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La nascita del jeans made in Tuscany sull‟onda dell‟American dream La fase del basic jeans

DAL RURAL JEANS AL DESIGNER JEANS L‟ASCESA DEL MODELLO ITALIANO

60 LEVI STRAUSS: A SHORT BIOGRAPHY,

2.2 Il jeans arriva in Italia

2.2.1 La nascita del jeans made in Tuscany sull‟onda dell‟American dream La fase del basic jeans

L‟affermazione di un jeans italiano è stata un percorso graduale, che non ha visto nascere subito grandi industrie come nel resto dell‟Europa e tanto meno i modelli che venivano realizzati si distinguevano per originalità da quelli americani dell‟epoca. L‟Italia ha mosso i primi passi in questo mondo con i cenciaioli della Toscana della fine degli anni Quaranta, ovvero dei piccoli commercianti che acquistavano per poi rivenderle, giacche, pantaloni e salopette in denim che erano state usate dai militari americani e che successivamente erano state lasciate alla Croce Rossa Internazionale oppure che arrivavano per via ferroviaria ai reparti di sussidio statunitense.90

Si trattava quindi di abiti di seconda mano difficili da trovare, tant‟è che tutti quei giovani che erano attratti da quella veste dal sapore americano li potevano rintracciare solo dopo assidue ricerche nei mercatini oppure nei retrobottega di qualche negozio in

89 MARTELLI LAVORAZIONI TESSILI (2008), I love finishing, Menabò Editore, pag. 88 90 Ibidem, pag. 92

centro. Quegli stessi commercianti che prima di tutti avevano fiutato la presenza di un mercato dalle grandi potenzialità, sarebbero poi diventati anche i maggiori commercianti di jeans americani attraverso i porti di Genova e Livorno.

Tuttavia non passeranno molti anni prima che lo spirito imprenditoriale di tre giovani toscani desse vita alla produzione propria di quello che sembrava essere l‟indumento più ricercato dai giovani del tempo. I pionieri italiani del jeans erano proprio dei commercianti e si chiamavano Francesco Bacci, Giulio e Fiorenzo Fratini meglio noti come i signori Roy Roger‟s e Rifle.

Sebbene si verifichino a distanza di qualche anno l‟una dall‟altra, si tratta di due storie molto simili, due approcci che sembrano quasi un percorso d‟obbligo per affrontare un settore così nuovo: partire da Campi Bisenzio, un piccolo paese in provincia di Firenze, per raggiungere i tanto sognati States, più precisamente Greensboro nel North Carolina, la più importante culla dell‟industria tessile americana. Qui avevano sede la Cone Mills Corporation (fallita nel 2004 e confluita nell‟ITC – International Textile Group91

) nota per essere la più grande azienda mondiale che si occupava della produzione e della tintura di denim open end e ring spun, nonché la Wrangler. Il loro obiettivo era quello di acquisire una profonda conoscenza delle caratteristiche del denim e del jeans per poi sviluppare il business nel proprio Paese. Una volta tornati in Italia decisero di creare dei marchi e di avviare il proprio processo produttivo facendosi arrivare proprio dalla Cone Denim il denim da 14 oz., un tessuto piuttosto pesante che risultava quasi “cartonato” considerando che, mentre era già diffusa la sanforizzazione, ancora non erano state sviluppate le tecniche di ammorbidimento.

Al ritorno Francesco Bacci si cimentò in quattro anni di prove per il taglio, per la realizzazione degli accessori (aveva tentato di sostituire i rivetti in rame con materiali più scadenti ma si arrugginivano) e per il confezionamento dei capi in diverse taglie all‟interno di un laboratorio artigianale a conduzione familiare che chiamò Manifatture 7 Bell. La pubblicità enfatizzava una caratteristica mai vista fino ad allora per un paio di jeans: non solo i capi erano pratici, resistenti ed economici ma soprattutto eleganti. Lo slogan degli anni ‟50-‟60 affermava: “7 Bell rende elegante il lavoro”.92

91 Fonte:

http://www.textileworld.com/Articles/2004/April/Textile_News/Burlington_Cone_To_Merge_Into_Inter national_Textile_Group.html

Poco più tardi, nel 1952, Francesco lanciò un nuovo marchio, Roy Roger‟s e inizierà a produrre quello che passerà alla storia come il primo jeans made in Italy, un jeans blu scuro, rigido e ovviamente western style.

Tutta la sua produzione – e sarà così anche per quella di Rifle e di tutti i primi jeans italiani - si concentrava in capi da lavoro la cui immagine era di chiara ispirazione americana: evidente era il richiamo dei cowboys nelle pubblicità, le parole sulle etichette erano spesso scritte in lingua inglese (delle quali ben pochi conoscevano il significato) e i modelli si ispiravano i Levi‟s e in particolar modo ai Wrangler, che erano in quel tempo famosi nel mondo del rodeo. Inoltre Roy Roger era un famoso sarto americano che circa cinquant‟anni prima, a bordo del suo conestoga, si spostava in tutto l‟Ovest per prestare il suo servizio.

Piccoli dettagli distinguevano però i Roy Roger‟s dai classici brand americani: una zip sulla tasca posteriore e una etichetta a triangolo sempre sulla tasca su cui era disegnata una “R” con la cintura srotolata di un cowboy. Oggi questa azienda continua a operare con successo sul mercato, chiudendo il 2012 con un fatturato di 24 milioni di euro93 e con importanti innovazioni come quella del jeans su misura: nel week end nel negozio di Firenze è disponibile una sarta con la sua Singer e una vasta scelta tra tessuti, fili, nastri, tipi di rivetti e altri accessori, per realizzare un jeans perfetto per ogni persona. All‟interno vengono cucite le iniziali del cliente e poi saranno consegnati a domicilio tramite una Rolls Royce.94 Quaranta dipendenti diretti e duecento nell‟indotto, un‟azienda piccola dunque, ma che si distingue per la sua eccellenza tutta italiana, puntando sulla più alta qualità.95

L‟altro grande marchio che si sviluppa sullo stesso territorio è Rifle, che si attesta come l‟azienda che nel corso del tempo ha mantenuto il successo maggiore e più duraturo tra tutte quelle toscane con un fatturato, nel 2012, di 33.254 milioni di euro (dati www.aida.com) e circa 200 dipendenti in Italia e all‟estero. Nel 1958, Giulio e Fiorenzo Fratini iniziarono la loro produzione con capi fortemente ispirati ai Levi‟s: tasche posteriori meno squadrate e a cuore, cuciture giallo oro per evidenziare la rusticità del

93 PIERACCINI S. (2013), La «fase due» di Roy Roger's punta su e-commerce ed export per raddoppiare

i ricavi in tre anni, Moda24 Il Sole 24 Ore, http://www.moda24.ilsole24ore.com/art/industria- finanza/2013-05-22/fase-rogers-punta-ecommerce-104850.php?uuid=Abo7R5xH

94 DESIDERIO E. (2012), Roy Roger's, il jeans si fa su misura. L'idea innovativa di un marchio che ha

fatto la storia del denim, QN, http://qn.quotidiano.net/moda/2012/11/01/795890-roy-rogers-moda-jeans- firenze.shtml, 01/11/2012

capo, una piccola etichetta rettangolare orizzontale sulla tasca e si portavano risvoltati per rievocare lo stile country. Tutte le immagini pubblicitarie richiamavano lo stile

western: cowboy, saloon e soprattutto l‟immagine del ranger che assomigliava in

maniera particolare al famoso ranger texano dei fumetti Tex Willer.96 Il logo appare scritto con dei pezzi di legno a comporre il nome Rifle. Questa era infatti la scritta che compariva sulle casse di legno che contenevano indumenti americani sulle navi che i fratelli Fratini avevano usato nei loro viaggi transoceanici (la parola inglese “rifle” rappresenta il fucile a canna lunga, in quanto queste casse originariamente trasportavano armi).97 L‟azienda si distinse dalle altre per aver abbandonato col passare del tempo il denim da 14 ½ oz ed essere passati a tessuti più leggeri da 9-11 oz, ma soprattutto per la sua prassi di dare ai loro capi nomi inglesi come John oppure Marylin, in quest‟ultimo caso al fine di enfatizzare la sensualità che trasmetteva il capo, che l‟azienda aveva iniziato a cucire in maniera più aderente al corpo e con le zip ai lati.98 Interessante è ricordare dal 1970 Rifle è il primo marchio ad esportare jeans nei Paesi dell‟Est Europa come la Cecoslovacchia, la Polonia, la Romania, la Jugoslavia e anche la Germania dell‟Est, tant‟è che in quei luoghi le parole “rifle” e “rifliska” erano diventate addirittura sinonimo di jeans99. Le merci statunitensi che tentavano di entrare in questo blocco venivano infatti prontamente respinte.

Ben più breve è stata la storia del terzo brand toscano, Glove, passato alla storia del jeans per la sua comparsa sulla rivista Vogue (segno dell‟imminente ingresso del denim nel fashion system) e una particolare attenzione al marketing. Celebre fu la sua pubblicità che ritraeva alcune coppie vestite solo con i jeans Glove, avvinghiate lungo la spiaggia. Lo slogan citava: “Pantaloni Glove, la cosa più tua dopo la pelle”. Tuttavia scomparve molto presto, all‟inizio degli anni Novanta.100

2.2.2 La seconda fase della jeans industry: dal Veneto e dal Piemonte nasce il