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Il Veneto e le Marche

Da fornitore full-package a brand-owner: il caso di successo di Mavi Jeans

LE RAGIONI CHE LIMITANO IL SUCCESSO DELL’UPGRADE VERSO ATTIVITA’ DI MAGGIOR VALORE AGGIUNTO L’incapacità di rompere l’effetto lock-in delle imprese

3.4 I trattamenti in capo

3.4.1 Il Veneto e le Marche

In Italia le aree di rilievo per la filiera del jeans sono due: il Veneto e le Marche.

Negli anni Settanta il Veneto, e in particolare le aree che ruotano attorno alle province di Vicenza e Treviso, sono state le più fertili per il mercato del jeans. La ragione principale è da ricondursi al fatto che questa regione ha coltivato nel corso del tempo una profondo know-how del tessile, con lo sviluppo dell‟industria tessile a partire dall‟Ottocento concentrandosi nella produzione di lana, ma anche di seta e canapa. Nel secolo successivo a fianco delle imprese tessili si è sviluppata l‟industria manifatturiera orientata soprattutto all‟abbigliamento maschile.

Le imprese manifatturiere hanno avuto un periodo di forte espansione nel corso degli anni Cinquanta con la produzione di massa, per poi entrare in una fase di declino. In questo periodo negativo della produzione industriale si sono poi originati grandi brand di abbigliamento: Zannella, Carrera, King‟s Jeans, Daily Blu, Goldie, Diesel, Replay e così via. La crisi delle industrie manifatturiere per l‟abbigliamento maschile ha consentito una facile conversione nell‟area del jeans e del casual.

Negli anni Settanta l‟organizzazione e la struttura del sistema tessile veneto erano composti da una rete di piccoli laboratori (dai 10 ai 50 dipendenti) che lavorano in conto terzi. Iniziano a proliferare quindi le lavanderie, le stirerie, le sale da taglio e le aziende di etichettatura, molte delle quali oggi sono leader mondiali. Basti pensare ad esempio alla Cobra, specializzata nelle minuterie metalliche e Martelli Lavorazioni Tessili S.p.a. che oggi realizza un fatturato di oltre 53 milioni (2012), distinguendosi oggi come allora per una altissima attenzione dedicata alla ricerca sulle colorazioni, sui finissaggi e sui trattamenti in capo.

Inoltre fu proprio in quegli anni che iniziarono a svilupparsi le competenze tecniche italiane dei trattamenti del jeans. Questi infatti non erano trattati ed erano molto rigidi, quasi cartonati e il gruppo di Goldschmied si mise all‟opera per trovare una soluzione.

Dopo diversi tentativi il materiale migliore per ricreare l‟effetto-usato sul jeans risultò essere la pietra pomice: gli intraprendenti imprenditori veneti avevano dettato una svolta nella storia del jeans.

Non dimentichiamo che il successo veneto nel settore del denim è da ricondursi al

know-how sviluppato nel corso del tempo ma anche e soprattutto al coraggio, al saper

fare e alla serietà degli operatori veneti.181

L‟altra regione italiana che svolge un ruolo fondamentale nel mercato del jeans sono le Marche. Le Marche infatti, sono sede del distretto denominato “Distretto tessile - Abbigliamento di Urbania / Sant'Angelo In Vado / Pergola / Sassocorvaro / Mondolfo”, che fino a qualche anno fa‟, prima della crisi, era conosciuto come “jeans valley”. Il distretto è localizzato nella provincia di Pesaro e Urbino, nei comuni di Urbania e S. Angelo in Vado (la zona della Val Metauro), lungo la valle del Cesano (tra Pergola e Mondolfo), fino a raggiungere l‟area di Ostra, in provincia di Ancona.182

L‟industria tessile in questa zona inizia a svilupparsi all‟inizio degli anni Sessanta, quando Urbania stava vivendo un periodo di veloce industrializzazione nel capo del tessile abbigliamento. Successivamente questo fenomeno ha investito anche i paesi vicini, arrivando a realizzare negli anni Settanta-Ottanta, il 65/70% dell‟intero prodotto della zona. 183

Il miracolo imprenditoriale di questa zona era rappresentato da circa 40 aziende che lavoravano come terzisti per marchi del calibro di Moschino, Swish, Coveri, Trussardi, Avirex, Benetton, Naf Naf e Banana Republic. Nel corso degli anni Novanta il fatturato di queste aziende è raddoppiato, rendendo la jeans valley un distretto da 400 miliardi di lire di fatturato in un‟area popolata da meno di 100.000 abitanti.

Durante gli anni Settanta tutta l‟Italia faceva ricorso alla manodopera marchigiana per la produzione delle proprie collezioni perché questa l‟area nazionale dove si poteva produrre il jeans a basso costo finchè il fenomeno della globalizzazione non la rese vulnerabile di fronte alla intensa concorrenza africana. A questo grande pericolo la valle del jeans italiana aveva saputo tener testa grazie a diversi assi nella manica.

Il primo era rappresentato dalla specializzazione. Le aziende di Urbania e Sant‟Angelo in Vado costituivano nel loro complesso una vera e propria catena di montaggio del

181 PAMBIANCO, Il pioniere del Jeans che ha portato il Veneto a Los Angeles, PambiancoNews,

http://www.pambianconews.com/approfondimenti/jeansland-goldschmied/, 30/08/2007

182 http://www.osservatoriodistretti.org/node/313/anagrafica-analitica 183 http://www.urbania-casteldurante.com/s3_jeans.html

jeans: la ricerca e la progettazione erano condotte da aziende come la Promostudio, l‟informatizzazione dalla Informatica e Computer e i macchinari erano forniti dalla Si. Bro. Tek.. Sul territorio si trovavano anche laboratori specializzati nei lavaggi e finissaggi come la Leontex (che lavorava per importanti firme come Levi‟s, Replay, Carrera, Versace e Trussardi) e nella stiratura. Inoltre, per colmare il deficit delle competenze necessarie a promuovere i propri prodotti venne istituito il consorzio Prometea. L‟alta specializzazione di queste aziende in specifiche attività consentiva di comprimere i costi e di sviluppare conoscenze approfondite della determinata area di business.

Di conseguenza un altro asso nella manica della jeans valley era rappresentato dalla qualità dei propri prodotti, frutto di importanti investimenti nell‟informazione e nell‟innovazione tecnologica, con il risultato di tessuti dalla mano morbidissima e jeans dall‟aspetto molto sofisticato. Questa era l‟arma con cui le 40 aziende riuscivano a competere con i bassissimi costi delle fabbriche africane.

Le aziende leader della Val Metauro erano rappresentate dalla Incom (che produceva per Swish e Prenatal), la Ideal Blue (che realizzava la maggior parte del proprio fatturato grazie a i propri brand Jackeroo e Forrestal), la Blue Line (che produceva per Fiorucci e Banana Republic), la Italian Fashion (con il proprio marchio Bull‟s Eye) e la Ambra (che produceva per Piero Guidi, Moschino, Armani e Zegna).184

Il processo di sviluppo di tutte queste aziende seguiva un modello comune: le aziende partivano come façoniste o fasoniste, ovvero come confezionisti che producevano abiti in serie sulla base di un modello per conto di grandi marchi, il materiale solitamente era semilavorato (ad esempio tessuti già tagliati) e lavoravano inizialmente come mono- committenti. Con il passare del tempo diventarono terziste per più clienti . Il passaggio successivo dello sviluppo delle aziende marchigiane fu caratterizzato dalla crisi degli anni Ottanta, superata grazie all‟aumento del livello qualitativo dei prodotti e con le esportazioni all‟estero. La fase di chiusura del processo evolutivo consisteva nel lancio di brand propri: il grande valore immateriale accumulato nel corso del tempo grazie al

know-how maturato, all‟esperienza stratificata, alla attenta gestione, ai flussi

informativi, agli investimenti, alla moltitudine di fit creati e alla personalizzazione dei

184 M. L. (1997), LA VALLE DEI JEANS STA NELLE MARCHE, laRepubblica.it,

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/06/23/la-valle-dei-jeans-sta-nelle- marche.html, 23/06/1997

capi ha consentito agli imprenditori locali di sviluppare e padroneggiare una serie di competenze idonee per creare marchi propri o acquisirne sul mercato. Casi di questo tipo sono rappresentati dalla Incom (acquirente del marchio Durango), dalla Ideal Blue (che oltre ai marchi propri aveva acquisito in licenza d‟uso la Naj-Oleari), dalla Blue Line (acquirente di Blueform, il Quadrifoglio e Nam-Nam) e altri ancora.

Grazie allo sviluppo di questi marchi le aziende locali hanno potuto costruire reti distributive e commerciali in Italia e all‟estero, soprattutto in Europa, USA, Giappone e Russia che hanno consentito di mettere su una vetrina internazionale la valle del jeans, elevarne la cultura imprenditoriale e ampliare lo scambio di informazioni.185

Questo è stato il miracolo economico di quella che è stata chiamata fino a prima della grave crisi del 2008 la “jeans valley”, ma che oggi purtroppo è nota come “ex-jeans

valley”. I grandi marchi che davano lavoro alle aziende marchigiane hanno spostato la

loro produzione all‟estero e coloro che avevano lanciato marchi propri furono gravati dal calo dei consumi, il consumo di una classe media che non esiste più.

Tuttavia il problema non è da ricondursi esclusivamente alla delocalizzazione, ma anche al lavoro nero condotto dalle comunità di cinesi dove i lavoratori svolgono la loro attività in condizioni disumane e sotto-pagati.186

Decine e decine di aziende hanno chiuso i battenti e quelle che sono ancora aperte, come la stireria Stircontrol, hanno ridotto il personale e devono rinunciare ad alcune commesse a causa della crisi di liquidità per anticipare i pagamenti ai fornitori. Ciò che prima rappresentava un‟area fertile per lo scambio di informazioni, sulla base di strette relazioni interpersonali e di collaborazioni anche tra ditte concorrenti, si è trasformato in un ambiente desolato, fatto di rapporti inariditi, in cui ognuno cerca di prevalere sull‟altro per accaparrarsi quel che resta di una piccola domanda.

Chi affronta la crisi in maniera vincente invece sono i giovani con prodotti innovativi. Nella ex-jeans valley spicca ad esempio PROmo Jeans, nata nel 2009 da Andrea Sassi, che realizza jeans per motociclisti con tasche adatte a contenere le protezioni.187

185 Ibidem

186

Il Resto del Carlino (2010), Cna: "Le aziende di abbigliamento stanno morendo e nessuno fa nulla", http://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/2010/02/26/297774-aziende.shtml, 26/02/2010

187 CAPEZZA F. (2013), Un jeans ormai lacero. La crisi non risparmia Sant’Angelo in Vado, il Ducato

online, http://ifg.uniurb.it/2013/06/13/ducato-online/un-jeans-ormai-lacero-la-crisi-non-risparmia- santangelo-in-vado/51018, 13/06/2013

3.5 Gli effetti della globalizzazione sulla filiera del jeans: l‟ascesa di nuovi player