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vennero istituite 30 curie con i nomi, appunto, delle Sabine 92 La confusione fra i due raggruppamenti non è propria del solo pseudo-Asconio, benché l’attribuzione alle tribù del

nome delle Sabine non trovi paralleli. Tribus e curiae sono, infatti, sovrapposte anche

92 La notizia è, per contro, rifiutata da Plutarco, Rom. 20, 1-2. Lo storico narra, in modo analogo alle

altre fonti, l’istituzione delle tribù arcaiche e la loro divisione in curie. Egli non crede, tuttavia, all’eponimia di queste ultime dalle Sabine, e fa notare che molte portano il nome di un luogo: fula_j de\ trei=j katasth&santej, w)no&masan tou_j me\n a)po_ 9Rwmu&lou 9Ramnh&nshj, tou_j d' a)po_ Tati/ou Tatih&nshj, tri/touj de\ Loukerh&nshj dia_ to_ a!lsoj ei0j o$ polloi\ katafugo&ntej a)suli/aj dedome/nhj tou~ politeu&matoj mete/sxon: ta_ d' a!lsh lou&kouj o)noma&zousin. o#ti d' h}san ai9 fulai\ tosau~tai, tou!noma marturei=: tri/bouj ga_r e1ti nu~n ta_j fula_j kalou~si kai\ tribou&nouj tou_j fula&rxouj. e9ka&sth de\ fulh_ de/ka fratri/aj ei]xen, a$j e1nioi le/gousin e0pwnu&mouj e0kei/nwn ei]nai tw~n gunaikw~n. tou~to de\ dokei= yeu~doj ei]nai: pollai\ ga_r e1xousin a)po_ xwri/wn ta_j proshgori/aj (Plut., Rom. 20, 1-2). Le notizie sulle tribù arcaiche derivano con ogni probabilità al Cheronese da Varrone, anche se non dal de lingua Latina: VALGIGLIO 1976, 589. Conferma la possibile origine varroniana del passo plutarcheo Dionigi di Alicarnasso (Ant. Rom. 2, 47, 3-4). Dopo aver riportato la communis opinio relativa ai nomi delle curiae, lo storico cita un parere, attribuito al Reatino, secondo cui esse avrebbero ricevuto le loro denominazioni prima della pace coi Sabini, in base ai loro capi o al luogo di residenza: peri\ de\ tw~n timw~n, a$j tai=j gunaici\n oi9 basilei=j a)pe/dosan, o#ti sunh&gagon au)tou_j ei0j fili/an, ou)x a#pantej 9Rwmai/wn suggrafei=j sumfe/rontai. tine\j me\n ga_r au)tw~n gra&fousi ta& te a!lla polla_ kai\ mega&la dwrh&sasqai tai=j gunaici\ tou_j h(gemo&naj kai\ dh_ kai\ ta_j fra&traj tria&konta ou!saj, w#sper e1fhn, e0pwnu&mouj tw~n gunaikw~n poih~sai: tosau&taj ga_r ei]nai gunai=kaj ta_j e0pipresbeusame/naj. Ou)a&rrwn de\ Tere/ntioj tou~t' au)toi=j to_ me/roj ou)x o(mologei= palai/teron e1ti le/gwn e0n tai=j kouri/aij teqh~nai ta_ o)no&mata u(po_ tou~ 9Rwmu&lou kata_ th_n prw&thn tou~ plh&qouj diai/resin ta_ me\n a)p' a)ndrw~n lhfqe/nta h(gemo&nwn, ta_ d' a)po_ pa&gwn: ta&j t' e0pi\ th_n presbei/an e0celqou&saj gunai=kaj ou) tria&konta ei]nai/ fhsin, a)lla_ pentakosi/aj te kai\ tria&konta triw~n deou&saj oi1etai/ te ou)d' ei0ko_j ei]nai tosou&twn gunaikw~n timh_n a)felome/nouj tou_j basilei=j o)li/gaij e0c au)tw~n dou~nai mo&naij. Cfr. anche 4, 14, 1: tetra&fulon e0poi/hse (scil. o( Tu&llioj) th_n po&lin ei]nai, tri/fulon ou}san te/wj.

nell’epitome, redatta da Paolo Diacono, del de verborum significatu

93

(42 L.

94

; 47 L.

95

) e nel

Commentum Cornuti in Pers., Sat. 1, 20

96

.

93 L’opera, redatta nell’ VIII secolo d.C., compendia il de verborum significatu di Sesto Pompeo Festo,

e consente di leggerne le sezioni perdute (lettere A-L e parte della M); gli interventi di Paolo si limitano, per lo più, alla soppressione di alcune citazioni o a fraintendimenti di vario genere. L’opera di Festo costituisce a sua volta, secondo una linea interpretativa largamente condivisa, la versione epitomata della perduta opera omonima di Verrio Flacco: MÜLLER 18802, praef.;

REITZENSTEIN 1887; STRZELECKI 1932; BONA 1964, 1-9. Tale tesi è, tuttavia, recentemente stata messa in discussione da MOSCADI 1978; secondo lo studioso, Festo non avrebbe riassunto Verrio, bensì l’avrebbe usato fra le proprie fonti. Per quanto riguarda le fonti del lessicografo, il problema si pone, come è noto, soprattutto per le “seconde parti” delle varie lettere, non disposte in ordine alfabetico. All’interno di tali sezioni sembra, infatti, possibile riscontrare gruppi di glosse, affini per argomento o per auctores citati, tali da avvalorare l’ipotesi che Verrio (o Festo) scorresse le proprie fonti in un ordine preciso, con un procedimento analogo a quello supposto per Nonio da LINDSAY

1901: cfr. MÜLLER 18802, praef.; REITZENSTEIN 1887; STRZELECKI 1932; BONA 1964. La recente

revisione delle teorie, riguardanti il de verborum significatu, a opera di MOSCADI 1978 ha messo in

discussione la rigida divisione delle singole lettere in due parti distinte, ma non sembra modificare in modo significativo il quadro delle fonti, delineato dagli studiosi precedenti. Tutti i lemmi in cui sono menzionate le tribù arcaiche (curia 42 L.; centumviralia iudicia 47 L.; Lucereses et Luceres 106 L.; Lucomedi 107 L.; Sex Vestae Sacerdotes 468 L.; 475 L.; Turma 484 L.; 485 L.; cfr. i testi rispettivamente alle nn. 94; 95; 100; 85) derivano dalle prime parti delle rispettive lettere, con l’eccezione di Sex Vestae sacerdotes; quest’ultimo sembra riconducibile all’opera di Antistio Labeone, sulla cui presenza all’interno del de verborum significatu cfr. STRZELECKI 1932, 29-42. Non è, di conseguenza, possibile

avanzare ipotesi precise sull’origine dei dati riportati da Verrio-Festo; gli studiosi sono, tuttavia, generalmente inclini a ricondurre a Varrone le informazioni fornite dal lessicografo a proposito dei gentilizi e dei nomi delle tribù: REITZENSTEIN 1887, 22-23; STRZELECKI 1932, 44.

94 Alla voce curia il lessicografo annota la duplice valenza del vocabolo, luogo amministrativo ma

anche articolazione del popolo. Alla seconda accezione è aggiunta una notazione storica: le curie furono aumentate da 30 a 35, e chiamate con i nomi delle Sabine: Curia locus est, ubi publicas curas gerebant. Calabra curia dicebatur, ubi tantum ratio sacrorum gerebatur. Curiae etiam nominantur, in quibus uniuscuiusque partis populi Romani quid geritur, quales sunt hae, in quas Romulus populum distribuit, numero triginta, quibus postea additae sunt quinque, ita ut in sua quisque curia sacra publica faceret feriasque observaret, hisque curiis singulis nomina Curiarum virginum inposita esse dicuntur, quas virgines quondam Romani de Sabinis rapuerunt (Fest. Paul. 42 L.). Il numero 35 è, però, proprio non delle curie, ma delle tribù: Verrio- Festo non sembra, dunque, conoscere la differenza fra le due.

95 Verrio-Festo, nell’illustrare il reclutamento dei centumviri, asserisce che la base della procedura

erano le 35 tribù. Queste ultime, secondo le parole del lessicografo, erano dette anche curiae: evidente la confusione fra le due istituzioni: Centumviralia iudicia a centumviris sunt dicta. Nam cum essent Romae triginta et quinque tribus, quae et curiae sunt dictae, terni ex singulis tribubus sunt electi ad iudicandum, qui centumviri appellati sunt; et, licet quinque amplius quam centum fuerint; tamen, quo facilius nominarentur, centumviri sunt dicti (Fest. Paul. 47 L.).

96 Il Commentum Cornuti è una raccolta di glosse all’opera di Persio, redatta probabilmente intorno al

IX sec. Fra le fonti sono da annoverare, oltre l’antica scoliografia al poeta, le opere di Servio e di Isidoro: CLAUSEN-ZETZEL 2004, I; ZETZEL 2005, 127-143. La nota ad Sat. 1, 20 ripropone le

spiegazioni, offerte dall’esegesi antica (cfr. ps.-Asc. ad Verr. 22, unitamente alla discussione infra), sui nomi delle tre tribù arcaiche, ma ne tratta chiamandole curiae: TITOS tres enim curiae fuerunt primo Romae, Titiens, Samnes, Nuceres. Titiens a Tito Tatio rege Sabinorum participe in regno Romuli, Samnes a Romulo qui Romam condidit, Nuceres a Nucismone qui aliquando Romulo auxilium dedit. Alii a Luco Luceres nominarunt. Da rilevare le grafie Samnes, Nuceres e Nucismo, peculiari dello scoliasta.

Quest’ultimo è accostabile alla nota ad Verr. 1, 14 anche in virtù della duplice etimologia,

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