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che Cicerone richiama nel passo della divinatio 148 Una seconda fonte, che sembra attestare l’esemplarità di scuola di div Caec 43, è Servio 149 Ad Aen 7, 259 lo scoliasta commenta

l’usanza, tipica dei veteres, di iniziare con un’invocazione agli dèi i discorsi, riguardanti il

bene pubblico; gli esempi ricordati sono il locus dell’orazione contro Cecilio e Aen. 11, 301,

a sua volta evocato dallo pseudo-Asconio nella glossa a Cicerone (Serv. ad Aen. 7, 259: DI

NOSTRA INCEPTA SECVNDENT antiquo more locuturus de publicis rebus, id est de pace et

nuptiis filiae, facit ante deorum commemorationem, sicut etiam in omnibus Catonis orationibus legimus.

Hinc est in divinatione Ciceronis (43) si quid ex aliqua vetere oratione Iovem ego optimum

et maximum. Ipse etiam Vergilius (Aen. 11, 301) praefatus divos solio rex infit ab alto)

150

.

148 Vulg ar e est, quo d in plur is causas potest acco mmo dari: Id est, quod dicitur generale principium et

quod non unius, sed omnium potest esse causarum, si sic incipias (Cic., div. Caec. 43): 'Iovem ego optimum maximum' aut 'vellem, si fieri posset, iudices' (Mar. Vict., comm. in Cic. de inv, RLM 200, 29-32).

149 Il Commento di Servio all’opera di Virgilio è da collocare, come è noto, fra l’ultimo quarto del

IV secolo e l’inizio del V, pur nell’incertezza di una cronologia più precisa. Il grammatico sarebbe nato fra il 370 e il 380 d. C. secondo WESSNER 1923, 1835, BRUGNOLI 1988A, 805 e MARINONE 1990; in particolare al 370 rimanda GEORGII 1912. La datazione è spostata indietro da THOMAS

1879, 136-139, che propone il 350, datando genericamente all’inizio del V secolo l’attività di insegnante e commentatore. A favore di questa cronologia anche SCHANZ–HOSIUS 1914 (=1970), 172-177, in part. 174, che suggeriscono il 359, e BRUGISSIER 1984, 173, che colloca la nascita di Servio fra il 354 e il 369. KASTER 1997, 169 propone un anno fra i tardi anni Sessanta del 300 e i

primi Settanta. Per la data di composizione del Commentarius cfr. GEORGII 1912, che la colloca fra il 395 e il 410, seguito da WESSNER 1923, 1835; MARINONE 1969-1970 la posticipa al 430-435. Sulle complesse questioni, inerenti l’esatto nome dell’erudito e le sue opere grammaticali, cfr. KASTER

1997, 356-359; 429-430. Servio impiegò largamente, nelle proprie note al Mantovano, materiale contenuto nei precedenti commenti a Virgilio, primo fra tutti quello di Donato; sicuramente adibiti dallo scoliasta furono Giulio Igino, Probo, Terenzio Scauro, Emilio Aspro, Urbano, Ebro (o Edrio). Sulle fonti di Servio cfr. LÄMMERHIRT 1890, 320-329; SCHANZ-HOSIUS 1914 (=1970), 174;

TIMPANARO 1986; PELLIZZARI 2003, 246-253; sul rapporto fra Donato e Servio cfr. KIRCHNER

1876, 477; WESSNER 1923, 1839; WALDROP 1927; ZETZEL 1975, in part. 338; TIMPANARO 1986,

161. KIRCHNER 1876, 17 limita il numero degli esegeti, consultati per via diretta, ai soli Donato, Urbano e Carminio; lo studioso evidenzia, per contro (17-32), il ruolo di spicco che i grammatici rivestirebbero fra le fonti di Servio. Mario Vittorino, di cui è stata osservata la rilevanza a proposito dell’exordium vulgare, figura altresì fra le fonti del Commento serviano (cfr. ad Georg. 4, 372: PVRPVREUM autem nigrum ex altitudine accipimus: nam Padus non in rubrum mare, sed iuxta Ravennam in Adriaticum cadit. et ‘purpur eum’ graecum est epitheton: Homerus ei2v a35la porfuro5essan : unde apparet Victorinum hoc loco errasse, qui ‘purpureum mare’ rubrum esse dixit, quod est iuxta Indiam). L’osservazione, relativa alle Georgiche, potrebbe essere tratta da una raccolta di Quaestiones Vergilianae o da alcuni scritti di matrice porfiriana; non può, tuttavia, essere escluso che Vittorino avesse approntato un vero e proprio commento all’opera di Virgilio, nel quale avrebbe potuto trovare posto l’esemplificazione relativa all’exordium vulgare: sul rapporto fra Mario Vittorino e Servio cfr. PELLIZZARI 2003, 158-159; 252-253. È tuttavia da notare il riferimento serviano ai veteres, assente in

Mario Vittorino, che, per contro, si concentra sulla criticabilità di tali exordia, del tutto ignorata dallo scoliasta virgiliano.

150 La nota serviana è edita con alcune differenze, rispetto al testo di THILO-HAGEN 1884 (=1986),

da RAMIRES 2003: DI NOSTRA INCEPTA SECVNDENT secundum priscam consuetudinem locuturus

Div. Caec., 43 è evocato da Servio anche ad Aen. 11, 301. La glossa ricorda, nuovamente,

che gli antichi inziavano le orazioni rivolgendosi agli dèi: il passo ciceroniano è accostato,

fra gli exempla, al generico riferimento a Catone e a Gracco (PRAEFATVS DIVOS more

antiquo: nam maiores nullam orationem nisi invocatis numinibus incohabant, sicut sunt omnes orationes

Catonis et Gracchi; nam generale caput in omnibus legimus. Unde Cicero per inrisionem ait (div. Caec.

43) si quid ex vetere aliqua oratione ‘Iovem ego optimum maximum’).

Il confronto fra i tre commentatori sembra avallare l’ipotesi di una selezione di passi, usata

nelle scuole per la trattazione dell’exordium, comprendente div. Caec. 43, Aen. 7, 259

151

e Aen.

orationibus legimus. Hinc est in divinatione Ciceronis (43) si quid ex aliqua vetere oratione Iovem ego optimum et maximum. Ipse etiam Vergilius alibi (Aen. 11, 301) praefatus divos solio rex infit ab alto. Le varianti sono dovute alla scelta, costante nell’editio di Ramires, di privilegiare il testo tràdito dal ramo D della tradizione manoscritta; cfr. RAMIRES 2003, XVI-XVIII. Nel caso della nota ad Aen. 7, 259, alle

motivazioni codicologiche si affiancano ragioni di ordine stilistico e letterario: RAMIRES 2003, XXI- XXII. La lezione antiquo more... rebus, privilegiata da Thilo, è considerata una banalizzazione, evidente in particolar modo nel passaggio da priscus di D ad antiquus. Parimenti banalizzante, forse dovuto all’opera di un glossatore, de nuptiis filiae in luogo di publicis rebus; Ramires integra qui la preposizione de, trasmessa dal codice danielino F, parimenti testimone di alibi in ipse etiam Vergilius alibi. La congiunzione etiam è condiderata un pleonasmo, e pertanto omessa. L’editore si dichiara, invece, incerto a riguardo dell’aggettivo omnis di in omnibus orationibus. Il termine è presente nella quasi totalità del ramo G, e accolto da Thilo per analogia con la glossa ad Aen. 11, 301, in cui si legge omnes orationes Catonis (cfr. testo infra). Ramires sospetta omnibus di essere l’aggiunta di uno scriba colto; egli ne fa, tuttavia, rilevare la presenza nella tradizione a, che, pur legata a G testimonia correttamente orationibus, in luogo di traditionibus del resto di G. Per le complesse questioni, relative alla tradizione manoscritta di Servio e del Servius Auctus, cfr. le praefationes di THILO-HAGEN 1881 (=1986), RAMIRES 1996 e RAMIRES 2003, oltre a MURGIA 1975, il cui stemma codicum è ancora oggi per lo più considerato valido, e a RAMIRES 1996A, con particolare riferimento al valore della classe a. Nel confronto fra il lemma serviano e il testo di Virgilio, da segnalare, fra i codici dell’Eneide, l’isolata variante de nostra incepta di R.

151 Questo passo virgiliano è citato anche da Tiberio Claudio Donato, nel commento ad Aen. 11,

301, per esemplificare il mos di affidarsi agli dèi prima di un discorso importante e dall’esito incerto ([...] praefatus divos, hoc est primum ad eos locutus, solio rex infit ab alto: locuturus ad populum orationem futuram diis primo commendavit et alto solio insidens sic instituit loqui; hoc enim exigebat longaevi regisque persona, ut sedens loqueretur, quale et illud dixit ex Latini eiusdem persona in libro septimo (259) “dii nostr a incepta secundent”; necessaria enim et in incerto eventu constituta locuturus diis primo etiam illic commendavit ex more; nam dixit primo “dii nostra incepta secundent auguriumque suum” et sic legationi respondit (Verg., Aen. 7, 370) “dabitur , Tro iane, quo d o ptas”). Le Interpretationes Vergilianae di Tiberio Claudio Donato, datate dagli studiosi intorno alla fine del V secolo d.C., presentano un’interpretazione dell’Eneide in chiave prevalentemente retorica. Sulla figura e sull’opera dell’esegeta cfr. in particolare le recenti sintesi di BRUGNOLI 1985; SQUILLANTE SACCONE 1985; GIOSEFFI 2000; PIROVANO 2006, con la bibliografia in esse contenuta; in particolare sulla datazione dell’opera, cfr. anche KASTER 1997, 400; sul suo carattere moralistico, oltre che retorico, MARSHALL 1997, 6-7. Aen. 7, 259 è, inoltre, ripreso da Nonio Marcello per esemplificare, nel secondo libro della Compendiosa doctrina (249 L.), il significato di prosperare attribuito al verbo secundare: Secundare, prosperare: Vergilius lib. VII (259): di no str a incepta secundent! Propertius Elegiarum lib. IV (21, 14): iam l iquidum nautis aura secundat iter. La fonte di Nonio è in questo caso da rintracciare secondo LINDSAY 1901, 55, in Gloss. I, un glossario basato su opere teatrali republicane e su Varrone; STRZELECKI 1936A

11, 301

152

. La bassa valutazione dell’exordium vulgare e il riferimento al de inventione

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