• Non ci sono risultati.

L E QUESTIONI PROBLEMATICHE . P REMESSA

Le peculiarità dell’economia digitale hanno determinato l’insorgere di importanti problematiche sotto il profilo fiscale; la dottrina non esita a qualificare tali problematiche come una forma di complessivo “monadismo reddituale”13: le architetture fiscali delle imprese digitali consentono infatti la creazione di “stateless income”, che deriva da un'attività che il gruppo multinazionale svolge in un Paese che non è né quello di residenza della società-madre, né quello in cui sono localizzati i fattori di produzione che generano il reddito14.

Da una prima prospettiva, il sempre maggiore ricorso all’utilizzo di beni immateriali, che racchiudono la maggior parte del valore dell’output delle imprese, ha acuito il problema dell’erosione delle basi imponibili. Neppure occorre indagare oltre su tale tema: delocalizzare un marchio, un brevetto, un

software presso una giurisdizione fiscalmente più vantaggiosa è ben più agevole

rispetto a delocalizzare un asset fisico.

Giova tuttavia premettere che lo stesso concetto di pianificazione fiscale

12 Tutti gli argomenti finora accennati saranno più ampiamente sviluppati nel seguito; non, può, tuttavia, non evidenziarsi che il BEPS è, di fatto, in corso di implementazione e solo di recente gli Stati hanno sottoscritto l’apposita convenzione multilaterale (nella quale, tuttavia, la prima azione non è contemplata); senonché, nelle more di un intervento internazionale, alcuni legislatori domestici, pur adducendo il BEPS quale imput per talune riforme, hanno di contro introdotto, o tentato di introdurre, norme interne con funzione assai incerta, “a cavallo” tra l’intento di contrastare l’abuso e l’effetto – vano? – di modificare le regole fiscali, soprattutto in materia di allocazione della potestà impositiva. Come si noterà12, esse condividono l’intenzione, dichiarata o implicita, di colpire l’economia digitale in senso lato, identificata nella maggior parte dei casi – ma non sempre – nei cosiddetti “colossi del web” ma, il più delle volte, difficilmente si coordinano con gli obblighi che detti Stati hanno assunto sottoscrivendo le convenzioni contro le doppie imposizioni.

13 S. CIPOLLINA, Profili evolutivi della cfc legislation: dalle origini all'economia digitale, in Dir. Fin., 2015, p. 356.

aggressiva assume contorni fumosi, in bilico tra l’abuso e il legittimo risparmio di imposta. Condividendo le ricostruzioni della più recente dottrina15, può parlarsi di pianificazione fiscale aggressiva quando, contestualmente, risultano integrati i tre seguenti elementi. Il primo consiste nello sfruttamento delle disparità tra sistema diversi con la finalità di trarre un vantaggio fiscale, laddove di “sfruttamento” può parlarsi solo laddove si ravvisi una frizione tra la forma giuridica prescelta e la sostanza economica del rapporto. Il secondo risiede nel disallineamento tra il luogo di produzione della ricchezza e quello in cui detta ricchezza viene assoggettata ad imposizione. Il terzo elemento è la involontarietà del risparmio fiscale, conseguito nonostante gli Stati non abbiano inteso concederlo o tollerarlo.

Al pari dell’elusione, anche la pianificazione fiscale aggressiva tende al risparmio d’imposta sfruttando strutture prive di sostanza economica; nondimeno, la seconda, a differenza della prima, non mira necessariamente al conseguimento di un risparmio di imposta in un solo Stato, ma guarda ad un risparmio “complessivo” derivante dai difetti di coordinamento tra norme diverse di sistemi impositivi (nazionali e/o internazionali) differenti.

In termini generali, la pianificazione aggressiva può operare a due livelli: - al livello della residenza, mediante pratiche che sottraggano al Paese

d’origine la sua giusta imposizione;

- al livello della fonte, articolando pratiche volte ad eludere le norme che allocano presso il Paese di destinazione il quantum che dovrebbe percepire dallo svolgimento di quelle attività.

È giusto sottolineare fin d’ora – e questo è un tema su cui solo pochi pongono l’accento16 – che la sofisticata pianificazione fiscale abusiva realizzata dalla maggior parte delle digital enterprises ha effetti prevalentemente sulla loro fiscalità nello Stato di residenza della casa-madre17, il più delle volte localizzata

15 P. PISTONE, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2016, p. 395.

16 G. FRANSONI, Prime considerazioni sulla webtax ovvero sull’iniziativa congiunta di Francia, Germania, Italia e Spagna di tassare le società attive nel settore della digital economy, in Riv. Dir. Trib., supplemento online, 19 settembre 2017.

17 G. FRANSONI, Prime considerazioni sulla webtax ovvero sull’iniziativa congiunta di Francia, Germania, Italia e Spagna di tassare le società attive nel settore della digital economy, in Riv. Dir. Trib., cit.

negli Stati Uniti18, presso la quale non “rientrano” i capitali investiti all’estero e ivi assoggettabili a imposizione. Tali pianificazioni fiscali, tuttavia, non sono sconosciute agli stessi Paesi di residenza, che anzi le hanno talora (più o meno consapevolmente) agevolate con norme domestiche incentivanti o non disincentivanti19.

Di contro, e da altra prospettiva, il più delle volte il mancato assoggettamento ad imposizione presso lo stato della fonte non deriva dall’utilizzo di pratiche abusive, ma dal naturale dispiegamento delle norme fiscali che regolano l’imposizione dei redditi transnazionali. Non si tratta, si badi bene, dell’applicazione delle norme interne dei singoli Stati, ma della struttura portante che si è deciso di conferire alla distribuzione delle attività svolte in Stati diversi sin dagli anni ’20 dello scorso secolo. L’impossibilità di assoggettare ad imposizione nel market country i redditi prodotti da tali multinazionali non dipende, infatti, dalla circostanza che esse eludono le norme, interne o internazionali, che attrarrebbero l’imposizione negli Stati della fonte; dipende, piuttosto, dalla circostanza che le modalità di produzione di quei redditi li rendono strutturalmente non assoggettabili ad imposizione in detti Stati.

Tale premessa è doverosa, per non incorrere in semplicistiche reductiones

ad unum che inquinano l’indagine sulle problematiche qui affrontate e, va da sé, le

soluzioni ipotizzate per quelle medesime problematiche.

Premesso ciò, la conclusione va da sé: gli Stati della fonte non possono tentare di attrarre ad imposizione detti redditi nei rispettivi territori (solo) mediante lo strumento del contrasto all’abuso; la migliore via per perseguire tale risultato è, piuttosto, un ripensamento della struttura che attualmente connota la fiscalità internazionale, che – per definizione – non può essere rimessa ai singoli Stati, ma deve “passare” per una rimodulazione di quelle scelte condivise negli anni ’20 da tutti i Paesi interessati dalla problematica20.

18 È notorio che la Silicon Valley è ha dato i natali alle più grandi multinazionali digitali, in taluni casi trasferitesi in Delaware dopo aver avviato ed ampliato la propria attività.

19 Così venendo meno l’elemento involontario del risparmio d’imposta, idoneo a connotare come aggressiva la pianificazione fiscale.

20 Come sottolinea S. CIPOLLINA, Profili evolutivi della cfc legislation: dalle origini all'economia digitale, in Dir. Fin., 2015, p. 356, “l'originaria coerenza del paradigma fiscale degli anni Venti, che regola una partita internazionale a due giocatori — lo Stato della fonte, dove il capitale estero è stato investito, e lo Stato della residenza dell'investitore — sfuma quando

Nondimeno, molti Paesi, nella fretta di giungere ad una soluzione, hanno introdotto, o tentato di introdurre, norme domestiche volte ad attrarre ad imposizione nei loro territori i redditi delle multinazionali digitali. Tali disposizioni:

- quanto ricorrono – implicitamente o esplicitamente – allo strumento dell’abuso, si rivelano del tutto inidonee a raggiungere i risultati auspicati, dovendo fare i conti con l’impossibilità di individuare pratiche idonee ad aggirare le norme domestiche sulla territorialità dell’imposizione;

- quando invece mirano – implicitamente o esplicitamente – alla rimodulazione delle stesse norme domestiche sulla territorialità dell’imposizione, si scontrano inevitabilmente con i principi e le norme convenzionali di matrice internazionale, che non consentono ampi spazi di manovra ai legislatori domestici su questa materia.

Si è quindi di fatto ritornati a quella stessa confusionaria convivenza di norme domestiche che, negli anni ’20 del secolo scorso, si è strenuamente osteggiata.

Le considerazioni finora svolte valgono nella misura in cui ci si approcci al tema nella logica dell’imposizione diretta. Altri Paesi, invece, probabilmente consci di tali limiti, tentano di raggiungere i medesimi scopi, i.e. l’avocazione presso le loro giurisdizione dell’imposizione a carico delle multinazionali digitali, mediante interventi in materia di imposizione indiretta21.

Tale brevissima considerazione introduce le tematiche che saranno

l'ingresso di altri giocatori sul terreno di gioco altera lo schema duale assunto dalle norme distributive. Verso la fine del Novecento, l'emersione di queste forme di nomadismo reddituale sposta parzialmente il focus dalla doppia imposizione internazionale alla doppia non imposizione internazionale. E tuttavia, il principio della “single taxation” — uno degli assiomi della fiscalità internazionale, risalente quasi a un secolo fa — include nel proprio ambito applicativo anche questa ipotesi “negativa”, perché ha un duplice significato: le imposte vanno pagate una sola volta, ma almeno una volta”. Anche la dottrina internazionale pone l’accento sul fatto che il reddito transnazionale deve essere tassato “nor more or less than once, at the rate determined by the benefit principle, i.e., the source country rate for active income and the residence rate for passive income. But if the preferred country (source for active, residence for passive) does not tax, it is incumbent upon the other country to tax, because otherwise double taxation will result, which (..) is just as damaging as double taxation” (R.S. AVI-YONAH, International Taxation of Electronic Commerce, in Tax Law Review, 1997, p. 507).

21 O più correttamente, a carico della loro attività. Trattandosi di imposizione indiretta, sembra infatti più corretto ancorare tale imposizione all’attività svolta da tali soggetti (in termini di realità dell’imposizione), piuttosto che ai soggetti medesimi (in termini di personalità dell’imposizione).

sviluppate nel seguito, non mancando di evidenziare, prima di tutto, le problematiche fiscali causate dal nuovo modo digitale di “fare impresa”, analizzate dallo stesso OCSE nel progetto BEPS.