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La ripartizione della potestà impositiva nell’imposizione diretta

3.1. I limiti alla potestà impositiva extraterritoriale degli Stati

3.1.3. La ripartizione della potestà impositiva nell’imposizione diretta

Può ben dirsi che la genesi del diritto tributario internazionale pattizio prende le mosse da una duplica consapevolezza. Da un lato, gli Stati hanno gradualmente – ma non completamente – superato la ritrosia, di matrice ottocentesca, a “cedere” una porzione di potestà impositiva in favore di altri Stati, fondata sulla ormai anacronistica consapevolezza che l’imposizione fiscale fosse un attributo essenziale, assoluto e non limitabile, della sovranità. Dall’altro (circostanza su cui si intende porre l’accento sin d’ora), la forza dell’economia si è rivelata superiore a quella della politica62 e quest’ultima, ove di ostacolo alla prima, è stata costretta (quantomeno parzialmente) a cedere, anche su impulso delle organizzazioni internazionali, spesso volte a istituire63 o favorire lo sviluppo64 di mercati comuni integrati anche mediante la limitazione della sovranità statale. Nei contributi dell’epoca, si segnalava infatti che l'apparizione di “des groupements qui ont une organisation, un rôle et une viguer économique qui

en font tout autre chose...” e si lamentava che la mancanza di armonizzazione fra i

vari sistemi fiscali “permet la plus grande évasion fiscale qui se soit jamais vue,

l'évasion fiscale internationale”: problematiche non molto dissimili da quelle oggi

in discussione65.

Fino alla fine della prima guerra mondiale, infatti, gli accordi tesi a regolamentare i rapporti fiscali tra Paesi si concentravano prevalentemente sulla

62 Così, testualmente, V. UCKMAR - G. CORASANITI - P. DE’ CAPITANI DI VIMERCATE - C. CORRADO OLIVA, Diritto Tributario Internazionale, Milano, 2012, p. XXII.

63 Si pensi all’Unione Europea.

64 Si pensi alla World Trade Organization.

65 Così, G. FRANSONI, Le stabile organizzazione. Nihil sub sole novi?, in Riv. Dir. Trib., 2015, p. 123, citando il contributo di B. GRIZIOTTI, L'imposition fiscale des etrangers, in Recueil des Cours de l'Academie de Droit International de la Haye, 1926, p. 142.

movimentazione transfrontaliera delle merci e, non di rado, sottendevano intenti economico-protezionistici (erano tesi, cioè, a disincentivare le importazioni e preservare gli scambi interni di beni) e non puramente fiscali (volti cioè ad incrementare il gettito tributario dei Paesi stipulanti)66. Prima di allora, la domanda di entrate fiscali da parte dei governi era relativamente modesta67 (e, del resto, i governi non avevano al tempo una capacità amministrativa tale da gestire entrate più copiose) e le imposte sul reddito assumevano un ruolo non particolarmente rilevante, in quanto molti paesi basavano la fiscalità interna sulle imposte sul commercio estero, sulle imposte patrimoniali e sulle tasse68.

Tale situazione muta radicalmente tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, anni nei quali due accadimenti consecutivi impongono un cambio di rotta: una dirompente ondata di globalizzazione, scaturita dal progresso tecnologico e, subito dopo, un’importante crisi economica (eventi, giova nuovamente sottolinearlo, non dissimili da quelli che fanno da sfondo alle odierne riflessioni).

Tra il 1890 e il 1914 si verifica la c.d. prima ondata di globalizzazione, che risente dell’influenza di Adam Smith e della sua Ricchezza delle Nazioni69,

determinata dall’innovazione tecnologica nel campo dei trasporti e delle comunicazioni70, che riduce decisamente, e bruscamente, il costo del trasporto di merci, tecnologia e capitale, sia fisico sia umano. Gli scambi internazionali

66 Negli accordi di tal fatta, gli Stati di fatto si limitavano a disciplinare la libertà di circolazione delle merci, restringendo o ampliando tale libertà mediante lo strumento tributario, i.e. la maggiore o minore imposizione fiscale sulle merci in entrata e in uscita dalle rispettive frontiere. Cfr. M. UDINA, Il diritto tributario internazionale, Milano, 1949, p. 45.

67 Uno dei maggiori esperti di finanza pubblica della fine del 1800, Paul Leroy-Bealieu, scriveva che una pressione fiscale compresa tra il 6 e il 12 % potevano considerarsi normali, mentre una pressione fiscale superiore a questa soglia era da considerarsi “esorbitante” ed anzi dannosa per la crescita economica. Cfr. P. LEROY-BEAULIEU, Traite de la Science des Finances, Parigi, 1888, p. 127. I livelli attuali si attestano invece su percentuali ben più alte tendenti al 50% del PIL. Cfr. V. TANZI, Globalization and taxation. A Brief Historical Survey, in Riv. Dir. Fin., 2014, p. 1.

68 V. TANZI, Globalization and taxation. A Brief Historical Survey, in Riv. Dir. Fin., 2014, p. 1. L’autore sottolinea che gli Stati Uniti non avevano neppure un’imposta sul reddito fino al 1913 e il Regno Unito l’aveva introdotta durante le guerre napoleoniche ma l'aveva subito abrogata.

69 Pubblicata nel 1776. Sul punto, si veda M. DEL GATTO, Trends di economia internazionale. Globalizzazione, investimenti e commercio estero, Catanzaro, 2017.

70 Si pensi all’invenzione del telegrafo elettronico nel 1840, che inaugurò la moderna era della comunicazione globale in tempo reale. Il primo messaggio telegrafico transatlantico fu inviato nell’ agosto 1858, riducendo il tempo di comunicazione tra l’Europa e il Nord America da dieci giorni - il tempo impiegato per consegnare un messaggio con la nave - a pochi minuti.

aumentano vertiginosamente71: le esportazioni mondiali aumentano in media del 3.4% ogni anno, ben al di sopra della crescita del PIL mondiale (2.1% annua). La quota di esportazioni globali rispetto a quest’ultimo aumenta costantemente, raggiungendo, nel 1913, livelli che non sono superati fino al 1960. Dalla metà dell’ottocento la popolazione mondiale aumenta di circa 6 volte, la produzione mondiale di 60 volte ed il commercio internazionale di circa 140 volte72.

Sotto il profilo economico, si affermano le grandi imprese, che avocano presso le loro sedi operative un gran numero di lavoratori; si avvia un progressivo processo di urbanizzazione, cui si affianca la necessità di aumentare il tasso di alfabetizzazione e di fornire altri servizi sociali per i lavoratori industriali con conseguenti nuovi ruoli per i governi e nuove necessità di finanziare tali interventi con la spesa pubblica; comincia, inoltre, a svilupparsi un certo movimento di capitali (si pensi ai finanziamenti dei grandi progetti infrastrutturali) e si affermano gli scambi commerciali, anche internazionali.

La conseguenza, sotto il profilo impositivo, è duplice. Da un lato, nasce il

welfare state e, con esso, la richiesta dei governi di aumentare le entrate fiscali73, da cui consegue l’introduzione dell’imposizione reddituale e cui viene affidato il ruolo centrale nei sistemi tributari dei Paesi; dall’altro, si accetta gradualmente l’idea che nessuna economia può sopravvivere in regime autarchico ma dipende – in misura più o meno intensa – da quella degli altri Stati: rinnegare l’esistenza di tale interdipendenza significa, di fatto, ostacolare la crescita e lo sviluppo di quella medesima economia74.

L’ondata di globalizzazione riceve una decisa interruzione durante la Prima

71 La Prima linea ferroviaria del mondo, la Stockton & Darlington Railway, fu inaugurata nel 1825; nella seconda met`a del XIX secolo, linee ferroviarie furono costruite nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti. I costi del trasporto interno diminuirono di oltre il 90% tra il 1800 e il 1910. Cfr. M. DEL GATTO, Trends di economia internazionale. Globalizzazione, investimenti e commercio estero, cit., p. 7.

72 A. MADDISON, The World Economy: A Millennial Perspective, OECD, Parigi, 2001. 73 Al tempo stesso si svolgevano vari sviluppi sociali e politici che avrebbero portato ad una maggiore spesa pubblica e alla necessità di tasse più elevate. Tra questi, i più importanti erano: l'avvento dei regimi parlamentari, l'aumento dei movimenti democratici, l'aumento dei sindacati, la crescente popolarità delle ideologie socialiste e statistiche, l'ampliamento del diritto di voto, incluso il voto delle donne e sopra. Questi sviluppi fissano la fase per un ruolo economico molto più grande dallo Stato e, di conseguenza, ha richiesto tasse molto più elevate per svolgere tale ruolo. Vedi Tanzi, 2011. L'introduzione o l'espansione dell'impiego delle imposte sul reddito è stato anche uno sviluppo naturale in questo periodo.

74 C. SACCHETTO, voce Diritto Tributario (convenzioni internazionali), in Enc. Dir., Annali, vol. I, Milano, 2007, p. 521.

Guerra mondiale, che trascina molti Paesi nella Grande Depressione, culminata alla fine degli anni ’20.

Quanto finora detto è espresso in numeri dalle tabelle che seguono, che mostrano la crescita degli scambi internazionali in quegli anni75:

-

A dispetto della straordinaria complessità e dimensione dei cambiamenti a livello di integrazione economica internazionale, i sistemi economici del XIX secolo sono infatti caratterizzati da una politica internazionale relativamente semplice, che subisce – e non certo favorisce – la globalizzazione; negli ultimi tre decenni del secolo, per proteggere i produttori nazionali contro la crescente concorrenza mondiale scaturita dalla caduta dei costi di trasporto, la maggior parte dei Paesi europei inizia ad aumentare gradualmente il livello delle tariffe commerciali.

In controtendenza, alcuni Stati cominciano ad aprirsi al commercio internazionale, mediante iniziative bilaterali, e non collettive76. Gradualmente, tali

75 E. ORTIZ-OSPINA - M. ROSER, International Trade, 2018, in OurWorldInData.org. 76 Un grande impulso il tal senso provenne dalla Gran Bretagna, che fornì, anche a livello domestico, un impulso al liberalismo commerciale, abrogando alcune imposte all’ingresso. Per fare solo un esempio, nel 1860 fu stipulato il trattato di Cobden-Chevalier, che aveva l’obiettivo di migliorare i rapporti diplomatici tra Gran Bretagna e Francia e ridurre bilateralmente le barriere tariffarie al commercio. Tale stipula, inizialmente bilaterale, sfociò, in una catena di accordi bilaterali che di fatto generarono una sorta di grande accordo multilaterale. Ne seguì un periodo di

esperienze pongono le basi per le prime politiche di coordinamento internazionale, culminate nella creazione della Società delle Nazioni77. La consapevolezza che il primo ostacolo alla crescita e allo sviluppo dell’economia sia determinata anche dal difficile coordinamento tra gli – ancora autarchici – sistemi fiscali dei Paesi, in uno con l’esigenza di risollevare l’intero mondo occidentale dalla crisi, induce infatti molti Paesi ad avviare apposite iniziative internazionali78, nell’ambito delle politiche proposte dalla Camera di Commercio Internazionale sotto l’egida della Lega delle Nazioni. I lavori, avviati nel 192179, mirano alla redazione di un modello di convenzione internazionale80 per prevenire la doppia imposizione81.

forte liberalizzazione del commercio internazionale (D. IRWIN, Long-Run Trends in World Trade and Income, in World Trade Review, 2002, p. 89). La Gran Bretagna fu tuttavia osteggiata da altri Paesi, come la Germania e l’Italia, che perseguirono politiche diametralmente opposte.

77 Alcune di esse erano volte a migliorare l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione (Unione Internazionale Telegrafica, 1873); altre, erano volte ad amministrare i recenti negoziati della Convenzione di Berna per i diritti d’autore delle opere letterarie e artistiche (United International Bureau for the Protection of Intellectual Property, 1893).

78 Alcuni Stati, in particolare quelli già legati da accordi internazionali di diversa natura o aventi comunanza di tradizioni sociali, economiche e politiche, cominciano quindi – atomisticamente e bilateralmente – a stipulare convenzioni bilaterali per contrastare il fenomeno della doppia imposizione. I primi a muoversi in tal senso furono proprio quelli Europei. Tra i primi a muoversi in tal senso, si annoverano stati già appartenenti a federazioni o legati da alleanze militari e, perciò, già legati da previ rapporti extra-tributari che potevano agevolare la contrattazione. Si pensi alla Convenzione stipulata tra l’Austria e l’Ungheria il 18 dicembre 1869, di poco successivo al c.d. Ausgleich ("compromesso") del 1867 tra i due Stati, i.e. l’accordo politico cui è storicamente ricondotta l’origine dell’impero austro-ungarico. Come è intuibile, la circostanza che tali convenzioni fossero bilaterali da un lato consentiva a tali strumenti di risolvere pienamente e perfettamente le doppie imposizioni negli scambi tra i due Paesi stipulanti, ma dall’altro determinava taluni problemi di coordinamento laddove gli scambi non avvenissero solo tra quei due territori. Si pensò, quindi, di tentare una soluzione comune alla problematica, che consentisse a più Paesi di poter usufruire di linee guida identiche sulla cui base stipulare gli accordi bilaterali.

79 La Camera di Commercio Internazionale introdusse i lavori nella propria agenda politica con la risoluzione n. 11 del Constituent Congress,.

80 Tali questioni vengono lungamente approfondite anche dal punto di vista tecnico. Si consideri infatti che dal 1927 al 1946, il Committee of Technical Experts and Fiscal Committee rilascia diversi report finalizzati alla creazione di un modello di convenzione bilaterale che coordini le soluzioni internazionali e risolva il problema della doppia imposizione e della mutua assistenza amministrativa. Il primo decisivo impulso promanò dai Comitati Finanziario e Fiscale della Lega delle Nazioni, nati proprio al precipuo scopo di incentivare le economie degli Stati Europei, devastati dalla Prima Guerra Mondiale appena conclusa. C. SACCHETTO, voce Diritto Tributario (convenzioni internazionali), cit.; P. BAKER, Double taxation conventions and Internaitional Tax Law, London, 1994.

81 J.E. FARREL, The Interface of International Trade Law and Taxation, Amsterdam, 2013. Per un approfondimento sulla storia delle politiche della Camera di Commercio internazionale e della Lega delle Nazioni, si veda A. HERNDON, Relief from International Income Taxation: the developement of international reciprocity for the prevention of double taxation, Callaghan, 1392; B. CARROL, History of movement to remove tax barriers to international trade in E. EINSER, Tax barriers to trade, 1941, p. 205; D. WANG, International double taxation of income: relief through international agreement 1921-1945, in Harward Law Review, 1945, p. 73.