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1993 1998 2000 Capi prodotti per

Da fornitore full-package a brand-owner: il caso di successo di Mavi Jeans

1993 1998 2000 Capi prodotti per

settimana

500.000 4.000.000 6.000.000

Esportazioni messicane di jeans rispetto al totale della produzione

1-2% 5% 15%

Occupazione 12.000 65.000 75.000

Tabella n. 3.11: Indicatori dell‟industria dell‟abbigliamento nel distretto del jeans a Torreon

Fonte: Local Clusters in Global Chains, Bair J. e Gereffi G. (2001)

Come si può notare dalla tabella n. 4.2, nel corso di soli sette anni il numero di capi d‟abbigliamento prodotti alla settimana è passato dai 500.000 del 1993 ai 6 milioni del 2000, dei quali il 90% veniva esportato.191 Il jeans rappresentava circa il 75% delle esportazioni di abbigliamento, in altre parole il distretto era divenuto capace di produrre oltre 4 milioni di jeans alla settimana (in confronto l‟allora capitale del jeans, El Paso (Texas) era riuscita a raggiungere un picco di soli 2 milioni di capi prodotti alla settimana nei primi anni Ottanta). La percentuale di jeans esportati sul totale della produzione è passata dall‟1-2% al 15% e i posti di lavoro sono aumentati di oltre sei volte.

191 BAIR J. e GEREFFI G. (2001), Local Clusters in Global Chains: The causes and the Consequences of

Export Dynamism in Torreon’s Blue Jeans Industry, World Development Vol. 29 No. 11, pp. 1885-1903, 2001

Tuttavia questa evoluzione del distretto non si è manifestata solo dal punto di vista quantitativo, ma anche dal punto di vista qualitativo trasformandosi da mero luogo di assemblaggio su cui far leva grazie al basso costo del lavoro a centro manifatturiero dove si svolgono attività più sofisticate e a maggior valore aggiunto. La forza competitiva non è più quindi determinata esclusivamente da costi del lavoro molto bassi ma anche da una combinazione di alta produttività e buona qualità. L‟output delle imprese del distretto del Torreon è destinato quasi esclusivamente ai brand statunitensi che forniscono gli input (tessuto) al distretto che lo taglia e lo cuce per poi rimandarlo negli USA. Prima del NAFTA questa attività di assemblaggio di input importati non riusciva di certo a stimolare lo sviluppo dell‟economia locale, ma la liberalizzazione commerciale ha consentito in questo distretto l‟incremento di legami orizzontali e verticali tra le imprese portando a un‟evoluzione quantitativa e qualitativa delle esportazioni del distretto. Riassumendo, le ragioni sono rappresentate da:

 Implementazione del NAFTA nel 1994, che ha posto le basi per un maggior dinamismo delle esportazioni;

 Valuta stabile;

 Moderata inflazione;

 Forte incremento di IDE;

 L‟instaurazione di legami con Paesi esteri, in particolar modo con gli Stati Uniti. La letteratura economica suggerisce che il modo con cui le imprese di un distretto sono collegate con attori esterni può avere importanti ripercussioni sulle performance e sullo sviluppo locale. In particolare, in questo caso gli acquirenti - ovvero i brand statunitensi - hanno notevolmente spinto l‟evoluzione della industria del distretto perché hanno consentito e richiesto lo sviluppo di reti full-

package avvalendosi delle più avanzate e innovative imprese manifatturiere

locali.

L‟ultimo Paese, ma non per importanza, che merita un approfondimento è rappresentato dalla Turchia, caratterizzata da una tradizione tessile relativamente antica ma che dimostrato un vero e proprio successo nel settore del denim a partire dagli anni Novanta. Se nel 1989 le esportazioni ammontavano a 29,641 milioni di dollari, nel 2011 hanno raggiunto un picco di 426,657 milioni di dollari (tabella 4.3), crescendo di ben 14 volte guadagnandosi il quarto posto tra gli esportatori mondiali. Oggi il denim turco è

famoso in tutto il mondo per il suo elevato contenuto innovativo, nonché per la capacità dell‟industria locale di produrre su larga scala tessuti di qualità.

Tabella 3.12: Esportazioni turche di denim 1989-2012 (valori in dollari)

Fonte: UN comtrade

Anche in questo caso la spinta verso un aumento delle esportazioni a prima vista sembrerebbe essere dettata dalle importanti decisioni politiche verso una liberalizzazione del mercato.192 Tra queste vanno citate:

 Le riforme dei primi anni ‟80 implementate dal Governo per liberalizzare il sistema commerciale e integrare la Turchia nell‟economia globale;

 L‟associazione dal 1959 con l‟UE, di cui è diventata partner commerciale;

 L‟unione doganale istituita con l‟UE nel 1996;

 Il progressivo aumento delle quote sulle importazioni statunitensi e la riduzione dei dazi a partire dagli anni Ottanta che incrementarono le esportazioni turche verso gli Stati Uniti.

Tuttavia queste motivazioni non sono in grado di spiegare completamente il trend delle esportazioni turche negli ultimi vent‟anni, tant‟è che non esiste, ad esempio, una diretta relazione tra eliminazione delle barriere commerciali derivanti dall‟Unione doganale e l‟aumento dell‟export, in quanto l‟abolizione delle tariffe nominali era già avvenuta a

192 NEIDIK B. (2004), Organizational foundations of export performance. The case of the Turkish

appareal industry, Journal of Fashion Marketing and Management, Vol. 8 No. 3, 2004, pp. 279-299 $0,00 $50.000.000,00 $100.000.000,00 $150.000.000,00 $200.000.000,00 $250.000.000,00 $300.000.000,00 $350.000.000,00 $400.000.000,00 $450.000.000,00 198919911993199519971999200120032005200720092011

partire dagli anni Settanta. Alcuni sociologi hanno cercato di colmare questo gap nella spiegazione del fenomeno spostando l‟attenzione sulle diverse tipologie di rete che i fornitori turchi hanno instaurato con gli acquirenti stranieri. Queste diverse tipologie di “global commodity chains” rappresenterebbero un perfetto strumento mediante il quale sviluppare capacità uniche, che hanno guidato la Turchia lungo un processo di upgrade industriale e trasformando il suo ruolo di semplice subfornitore di Paesi esteri a esportatore full-package. Questo progressivo spostamento dell‟industria tessile verso attività a maggior valore aggiunto sarebbe imputabile a quattro ragioni:

1. Ingenti investimenti da parte delle imprese locali per l‟estensione dell‟attività produttiva della tessitura a quella della creazione del capo finito. Un esempio è

Güneydoğu, uno dei più grandi produttori turchi di denim che a partire dalla metà

degli anni Novanta ha dato avvio a una serie di investimenti sia in Turchia che all‟estero per allargare la propria area di business alla produzione di jeans e altri articoli di abbigliamento;

2. La riallocazione della produzione da parte di imprese turche e estere (a partire dagli anni Novanta) verso l‟Anatolia (sede di ISKO) non solo per i bassi costi di produzione ma anche perchè fertile bacino di lavoratori altamente specializzati, grazie a programmi di formazione del Governo e investimenti per dare vita a un distretto industriale proprio in quell‟area. Questo era incentivato anche dal fatto che l‟Unione doganale la rendeva ancora più competitiva per le imprese dell‟Unione; 3. Gli investimenti per aumentare la capacità produttiva da un lato e lo sviluppo di

competenze di marketing e distribuzione maturate grazie ai legami con i buyer stranieri dall‟altro, posero ottime condizioni per esportare le proprie merci negli USA, un mercato tipicamente dominato dai grandi numeri. Le caratteristiche della Turchia le consentivano di conservare un vantaggio competitivo nei confronti delle piccole aziende europee, ma soprattutto di limitare la stretta dipendenza dagli acquirenti europei (in particolare quelli tedeschi) che richiedevano solo piccoli ordini;

4. Investimenti diretti esteri. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta

numerose aziende europee (favorite dall‟Unione doganale) e in particolar modo statunitensi, iniziarono ad investire in Turchia. Tra gli investimenti più importanti emergono quello di Levi Strauss che nel 1996 ha dato vita ad una partnership

chiamata “Denimko” con Karamanci Holding per produrre i Levi‟s 501 per il mercato europeo. Ciò che è più interessante notare all‟interno di questo caso è che anche Cone Denim, il fornitore americano del denim per i Levi‟s 501, nel 2002 ha creato anch‟essa stessa una joint venture con azienda turca, la ISKO, dalla quale è nata IsKone (per il 51% di proprietà di Cone Denim). IsKone rappresenta l‟unico fornitore europeo di denim per i Levi‟s 501.193

Un altro aspetto da rilevare è che il competere su un contesto sempre più globalizzato ha richiesto a tutti i player del settore di porre in essere strategie innovative per distinguersi e per sostenere una competizione necessariamente sempre più forte.

Diverse sono capacità e le strategie innovative richieste dal contesto o implementate deliberatamente per creare valore da parte dalle imprese di ogni anello della catena del valore del jeans:

1. nuova capacità di gestione delle tecnologie produttive, distributive, comunicative; 2. Qualificazione dei prodotti. Molteplici sono le vie intraprese dalle imprese dalla

filiera per aumentare la qualità del prodotto e quindi il suo valore. La prima è quella dell‟artigianalità, caratteristica strettamente correlata al territorio. Due delle più grandi imprese operanti nell‟industria ad esempio, hanno deciso di riportare in auge le antiche tradizioni. Cone Denim, il più grande produttore di denim americano produce nel suo stabilimento White Oak un tessuto creato su vecchi e lenti telai vintage che producono un denim unico, mentre la lavanderia italiana Martelli dopo anni caratterizzati dalla meccanizzazione ha deciso di riporre al centro della sua attività l‟uomo e il lavoro manuale, eliminando i brush robot e sostituendoli con il carteggio manuale che consente di ottenere un risultato molto più preciso e unico. Si tratta di un passaggio che richiede necessariamente un‟attenta selezione del personale.

Una seconda via è rappresentata dagli investimenti in ricerca e sviluppo. Il colosso turco del denim ISKO ad esempio, ha costituito un‟unità di sviluppo del prodotto composta da ben 65 specialisti e un‟unità di sviluppo tecnologico in cui operano fisici, chimici, biologi e specialisti delle nano tecnologie. Da queste unità sono nati i tessuti più innovativi che sono presenti sul mercato che ISKO ha opportunamente brevettato: JEGGINGS, ovvero il tessuti superstretch, RECALL, che si distingue

193 CHARLOTTE BUSINEE JOURNAL, Cone Mills completes joint venture,

per la sua vestibilità perfetta e la capacità di recuperare velocemente la forma e SMOKED per il suo aspetto vintage.Per supportare la ricerca ha inoltre stabilito due

think-tank in Italia, più precisamente in due luoghi chiave dell‟industria del jeans a

livello mondiale: le Marche (San Benedetto del Tronto, dove si trova ISKOTECA, un‟importante biblioteca aziendale) e il Veneto (Castelfranco Veneto, sede della Creative Room, centro per la ricerca e il design);

3. Attenzione al sociale e all‟ambiente. Una terza via che consente alle imprese di creare valore lungo tutta la filiera e di distinguersi dalla concorrenza è quello dell‟attenzione verso il sociale e l‟ambiente. La Corporate Social Responsibility è un elemento sempre più sentito, con iniziative promosse da tutti gli operatori lungo la filiera, a partire dai grandi produttori di denim giapponese alle lavanderie, fino ai

brand stessi. Questa è una forte esigenza avvertita non solo perché il jeans è il capo

d‟abbigliamento più inquinante, ma anche perché le aziende operano a livello internazionale soprattutto nei Paesi emergenti dove le norme ambientali e del lavoro non sono rispettate e infine perché rappresenta uno strumento per rassicurare i clienti sulla sicurezza della loro attività.

Il fenomeno della globalizzazione inizialmente era prerogativa delle grandi imprese che si sono spinte all‟estero principalmente con l‟obiettivo di contenere i costi di produzione, alla ricerca di materie prime a basso costo e bassi costi del lavoro, in alcuni casi pregiudicando la qualità del risultato. È il caso della lavanderia italiana Martelli Lavorazioni Tessili, che nel corso degli ultimi anni ha deciso di aprire quattro stabilimenti all‟estero, uno in Romania, uno in Tunisia, uno in Marocco e uno in Turchia. La decisione è stata dettata prettamente da ragioni di tipo economico, data la nota superiorità delle competenze e abilità degli italiani nel trattamento dei capi. Altro esempio è quello di Diesel i cui jeans vengono prodotti in parte in Italia, in parte in Tunisia, Marocco, Romania e altri Paesi asiatici.194

Scheda n.6: