che ottiene at-

43 TOMMASO, In De anima, III, l. XI, n. 10. 44 Ibid.

45 Ibid. 46 Ivi, n. 11.

47 ARISTOTELE, De anima, III, t. 25, f. 168C (De anim., 430b 20-24). 48 TOMMASO, In De anima, III, l. XI, n. 12.

158

traverso i sensi e perciò ―punctum et unitas non definiuntur nisi negative. Et inde est etiam quod omnia quae trascendunt haec sensibilia nota nobis non cognoscetur a nobis nisi per negationem‖49. Punti, istanti e unità non cadono sotto i nostri sensi e quindi non sono oggetto di conoscenza sensibile, ma possono essere conosciuti dall‘intelletto attraverso la negazione della divisibilità e della continuità, cioè attra- verso i loro opposti.

In questo ultimo tipo di indivisibili sono comparsi i due concetti che caratteriz- zano la prima suddivisione della classificazione bruniana, cioè quelli di privazione e negazione, che non identificano due diversi tipi di indivisibili, come accade per il Nolano, ma vengono applicati alla medesima realtà e, soprattutto, non si riferiscono alla natura dell‘indivisibile, ma alla modalità attraverso cui lo conosciamo. Molto più vicino all‘uso bruniano dei termini ‗privative‘ e ‗negative‘ è invece l‘impiego dei concetti di atto e potenza: la definizione di ‗indivisibili in atto e in potenza‘ corri- sponde a quella di natura negative atoma, mentre la definizione di ‗indivisibili in atto ma non in potenza‘ corrisponde a quella della natura privative atoma. Sono tuttavia i tipi di indivisibili che rientrano nelle due categorie a differire: per Bruno, nell‘accezione più forte del termine rientrano in primo luogo l‘anima e in secondo luogo i suoni, le immagini e le realtà simili, mentre Aristotele e i suoi commentatori non prendono nemmeno in considerazione queste entità, ma collocano in questa tipologia le forme e le specie da una parte (che tuttavia per Tommaso sono in una posizione intermedia, indivisibili in potenza, ma divisibili in atto), i punti, gli istanti e le unità dall‘altra. Questi ultimi sono invece elencati da Bruno tra i vari sottotipi di natura privative atoma, cioè fra gli esempi di accezione debole di indivisibile, mentre indivisibili in senso debole sono per lo Stagirita le lunghezze o altre determinazioni di quantità, a cui Tommaso aggiunge la caratteristica della continuità, e che non compaiono affatto nella classificazione del Nolano. C‘è dunque uno schema con- cettuale già elaborato in campo aristotelico che soggiace alla struttura della classifi- cazione bruniana, una sorta di ‗casellario‘ che però viene riempito in maniera di- versa dai peripatetici e da Bruno, che infatti non fa mai riferimento ad Aristotele a questo proposito.