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Il riferimento all’episodio, narrato da Lucilio, è rilevante in primo luogo per la menzione dell’auctor arcaico, ancora una volta scelta dallo scoliasta Il confronto fra le fonti, relative a

Crasso, permette inoltre di avanzare un’ipotesi sull’origine dell’informazione. L’aneddoto

ha, nella tradizione letteraria latina, valenza quasi proverbiale

163

. L’Arpinate rimanda, per

due volte, al verso luciliano (fin. 5, 92

164

; Tusc. 3, 31

165

); richiamano a Cicerone, nel riportare

158 Il pronome se, presente in tutti i codici e le edizioni di Cicerone è omesso dai manoscritti S e M

dello pseudo-Asconio; gli Scholia Gronoviana riportano in vita se.

159 I codici pseudo-asconiani iniziano la nota con le parole contumaciam Verris praecipitem;

l’integrazione di un verbo quale vide o nota sembra necessaria per normalizzare la glossa dal punto di vista sintattico: STANGL 1909, 64-65; STANGL 1912, n. ad loc.

160 L’aggettivo vicinus è normalmente costruito con il dativo, come attestato esplicitamente, ancora

in epoca tarda, da Marziano Capella, nupt. Phil. et Merc. 4, 375 (dicuntur autem relativa tribus modis: aut alicuius, ut filius, aut alicui, ut vicinus, aut ad aliquid, ut duplum, quoniam duplum ad aliquid simplum est). La fonte ultima di questa sezione dell’opera è da rintracciare nelle Categorie aristoteliche, forse per il tramite dell’opera di Porfirio: RAMELLI 2001, XL-XLI. Sul normale costrutto di vicinus cfr. KÜHNER

–STEGMANN 1976 (=1997), 315 – 316; oltre quello con il dativo, è indicata come unica alternativa

quello con il genitivo. La reggenza di ad più accusativo, la cui anomalia è rilevata da MADVIG 1828, 138 e STANGL 1912 n. ad loc., ha paralleli in particolare nel latino dei grammatici tardi: due

occorrenze sono nel Commento al de inventione di Mario Vittorino (RLM 214, 1; 220, 25); quattro in Servio, di cui una nel Commento all’ars di Donato (GLK 4, 421, 20) e tre nelle glosse virgiliane (ad Aen. 8, 556; ad Buc. 5, 11; 6, 72); una negli scoli a Stazio tramandati sotto il nome di Lattanzio Placido, (ad Theb. 2, 425); due nel Commentum all’ars donatiana redatto da Pompeo Mauro (GLK 5, 105, 11; 13); una nelle note terenziane di Eugrafio (ad Heaut. 865) e una nel Tractatus de adtributis personae et negotio, un Commento a Cic., inv. 24-28 di datazione incerta (RLM 308, 2).

161 Il nome di Virgilio è riportato con la grafia uirgilius dal codice P; S ha l’abbreviazione uo con

omega ascritto, e M la lezione, apparentemente errata, uero.

162 Da registrare la variante trementem del codice g1 di Virgilio: cfr. RIBBECK 1895A, n. ad loc. 163 Cfr. a questo proposito CHARPIN 1991, n. ad Luc. 1300 M. = 1316 K.

164 Cicerone impiega l’esempio per spiegare che una cosa prende il nome dalla sua caratteristica

predominante, anche se non esclusiva: Crasso rise una volta, ma non per questo perse il soprannome di a)ge/lastoj: At hoc in eo M. Crasso, quem semel ait in vita risisse Lucilius, non contigit, ut ea re minus a)ge/lastoj ut ait idem, vocaretur (Cic., fin. 5, 92). CHARPIN 1991 riferisce in particolare a questo locus il testo, catalogato da MARX 1904 come verso 1300 M. = 1316 K., che è in realtà estrapolato dal confronto dei diversi passi relativi a Crasso: hunc semel in vita Crassum risisse Agelastum / tradunt. TERZAGHI-MARIOTTI 1966, n. ad loc. sottolineano l’impossibilità di ricostruire il testo

luciliano, pur nella ricchezza delle testimonianze.

165 Il locus descrive la costanza dell’espressione di Socrate, il cui volto rifletteva i pensieri, sempre

sereni e tranquilli; non si trattava, quindi, di un cipiglio corrucciato come quello di Crasso: Nec vero ea frons erat, quae M. Crassi illius veteris, quem semel ait in omni vita risisse Lucilius, sed tranquilla et serena; sic enim accepimus [...] (Cic., Tusc. 3, 31).

la notizia e il riferimento alle Saturae, Ammiano Marcellino (rer. gest. 26, 9, 11

166

) e Macrobio

(Sat. 2, 1, 6

167

). Il medesimo tramite sembra essere stato di Plinio il Vecchio, che riprende,

nel parlare di Crasso, l’aggettivo a)ge/lastoj impiegato nel de finibus (nat. hist. 7, 79

168

).

Un’altra fonte, di particolare rilevanza, è costituita da Girolamo, che per tre volte fa

menzione dell’unica risata di Crasso. L’aneddoto è richiamato nel contra Rufinum (1, 30

169

) e

nelle Epistulae (7, 5

170

; 130, 13

171

); specialmente interessante ep. 7, 5, unica fonte antica a

ricordare, oltre la notizia, secondo cui Lucilio scrisse a proposito di Crasso, anche un verso

delle Saturae, che sembra provenire dal contesto in questione. È stato ipotizzato

172

che

Girolamo tragga il passo luciliano dal Commento di Volcacius alle orazioni ciceroniane, che

166 Ammiano, nel parlare della morte di Procopio, ne descrive l’aspetto fisico e l’abituale tristezza,

paragonandolo al Crasso descritto da Lucilio: Excessit autem vita Procopius anno quadragesimo, amplius mensibus decem: corpore non indecoro nec mediocris staturae, subcurvus humumque intuendo semper incedens, perque morum tristium latebras illius similis Crassi, quem in vita semel risisse Lucilius adfirmat et Tullius, sed, quod est mirandum, quoad vixerat, incruentus (Amm., rer. gest. 26, 9, 11).

167 Pretestato rileva, ironicamente, che nessuno dei convitati dà particolare valore alla tristezza o alla

serietà del viso, tanto che nessuno ammira il famoso esempio di Crasso: Neque ego sum nescius vos nec tristitiam nec nubilum vultum in bonis ducere, nec Crassum illum quem Cicero auctore Lucilio semel in vita risisse scribit magnopere mirari (Macr., Sat. 2, 1, 6).

168 Ferunt Crassum, avum Crassi in Parthis interempti, numquam risisse, ob id Agelastum vocatum, sicuti nec flesse

multos (Plin. Mai. nat. hist. 7, 79): l’esempio è riportato da Plinio fra i casi di apatia. La notizia su Crasso è citata, senza la menzione di nessuna fonte, anche da Frontone (ep. 2, 20: Sed non ea sunt ista quae possis contemnere; possis sane non amare ut olim Crassus tristis risum oderat [...]) e Sidonio Apollinare (carm. 24, 12-13: tam censorius haud fuit vel ille / quem risisse semel ferunt in aevo [...]).

169 Girolamo ricorda, nel locus in questione, la prima infanzia, e si dice certo che la descrizione dei

suoi interessi di bambino riuscirà a muovere al riso persino il severissimo Rufino, come capitò allo stesso Crasso: Ego certe, ut tibi homini severissimo risum moveam, et imiteris aliquando Crassum, quem semel in vita dicit risisse Lucilius, memini me puerum cursitasse per cellulas servulorum, diem feriatum duxisse lusibus, et ad Orbilium saevientem de aviae sinu tractum esse captivum (Hier., contr. Ruf. 1. 30).

170 L’autore descrive lo squallore del villaggio natale, degnamente completato dalla ridicola figura del

sacerdote Lupicino. Per illustrare la perfetta rispondenza fra le carateristiche del paese e dell’individuo, è citato il verso di Lucilio, preso dall’aneddoto su Crasso: quando un asino mangia i cardi, le sue labbra si fanno a punta come l’erba stessa (1299 M. = 1315 K.): Accessit huic patellae (juxta tritum populi sermone proverbium) dignum operculum, Lupicinus Sacerdos, secundum illud quoque, de quo semel in vita Crassum ait risisse Lucilius: Similem habent labra lactucam, asino carduos comedente: videlicet ut perforatam navem debilis gubernator regat, et caecus caecos ducat in foveam, talisque sit rector, quales illi qui reguntur (Hier., ep. 7, 5). L’interpretazione del passo luciliano è quella proposta da CHARPIN 1991; KRENKEL

1970 e WARMINGTON 1979 intendono, invece, che le labbra di Lupicino, piene di lattiga, sono simili a quelle di un asino che mangia cardi.

171 Crasso figura fra gli esempi di severitas proposti a Demetriade: Catonem quoque (illum dico Censorium)

et vestrae quondam urbis principem, qui extrema aetate graecas litteras, nec erubuit censor, nec desperavit senex discere: et M. Crassum semel in vita scribit risisse Lucilius (Hier., ep. 130, 13).

172 L’ipotesi è avanzata da MARX 1905, n. ad loc., sulla base del riferimento all’episodio, presente in

ps.-Asc. ad Verr. 5. MÜLLER 1872, n. ad loc. suppone, invece, che Girolamo attinga a un’opera

ciceroniana, oggi perduta. LAMMERT 1912, 72 include, per contro, la glossa fra le coincidenze Girolamo/pseudo-Asconio da ricondurre, nell’analisi dello studioso, alla comune matrice donatiana: su questo tema cfr. anche cap. 1.2 e 3.1.

egli dichiara altrove di avere fra i propri materiali di studio (contr. Ruf. 1, 16

173

; ep. 70, 2

174

);

dalla medesima fonte potrebbe, forse, venire allo pseudo-Asconio il riferimento a Lucilio

riportato nella glossa ad Verr.5. L’attività esegetica di Volcacius è databile fra il II e il III sec.

d.C.

175

; il commentatore dell’Arpinate, nel caso se ne accetti la datazione più remota, o le

sue fonti potrebbero, dunque, rappresentare la fase arcaista dell’esegesi ciceroniana, a cui

sembrerebbero riconducibili, come evidenziato dall’analisi, le glosse “plautine” e “luciliane”

dello pseudo-Asconio

176

.

La speciale rilevanza, attribuita a Lucilio nello scolio ad Verr. 5, è messa ancor più in

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