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Macrobio tralascia del tutto la prima delle tre ipotesi varroniane, quella condivisa anche dallo pseudo-Asconio (delubrum = edificio di culto riservato a più numina) La attesta, per

contro, Servio ad Aen. 2, 225, senza però il riferimento al Reatino. Il Commento all’Eneide

aggiunge, tuttavia, una notazione in più: il sostantivo delubrum per indicare l’unico tempio

deriverebbe dal fatto che un unico tetto ripara dalla pioggia tutte le divinità, onorate

all’interno del santuario (quia uno tecto diluitur). Il riferimento al verbo diluere è comune anche

alla seconda soluzione, suggerita da Servio: delubrum sarebbe un luogo antistante il tempio

ove scorre acqua; a proporre per primo tale ipotesi è, secondo quanto attestato dal

Danielino, Cincio, autore di opere antiquarie

48

: DELVBRA delubrum dicitur quod uno tecto

plura conplectitur numina, quia uno tecto diluitur, ut est Capitolium, in quo est Minerva, Iuppiter, Iuno.

fronde per urbem (Aen. 4, 248-249). Richiama, a ragione, il distico lo ps.-Acrone ad carm. 4, 6, 14, nel commentare l’oraziano male feriatos Troas: MALE FERIATOS. Vt (Verg., Aen. 6, 574): panduntur por tae aut (Verg., Aen. 2, 248-249) quibus ultimus esset / ill e dies. Il passo, in cui dies è concordato con l’aggettivo ille, illustra altresì la possibilità che il sostantivo sia di genere maschile nei de nomine excerpta attribuiti a Probo (GLK 6, 210, 14-17).

47 Macr., Sat. 3, 4, 1-5: Nomina etiam sacrorum locorum sub congrua proprietate proferre pontificalis observatio

est. Ergo delubrum quid pontifices proprie vocent, et qualiter hoc nomine Virgilius usus sit, requiramus. Varro libro octavo Rerum divinarum delubrum ait alios aestimare in quo praeter aedem sit area adsumpta deum causa, ut est in Circo Flaminio Iovis Statoris, alios in quo loco dei simulacrum dedicatum sit, et adiecit, sicut locum in quo figerent candelam candelabrum appellatum, ita in quo deum ponerent nominatum delubrum. His a Varrone praescriptis, intellegere possumus id potissimum ab eo probatum quod ex sua consuetudine in ultimo posuit, ut a dei dedicato simulacro delubrum coeperit nuncupari. Virgilius tamen utramque rationem diligenter est executus. Ut enim a postrema incipiamus, observavit delubrum nominaturus aut proprie deorum nomina aut ea quae dis accommodarentur inserere: At gemini l apsu del ubr a ad summa draco nes / Eff ug iunt... (Verg., Aen. 2, 225-226) et, ut mox simulacrum nominaret, subtexuit: ... saevaeque petunt Tr ito nidis ar cem, / S ub pedibusque deae clypeique sub orbe teg untur (Verg., Aen. 2, 226-227), item: No s del ubr a deum miseri, quibus ul timus esset / Ille dies. .. (Verg., Aen. 2, 248-249). Illam vero opinionem de area, quam Varro praedixerat, non omisit: Pr incipio del ubr a adeunt, pacemque per ar as / Ex quir unt... (Verg., Aen. 4, 56-57) et mox: Aut ante or a deum ping ues spatiatur ad aras (Verg., Aen. 4, 62). Quid enim est spatiatur quam spatio lati itineris obambulat? Quod adiciendo ante aras ostendit aream adsumptam deorum causa. Ita suo more velut aliud agendo inplet archana. La relazione fra il delubrum e lo spazio aperto è, altresì, contemplata nella cosiddetta Appendix Probi, sulla cui controversa attribuzione cfr. cap. 3, n. 121. Secondo il grammatico, sarebbe templum il luogo che contiene la statua, delubrum uno spazio con portici: Inter templa et delubra hoc interest, quod templa ubi simulacra sint designat, delubra vero aream cum porticibus demonstrat (GLK 4, 202, 23-24).

48 Sulla figura di questo giurista e grammatico cfr. WISSOWA 1899. Cincio visse senz’altro prima di

Verrio Flacco, che ne menziona sovente l’opera; la notazione su delubrum deriva, con ogni probabilità, dal trattato de verbis priscis, di cui Festo conserva ben quattro attestazioni esplicite (214 L.; 265 L.; 277 L.; 330 L.). Il nome di Cincio è ascritto al testo serviano da RAND-SAVAGE-SMITH-

Alii, [ut Cincius], dicunt, delubrum esse locum ante templum, ubi aqua currit, a diluendo. Est autem

synecdoche, hoc est a parte totum (Serv. ad Aen. 2, 225)

49

. Il riferimento all’unico tetto che ripara

dalla pioggia è un ulteriore elemento comune fra lo scolio serviano e quello alle Verrinae.

Esso è riproposto, nell’esegesi virgiliana ad Aen. 2, 225, anche in un’osservazione del Servius

auctus, secondo cui delubrum è un sinonimo di templum; il nome deriva dal fatto che l’edificio

di culto, isolato, è lavato dalla pioggia: alii delubrum dicunt templum ab eo quod nulli iunctum

aedificio pluvia diluatur.

La presenza dell’acqua davanti al delubrum, segnalata da Servio ad Aen. 2, 225, caratterizza

anche il secondo punto dell’esegesi pseudo-asconiana ad div. Caec. 3: si tratterebbe, in

questo caso, di catini destinati alla purificazione dei fedeli

50

. Tale linea interpretativa risulta

largamente condivisa dalla tarda antichità: la riporta, in primo luogo, Servio nel commento

ad Aen. 4, 56

51

. Che davanti ai delubra vi fossero fonti per il lavacro afferma anche Isidoro,

Etym. 15, 4, 9-10, che istituisce poi un parallelo con i fonti battesimali

52

.

49 STOCKER-SAVAGE-TRAVIS-SMITH-WALDROP-BRUÈRE 1965 rintracciano l’intero scolio, inclusa

la menzione di Cincio, tanto in Servio quanto nel Commento auctus.

50 Controverso, nell’interpretazione dei moderni, il legame che unisce nelle fonti il delubrum alla

presenza di acqua e alla purificazione. Che nella zona, antistante il tempio, potessero svolgersi lavacri rituali è accettato, sulla scorta delle testimonianze antiche, da WISSOWA 1901; WALDE- HOFMANN 1938 s.v. delubrum; DUMÉZIL 1977, 283. PICHECA 1988, 256-258 ritiene, per contro,

inaccettabile l’ipotesi, secondo cui il sostantivo deriverebbe dalla radice di lavo (gr. lou/w), con l’aggiunta, riconosciuta da BADER 1962, 194, del suffisso *-dhro. La studiosa osserva che il verbo diluere, attestato già nelle prime fasi della letteratura latina, è, tuttavia, a lungo testimoniato solo nel significato di “spazzar via”; il valore abluere si incontra, per quanto a noi attestato, non prima di Plinio e di Properzio, e diventa comune solo con gli scrittori cristiani. Delubrum deriverebbe, per contro, da de-leu-dhro, ossia dalla radice del greco lu/w, “sciogliere”. Le statue, poste nella zona davanti al tempio, erano secondo questa tesi offerte come ex voto; tale etimologia sarebbe richiamata dalla definizione di delubrum, fornita dalle differentiae Suetonii, (delubrum quod deo debitum luitur). Più chiara la ripresa del passo nella raccolta di differentiae, attribuita a Carisio da BARWICK 1925 (cfr. BARWICK 1922, 54-56), ove è detto che gli uomini depongono nel delubrum i propri pericoli tramite

un dono votivo (393, 4-5 B.: Delubrum, in quo homines pericula sua deluunt: ponunt enim vel pilum vel scutum vel alia plura suscepta votis); l’annotazione è, per contro, inclusa da WISSOWA 1901 nell’elenco dei loci,

che confermerebbero la relazione fra i delubra e l’acqua purificatrice. L’attribuzione dei due trattati a Svetonio e a Carisio non è, oggi, condivisa dalla critica: per il primo cfr. GLK 7, 13; ROTH 1907,

XCVI-XCVIII; BRUGNOLI 1955, 61-83, sopr. 80-83; 27-37; per il secondo BRUGNOLI 1955, 27-37; HOLTZ 1978, 231; CORDOÑER 1985, 217 e n. 55. La silloge pseudo-svetoniana conserverebbe tuttavia, in particolare, tracce di opere più antiche e pregevoli.

51 Cfr. testo supra.

52 Delubra veteres dicebant templa fontes habentia, quibus ante ingressum diluebantur; et appellari delubra a

diluendo. Ipsa sunt nunc aedes cum sacris fontibus, in quibus fideles regenerati purificantur: et bene quodam praesagio delubra sunt appellata; sunt enim in ablutionem peccatorum. Fons autem in delubris locus regeneratorum est, in quo septem gradus in Spiritus sancti mysterio formantur; tres in descensu et tres in ascensu: septimus vero is est qui et quartus, id est similis Filio hominis, extinguens fornacem ignis, stabilimentum pedum, fundamentum aquae; in quo plenitudo divinitatis habitat corporaliter (Isid., Etym. 15, 4, 9-10). È opinione diffusa fra gli studiosi

Parimenti attestata fra gli interpreti antichi, in particolare del Mantovano, l’equivalenza,

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