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Capacità contributiva e dati personali

Nel documento Dottorato di Ricerca in Diritto ed Impresa (pagine 139-143)

5. I L PROBLEMA DELLA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA . N UOVE FORME DI

5.3. Capacità contributiva e dati personali

Una forma d’imposizione teorizzata in diretta connessione con le attività digitali è l’imposta sulla “raccolta dei dati”.

Il più noto spunto sul tema si rinviene nel rapporto francese del gennaio del 2013, redatto dalla Missione d’expertise sur la fiscalité de l’économie

numérique, istituita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero

dello Sviluppo economico e coordinata da Pierre Collin e Nicolas Colin. Il rapporto prende le mosse dalla considerazione che, nell'economia digitale, si attua uno scambio fra alcuni servizi (in particolare quelli resi dai motori di ricerca) resi dalle imprese e le informazioni personali che, direttamente o indirettamente, gli utenti forniscono. Come già rilevato211, il servizio diviene dunque una prestazione onerosa, compensata dalla acquisizione dei dati degli utenti che a quel servizio

211 Al Capitolo I.

accedono212.

Questo certamente legittima, almeno in teoria, la previsione di una tassazione, sia dello scambio in quanto tale (ai fini della tassazione indiretta), sia degli utili ai fini del reddito d'impresa.

Il rapporto, pur soffermandosi lungamente sull’imposizione diretta213, suggerisce di applicare, nelle more della conclusione delle negoziazioni internazionali su tale tema, un’imposta para-patrimoniale sullo sfruttamento dei dati personali. Secondo gli estensori del Rapporto, anche detta imposta avrebbe una natura simile ad un’imposta ambientale, in quanto dovrebbe essere applicata solo nei confronti dei soggetti “predatori di dati”, che acquisiscono informazioni e dati personali in un determinato territorio per poi sfruttarli dal punto di vista economico214.

Anche tale tributo verrebbe quindi ad ispirarsi ad una logica simile a quella dei tributi ambientali ed al principio “chi inquina paga”, nella misura in cui l’imposta sarebbe dovuta dai soggetti che effettuano un uso scorretto della Rete, raccogliendo dati personali degli utenti da utilizzare successivamente nei confronti degli stessi utenti per finalità commerciali. Questo tributo sarebbe dunque “rivolto

al miglioramento dell’attuale situazione di scarsa protezione della privacy in Rete, incoraggiando, mediante una minore tassazione, quelle imprese che garantiscono una tutela rafforzata dei dati personali degli utenti, così come declinata da appositi strumenti normativi” 215.

Come la stessa dottrina sottolinea, questa forma di tassazione non sembra tuttavia convincente, sotto molteplici profili.

Innanzitutto, i dati sono una fonte di ricchezza “embrionale” per le digital

company e l’aggettivo embrionale è doveroso, in quanto, come visto, il vero

“valore” dei medesimi non risiede nella loro mera – e atomistica – esistenza, ma piuttosto, nella loro numerosità, combinazione e (soprattutto) analisi.

212 G. FRANSONI, Le stabile organizzazione. Nihil sub sole novi?, in Riv. Dir. Trib., 2015, p. 123, lo afferma chiaramente: “che questo scambio ci sia, che sia fondamentale per l'attività degli operatori e che esso, quindi, abbia valore economico è, secondo me, un dato certo”.

213 Proponendo come criterio di collegamento il luogo dal quale provengono i dati degli utenti.

214 G. PALUMBO, Prospettive di una nuova tassazione dell’economia digitale, in Fisco, 2017, p. 4257.

215 F. GALLO, Prospettive di tassazione dell’economia digitale, in Dir. Mer. Tec., 2016, p, 154.

Naturalmente, tale osservazione varia da caso a caso: per fare due esempi diametrali, la fornitura di una pubblicità online mirata non richiede l’impiego di dati numerosi e diversificati, ma unicamente le informazioni di quel solo utente cui la pubblicità è diretta (che comunque, quanto più sono numerose, tanto più ne consentono una profilazione accurata); di contro, la creazione di complessi

sowtfare di previsione, quale è quello elaborato da Google per prevedere la

diffusione dell’influenza H1N1 negli Stati Uniti216, richiede la raccolta e l’analisi di una gran mole di dati, provenienti da utenti differenti e sintetizzati in complessi algoritmi matematici. Non è quindi agevole quantificare il valore dei singoli dati in termini di vantaggio dalle società che se ne avvalgono: è intuitivo che, mentre nel primo esempio può ben dirsi che le singole informazioni del singolo utente consentono all’impresa di ritrarre un vantaggio, nel secondo esempio ciascun dato fornito dal singolo utente è del tutto privo di valore, se non abbinato agli altri dati degli altri utenti e analizzato mediante accurate indagini statistiche.

In secondo luogo, l’imposta teorizzata si fonda su una circostanza imprecisa, e cioè che l’attività di raccolta da tassare sia capziosa, oltreché gratuita e, quindi, tale da giustificare la necessità di “compensare” l’intrusione delle “web companies” nel privato con l’applicazione di uno specifico prelievo217. Come già evidenziato218, in molti casi la cessione delle informazioni dall’utente al fornitore del servizio online è tutt’altro che predatoria, in quanto presuppone l’accettazione dell’utente medesimo. Si pensi, ad esempio, al banner informativo, ormai obbligatorio in Italia, che rende l’utente edotto dell’utilizzo di cookies di profilazione; o, ancora, della creazione di appositi account sui siti di e-commerce, mediante i quali gli utenti accettano, ed anzi talora chiedono, di essere profilati, al fine di ricevere offerte commerciali mirate219. In buona sostanza, lo scambio di dati è tutelato da un’apposita disciplina di settore che, peraltro, è stata di recente rafforzata a livello europeo, con il regolamento UE/2016/679, pienamente efficace

216 Cfr. Capitolo I, par. 3.5..

217 Dell’imprecisione di tale presupposto prende atto anche F. GALLO, Prospettive di tassazione dell’economia digitale, in Dir. Mer. Tec., 2016, p, 154.

218 Capitolo I, par. 3.6..

219 Non è un caso che, accedendo alla maggior parte dei siti di e-commerce, i fornitori dei servizi creino apposite sezioni dedicate alle offerte e ai consigli d’acquisto destinati specificamente all’utente che ha effettuato il log-in, utente “conosciuto” dal fornitore proprio in esito alla raccolta delle informazioni sui suoi gusti commerciali.

dal 25 maggio 2018220; non si esclude che tale disciplina sia talora lacunosa221, ma ciononostante l’affermazione secondo cui la raccolta (e, con essa, il trattamento) dei dati sia tout court predatoria sembra un’affermazione del tutto imprecisa.

Diversamente, partendo dal presupposto che la cessione dei dati sia, propriamente, la controprestazione di un servizio oneroso, potrebbe al più esaminarsi la fattispecie da un’altra prospettiva, che tralascia i profili patologici dello scambio (i.e. il carattere asseritamente predatorio della raccolta) e lo osserva nei suoi aspetti fisiologici. Potrebbe così ipotizzarsi, semmai, un’imposta indiretta sulla fornitura di un servizio commisurato al valore, tutto da calcolare, della controprestazione di tale servizio: il valore, per l’appunto, dei dati ceduti.

220 Il nuovo regolamento si applica al soggetto i cui dati vengono raccolti. Social network, piattaforme web e motori di ricerca saranno quindi soggetti alla normativa europea anche se sono gestiti da società con sede fuori dall’UE. Esso definisce come “dato personale” (art. 4, n. 1) “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all'ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale”; si introduce così la protezione degli utenti in rete, in quanto “identificabile” online. Per “profilazione” (art. 4) “qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell'utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l'affidabilità, il comportamento, l'ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica”. Impone che il trattamento di tali dati sia effettuati solo per le finalità (ivi inclusa quella commerciale) rispetto alle quali l’interessato abbia espresso un consenso esplicito e inequivoco. Le sanzioni sono elevatissime e possono arrivare al 4% del fatturato annuo dell’impresa.

221 Come dimostrano i molteplici scandali, dei quali il noto Cambridge Analytica è solo l’ultimo in ordine di tempo. Si tratta di uno scandalo che ha coinvolto tale società, che avrebbe utilizzato illecitamente i dati degli utenti del web (anche di Facebook) illecitamente, anche per sostenere campagne elettorali presidenziali statunitensi e russe.

CAPITOLOIII

LESOLUZIONIPROPOSTESULPIANOINTERNAZIONALE:LA

POSIZIONEDELL’OCSEEDELL’UNIONEEUROPEA

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SOMMARIO: 1. Le soluzioni del BEPS Action Plan. – 1.1. Il contrasto alle strategie di elusione della stabile organizzazione. – 1.1.1. Le strategie di contrasto alla Artificial

avoidance of PE status through commissionnaire arrangements and similar strategies –

1.1.2. Le strategie di contrasto alla Artificial avoidance of PE status through the specific

activity exemptions. – 1.1.3. Le altre strategie di contrasto: il caso dello splitting-up of the contracts. – 1.1.4. La logica delle proposte, tra contrasto all’abuso e ampliamento del

collegamento territoriale. – 1.2. La virtual permanent establishment. Origini e evoluzione della proposta dell’OCSE. – 1.2.1. Il discussion draft del 2014. – 1.2.2. Il final report del 2015 e la consultazione del 2017. – 1.2.3. La logica delle più recenti proposte e l’esigenza di modificare il criterio di collegamento ai fini dell’imposizione reddituale. – 1.3. La ritenuta alla fonte. – 1.4. L’equalisation levy. – 1.5. Le soluzioni concordate, tra esigenze di prevenzione della base erosion e estensione del criterio di collegamento. – 1.5.1. Le scelte avallate dalla comunità internazionale (rectius, dalla maggior parte dei Paesi). – 1.5.2. L’evoluzione della riflessione internazionale sul tema. – 2. La posizione dell’Unione Europea. – 2.1. Le premesse dell’intervento. – 2.2. Le proposte di direttiva. – 2.2.1. La soluzione strutturale: la presenza digitale significativa. – 2.2.2. La soluzione transitoria. La digital service tax. – 2.3. Criticità e ratio delle posizioni europee.

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Nel documento Dottorato di Ricerca in Diritto ed Impresa (pagine 139-143)