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conquirunt; ab his postea qui quaestionum iudicia exercent quaes<i>tores dicti) 118 Il confronto con Varrone suggerisce di ridurre la portata della somiglianza fra le due glosse; non

necessariamente indice di dipendenza reciproca, essa potrebbe essere, altresì, spiegata con

l’ipotesi di una fonte comune a Servio e allo pseudo-Asconio. Tale considerazione è

rafforzata dall’analisi del Fortleben di Aen. 6, 432, quasi paradigmatico nella letteratura

successiva a proposito di Minosse, in particolare per il suo ruolo di giudice ultraterreno.

Ben tre le riprese del locus nella glossa dello ps.-Acrone ad Orazio (ad carm. 1, 28, 9; 2, 3, 26;

4, 7, 21)

119

: significativo soprattutto lo scolio ad carm. 2, 3, 26, in virtù dell’esegesi ivi

proposta per il gesto del quaesitor infernale. Lo scuotimento dell’urna sarebbe, infatti,

finalizzato alla selezione casuale dei destinati alla morte: VERSATVR V<R>NA aut ubi

fatum et conditio vitae versatur, aut urna, ubi cineres colligebantur, ut Lucanus (9, 68): Numquam

plenas plangemus ad urnas? Hic autem poetice per urnam quasi sorte ad mortem ductos rapi dixit

118 Le quaestiones perpetuae, tribunali stabili con giurisdizione su precise categorie di crimini,

costituiscono “l’organo ordinario della repressione criminale dell’ultima età repubblicana e dei primi tempi dell’impero” (SANTALUCIA 1989, 63). Alle origini di tale ordinamento è da vedersi la

creazione, a partire dal II sec. a.C., di corti di giustizia straordinarie, volte a supportare l’ormai inadeguata pratica degli iudicia populi davanti ai comizi. Sulla nascita e sull’evoluzione dell’istituzione, in particolare in età graccana e sillana, cfr. JONES 1972, 58-85; SANTALUCIA 1989, 63-81; per l’analisi dello scolio pseudo-asconiano, è necessario ricordare che i presidenti delle quaestiones erano scelti fra i praetores in carica per ciascun anno. Con l’aumento delle quaestiones in età sillana, ad essi furono affiancati, per i tribunali di minore interesse politico, i iudices quaestionis, selezionati fra gli ex- edili (cfr. LONG 18622, 45; JONES 1972, 58-59; SANTALUCIA 1989, 71). La procedura non riguardò,

tuttavia, la quaestio de repetundis, che, giudicando l’operato dei magistrati, rivestiva enorme importanza nel quadro dell’amministrazione statale. Su questo particolare tribunale, il primo a essere istituito, cfr. cap. 2, n. 218. L’integrazione quaes<i>tores al locus varroniano, proposta da Mommsen, sembra dunque da considerare senz’altro corretta: non ai quaestores, ma ai quaesitores, spettava, infatti, la presidenza delle quaestiones: cfr. GOETZ-SCHOELL 1910; COLLART 1954, nn. ad loc. Due delle fonti tarde, relative ai quaestores, riprendono il rapporto, istituito dal Reatino, con il verbo quaerere, nonché la derivazione successiva quaestor > quaesitor. Si tratta di Isidoro (Etym. 9, 4, 16: Idem et quaestores quasi quaesitores, eo quod quaestionibus praesunt) e di Alcuino (Orth., GLK 7, 308, 28: Quaestor a quaerendo, quasi quaesitor, per ae diphtongon). Cfr. altresì Fest. 310L: Quaestores <dicebantur, qui quaererent de rebus capitalibus> [...]. Evidente, per contro, la confusione dei glossari tardo-antichi, che menzionano le quaestiones fra i compiti dei quaestores: cfr. CGLL 7, 166-167, vv. quaesitor e quaestor.

119 Ps.-Acr. ad Carm. 1, 28, 9: ET IOVIS ARCANIS MINOS ADMISSVS Aut qua se Minos

praedicabat cum Iove colloqui et ex consilio eius cuncta agere (ex Porph.), aut Iovis arcanis ‘Plutonis’, a quo institutus est iudex pro recordatione iustitiae, ut (Verg., Aen. 6, 432): Quaesitor Mino s urnam mo vet; Pseudacr. ad carm. 4, 7, 21 SPLENDIDA MINOS Vt (Verg., Aen. 6, 432): Quaesitor Minos ur nam mo vet. Per la glossa ad carm. 2, 3, 26 cfr. testo supra. Le note, testimoniate dalle tre recensioni A, G e V, sono con ogni probabilità da ascrivere all’originale redazione del Commento, databile al V secolo d.C e che, secondo un’opinione attestata, contiene forse materiale della più antica esegesi oraziana (cfr. cap. 2.1 e n. 34 ivi). È, tuttavia, da rilevare che le glosse di Porfirione ai tre passi oraziani non presentano traccia della citazione virgiliana, benché in due casi (ad carm. 1, 28, 9; 2, 3, 26) esse siano, come segnalato da KELLER 1902, in palese rapporto con gli scholia dello ps.- Acrone; e ciò nonostante la supremazia indiscussa, che il Mantovano riveste agli occhi dell’esegta (cfr. MASTELLONE IOVANE 1998).

(cons. Porph.), ut Vergilius (Aen. 6, 432): Quaesitor Minos urnam movet. L’occorrenza ps.-

acroniana ben illustra la rilevanza del locus virgiliano, esemplare anche per una linea

esegetica, in cui il gesto di Minosse ha un valore diverso da quello, suggerito dal Mantovano

nella descrizione della scena (cfr. n. 109 supra). Tale esemplarità è ancor più evidente nella

glossa ad Theb. 4, 530 del Commento attribuito a Lattanzio Placido. La situazione, descritta

dal poeta, è anche qui differente da quella presentata da Virgilio. Minosse è inquisitore del

consiglio dei silentes, le anime dei trapassati che attendono la sentenza definitiva. Il Cretese

(arbiter... Cortynius) scuote minaccioso i loro nomi nell’urna, costringendoli così a riepilogare

la loro vita e a determinare da soli la pena meritata

120

. Lo scolio ps.-lattanziano ad loc.

intende l’attività di Minosse come una sortitio iudicum, e in tal senso riprende Aen. 6, 432; la

glossa si chiude con un riferimento a Radamante e Sarpedone, che sembra metterla in

relazione con la nota virgiliana di Servio: ARBITER HOS quasi quaesitor. Ex sorte iudex legit,

quos habeat in consilio. ut Virgilius (Aen. 6, 432); ‘quaesitor Minos urnam movet’. Hic Iovis et

Europae filius, cui fuere fratres Rhadamanthus et Sarpedon. Il confronto fra i due commenti è

particolarmente rilevante per l’ipotesi di una remota fonte comune, cui forse attinge anche

lo pseudo-Asconio, in cui il verso del Mantovano era relazionato alla prassi giuridica

romana. Nei complessi rapporti, che spesso è dato riscontrare fra l’esegesi serviana e quella

alla Tebaide è, infatti, forse da vedere la dipendenza di entrambe le raccolte da una stessa

matrice di analisi virgiliana. Essa potrebbe coincidere con la perduta glossa di Elio Donato,

o con le opere dei grammatici, riflesse dall’esegesi Danielina

121

. L’ipotesi della fonte comune

120 Arbiter hos dura versat Gortynius urna / vera minis poscens adigitque expromere vitas / usque retro et tandem

poenarum lucra fateri (Stath., Theb. 4, 530-532). Analoga la raffigurazione del giudizio infero in Seneca, Agam. 23, ove è detto che Minosse riversa nell’urna i nomi dei defunti, “imputati” di fronte al suo tribunale (Quaesitor urna Gnosius versat reos). Il locus è analizzato da MASI DORIA 20042, 30-31: è

opinione della studiosa che Seneca, pur alludendo dal punto di vista formale ad Aen. 6, 432, presenti una versione del mito influenzata da un filone di ambito greco, in cui il giudice ultraterreno non è garanzia di giudizio imparziale, ma semplice strumento del Fato. Di diversa opinione HEYNE-

WAGNER 1968, 1025: la scena dell’Agamemnon descriverebbe il sorteggio dell’ordine delle cause.

121 L’ipotesi è suggerita da BRUGNOLI 1987, 138-139 (cfr. anche BRUGNOLI 1986). Le affinità fra gli

scholia staziani e il Danielino sono rilevate già da FUNAIOLI 1930, 480-485: lo studioso, che identifica gli Scholia Danielis con Donato, vi vede la fonte comune a Servio, a Macrobio e a Lattanzio. Funaioli suggerisce, tuttavia, anche un’altra possibile lettura dei rapporti fra il Commento a Virgilio e quello alla Tebaide: quest’ultimo trarrebbe le proprie informazioni dagli scoli al Mantovano (FUNAIOLI 1930, 439). La tesi dello sudioso italiano è rovesciata da WOESTIJNE 1950,

578, che propende per la dipendenza di Servio dagli scholia staziani. È, tuttavia, communis opinio che la base della vulgata lattanziana sia posteriore a Servio (cfr. FUNAIOLI 1930, 476; BRUGNOLI 1987,

138-139; SPALLONE 1990, 419-420): lo dimostrerebbero, in particolare, la povertà della struttura e la scarsa attenzione alle questioni grammaticali, nonché la qualità e la frequenza degli auctores citati. Il Commento alla Tebaide non è, inoltre, citato da Girolamo nel catalogo di note agli autori antichi,

è, in questo caso, tanto più preferibile a quella di un legame di dipendenza diretta, se si nota

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