• Non ci sono risultati.

candelabrum la sede della candela, così delubrum è la sede del deus 40 La terza possibilità sembra privilegiata dallo scoliasta Danielino 41 , che prosegue evidenziando la presenza de

riferimenti non solo alla dea, ma anche al suo simulacro, nel locus virgiliano

42

: Varro autem

rerum divinarum libro Ê XIX. delubrum esse dicit aut ubi plura numina sub uno tecto sunt, ut

Capitolium, aut ubi praeter aedem area sit adsumpta deum causa, ut in circo Flaminio Iovi Statori, aut in

quo loco dei dicatum sit simulacrum, ut <sicut> in quo figunt candelam, candelabrum appellant, sic in quo

deum ponunt, delubrum dicant. Ergo hic cum dicit delubra ad summa dracones, ut esset

manifestatum, subtexuit dei simulacrum; adiecit enim saevaque petunt Tritonidis arcem, nec

praetermisit quin dei nomen adderet dicens sub pedibusque deae clipeique sub orbe teguntur, ne

sine ratione delubri nomen intulisse videretur (Serv. Dan. ad Aen. 2, 225). La trattazione, relativa ai

delubra, è completata dal commentatore ad Aen. 4, 56. Il nesso delubra adeunt testimonia che

Virgilio immagina, davanti al delubrum, un’area quale quella presupposta da Varrone; a

riprova di ciò, è ricordato anche l’impiego di spatiatur in Aen. 4, 62

43

: Sane in secundo libro

(Aen. 2, 225) de singulis speciebus delubri iuxta Varronem relatum est: in quibus est species delubri talis,

ut praeter aedem area sit adsumpta deum causa, id est spatia relinquantur iuxta aras ministerii causa, ad

sacrificia peragenda. Huius moris hic meminisse eum accipere debemus ‘principio delubra adeunt’.

Atque quia ‘delubra’ quasi solum nomen sine dei significatu posuerat, voluit per ‘aras’ expungere divini

nominis causam, licet in continuatione non tam dei fecerit mentionem, quam propria deorum nomina

intulerit, et quidem cum sacrificationis gratia, illis versibus ‘legiferae Cereris’ usque ‘iugalia curae’.

40 Sulla scarsa attendibilità di quest’ultima proposta etimologica cfr. WALDE-HOFMANN 1938 s.v.

delubrum; PICHECA 1988, 256.

41 Gli studiosi moderni sono, altresì, in larga parte concordi nell’appoggiare questa interpretazione

del sostantivo, in unione con il riferimento ad una zona esterna. Delubrum indicherebbe in origine, nella sua accezione tecnica, un’area preposta al tempio, forse a cielo aperto, caratterizzata dalla presenza di una statua della divinità. Cfr. in particolare WALDE-HOFMANN 1938 s.v. delubrum; PICHECA 1988, sopr. 256-260; CASTAGNOLI 1993, 614. Il senso originario del termine e della sua

etimologia sembrano, tuttavia, sfuggire fin dalle attestazioni più remote ai grammatici antichi, come testimoniato dalla scarsa perspicuità delle fonti qui indagate; oltre la bibliografia già menzionata, cfr. JORDAN 1879; WISSOWA 1901; ERNOUT-MEILLET 1932 s.v. delubrum. Cfr. inoltre, per la problematica relazione fra il delubrum e l’acqua, la n. 50 infra.

42 Il passo dell’Eneide descrive i due serpenti che, dopo aver ucciso Laocoonte e i suoi figli,

strisciano fino al tempio di Atena sulla rocca e si nascondono dietro lo scudo della statua, come a cercare la protezione della dea: at gemini lapsu delubra ad summa dracones / effugiunt saeuaeque petunt Tritonidis arcem, / sub pedibusque deae clipeique sub orbe teguntur (Verg., Aen. 2, 225-227). Secondo una proposta di Heyne, sarebbe questa la leggendaria origine dei serpenti, spesso raffigurati ai piedi delle statue di Pallade: CONINGTON-NETTLESHIP 1979, n. ad loc.

43 Gli antichi riservano speciale attenzione all’impiego, nel verso virgiliano, della congiunzione

disgiuntiva aut nel valore di nunc, modo: Aen. 4, 62 è, infatti, esempio di tale significato in Arusiano Messio (GLK 7, 424, 2), nell’ars di Diomede (GLK 1, 418, 29-30), in Dositeo (83-85 T.) e nelle regulae Aurelii Augustini (GLK 5, 521, 24). Per la parafrasi del verso cfr. n. 37 supra.

Nec non areae, licet oblique, attamen manifeste meminit aut ante ora deum pingues spatiatur ad

aras (Aen. 4, 62): quid enim est ‘spatiatur’, quam spatio lati loci obambulat? ‘Adeunt’ autem

proprie dixit; ad maiores enim qui accedit Ê ait soanori [sic] signum (Serv. Dan. ad Aen. 4, 56)

44

. Lo

stesso materiale varroniano, ricondotto tuttavia a res div. 8, confluisce, altresì, nel terzo libro

dei Saturnalia, a proposito della precisione di Virgilio nell’impiegare i nomi dei luoghi sacri

45

.

Con terminologia del tutto analoga, benché non identica, a quella del Danielino, Macrobio

ricorda dapprima l’ipotesi delubrum = aedes e area sacra, poi quella che vede nel delubrum la

sede del dio, in base all’analogia con candelabrum. Quest’ultima sarebbe da preferire, in virtù

della pratica, dichiarata tipica di Varrone, di lasciare per ultima la spiegazione corretta.

Virgilio, tuttavia, tiene conto di entrambe le proposte: in Aen. 2, 225 ss. e in Aen. 2, 248

46

44 Le due glosse danieline sui delubra sono ricondotte da LAMMERT 1912, 33 a Donato, considerato

dallo studioso l’autore dell’anonimo Commento a Virgilio. La paternità donatiana della trattazione sarebbe confermata, nel caso di delubrum, dalla ricorrenza di analoghi materiali nelle glosse serviane e, appunto, nello pseudo-Asconio, secondo quanto qui prospettato. Il complesso delle argomentazioni porta Lammert a concludere che l’opposizione fra templa e delubra, tracciata da Girolamo in Ez. 6, 6-7 (et conterantur delubra, non templa, quae contra templum domini surrexerant, Graecoque sermone appellantur teme/nh, id est fana atque delubra) è frutto dell’insegnamento di Donato.

45 La critica non è concorde sulla valutazione dei possibili rapporti fra Macrobio e l’esegesi

virgiliana, riflessa dagli Scholia Danielis. Il problema si intreccia con quello, altrettanto complesso, delle fonti e della loro rielaborazione nei Saturnalia. Gli studiosi del XIX secolo tendono a negare ogni originalità all’autore, la cui opera sarebbe unicamente un centone di trattazioni precedenti: cfr. LINKE 1880; WISSOWA 1880. Del tutto opposta la valutazione di E. Türk, che vede nei Saturnalia un’opera di profonda e originale erudizione, fonte primaria per il Servius auctus (TÜRK 1963, con particolare riferimento – 340-346 – alla trattazione sui delubra; TÜRK 1965; una valutazione analoga, a proposito dei soli scholia Danielis, già in LINKE 1880, 15-29). La critica successiva (MARINONE

1967, introd.; FLAMANT 1977) ha raggiunto un compromesso fra le due posizioni: sono riconosciuti l’abilità e l’impegno di Macrobio, pur negando che la sua opera presenti significativi tratti di autonomia. La possibilità che le aggiunte Danieline derivino dai Saturnalia è, altresì, abbandonata: le affinità fra le due opere sembrano meglio spiegabili ipotizzando una fonte comune. Cfr. FLAMANT

1977, 277 n. 102; MARINONE 1987, 303. Particolarmente discusso il rapporto con Servio, che compare fra i personaggi dei Saturnalia: CAMERON 1966, 31-32, sostiene che Macrobio ne conoscesse l’opera; le consonanze fra i due sembrano, tuttavia, rare e poco significative: cfr. GEORGII 1912, 524; MARINONE 1946; MARINONE 1987. Risulta, dunque, più plausibile che i due eruditi abbiano lavorato nello stesso periodo, ma in maniera indipendente l’uno dall’altro: MARINONE 1969-1970; MARINONE 1967, 26-27; FLAMANT 1977, 277. Cfr. anche KASTER 1980A, 255-258: lo studioso accetta (255 n. 104) la cronologia relativa dei due grammatici, proposta da Cameron 1966; Macrobio non sfrutterebbe, tuttavia, l’opera di Servio, a cui attribuirebbe opinioni, forse in origine contenute nell’esegesi di Donato.Fra gli esempi di mancato contatto fra i Saturnalia e lo scoliasta virgiliano, sembra da annoverare anche l’interpretazione del verbo vexare in Ecl. 6, 46 discussa infra, per la quale Macrobio non si rifà al Commento al Mantovano, bensì alle Noctes Atticae. Il materiale è, nondimeno, ascritto a Servio nella finzione dialogica; la circostanza, unita alla forte affinità fra il passo macrobiano e il testo tràdito dal Servius auctus, ha indotto Pierre Daniel a ipotizzare la paternità serviana dell’intero materiale scoliografico, contenuto nei codici virgiliani in suo possesso: BASCHERA 2000, 10.

46 Virgilio descrive i Troiani che, tratti in inganno dal cavallo, adornano i templi, ignari che quel

egli nomina, infatti, la dea e i suoi attributi, nonché il simulacro. Che il Mantovano

presupponga uno spazio davanti ai delubra sarebbe, invece, provato da Aen. 4, 56; 62, ove

alla zona, circostante il delubrum, sono riferiti verbi che indicherebbero il movimento

attraverso tale spazio (adeunt e spatiatur, rispettivamente)

47

.

Macrobio tralascia del tutto la prima delle tre ipotesi varroniane, quella condivisa anche

Outline

Documenti correlati