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Il carattere personale del consenso

Nel documento Dipartimento di Giurisprudenza (pagine 177-188)

INTRODUZIONE STORICA

3. IL CONSENSO INFORMATO COME CONQUISTA DI CULTURA E DI CIVILTÀ DEI VALORI DELLA PERSONA CIVILTÀ DEI VALORI DELLA PERSONA

3.1 I requisiti di validità dell’informazione e del consenso: introduzione

3.1.9 Il carattere personale del consenso

In linea di principio, stante la necessità del requisito della “personalità” del consenso informato non è valido il consenso espresso dai congiunti del malato, ad esempio, maggiorenne e capace di intendere e di volere844. Tuttavia, l’intervento dei parenti del paziente sembra essere opportuno nei casi in cui il malato, pur maggiorenne e capace di intendere e di volere, possa avere difficoltà nel decidere consapevolmente sul rapporto tra rischi e benefici di un trattamento sanitario, anche solo per l’età avanzata o per particolare emotività di carattere845. In tali situazioni, l’intervento dei parenti non può sostituire la manifestazione di volontà del malato, essendo quest’ultimo capace di intendere e di volere. Quindi il medico agisce correttamente se acquisisce il consenso informato direttamente dall’interessato, senza coinvolgere i parenti. Per adempiere, però, in modo pienamente diligente all’acquisizione del consenso, è opportuno che egli coinvolga nel suo rapporto con il paziente, previo consenso di quest’ultimo, una persona di fiducia, anche estranea alla cerchia di parenti, che lo aiuti ad entrare in comunicazione con il malato, affinché questi possa raggiungere una decisione effettivamente consapevole846.

843 G. M. Vergallo, op. cit., 152 ss.

844 G. M. Vergallo, op. cit., 152 ss.

845 G. M. Vergallo, op. cit., 152 ss.

846 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.

173 3.1.10 L’effettività del consenso informato

La dottrina discute sul controverso problema se il consenso presunto sia sufficiente ad esentare il medico da censure di responsabilità professionale o se, invece, sia necessario acquisire dal malato un consenso esplicito, reale e certo847. Per “consenso presunto” si intende la presunzione che il paziente, se avesse potuto esprimere la propria volontà, avrebbe sicuramente deciso di sottoporsi all’intervento medicalmente necessario848. Il riferimento è ai casi in cui il paziente non è in grado di dare il proprio consenso nel momento in cui si presenta la necessità di eseguire un intervento medico, in mancanza di tutti i presupposti richiesti dall’art. 54 c.p.849 Evidente è infatti che, se tale intervento fosse giustificato dallo stato di necessità, il problema della rilevanza del consenso presunto non sussisterebbe850. La presunzione può essere riservata ai parenti o ad altre persone scelte dal malato stesso – i quali conoscendolo bene sono i soggetti più idonei ad interpretare la sua volontà – oppure può essere compiuta dal medico. Egli, però, non avendo di solito un pregresso rapporto di amicizia con il paziente, può basare la propria decisione solo sull’effettiva idoneità dell’intervento ad arrecare un beneficio alla sua salute e su quanto gli riferiscono i parenti circa la presumibile volontà del malato851. Se, tuttavia, il compito di presumere cosa avrebbe deciso il malato, qualora fosse stato capace di prestare il consenso, è affidato al medico, allora l’istituto diventa pericoloso:

per il paziente, il quale rimarrebbe in balia della discrezionalità del sanitario, e per il medico, che, in caso di querele o citazioni, sarebbe rimesso alla valutazione soggettiva

847 V. Zambrano, “Interesse del paziente e responsabilità medica”, in P. Stazione, S. Sica, “Professioni e responsabilità civile”, Bologna, 2006, 1041 ss. R. De Matteis, “La malpractice medica”, in Cendon P., A.

Baldassarri, “Il danno alla persona”, Bologna, 2006, 1332. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.

848 In realtà, nella dottrina penalistica, che ha trattato questo tema in prospettiva generale, e non circoscritta al trattamento medico, quest’aspetto è controverso. Secondo un autorevole orientamento, infatti, poiché tutte le cause di giustificazione previste dall’ordinamento hanno contenuto oggettivo, non è necessaria la convinzione dell’agente circa il fatto che l’avente diritto avrebbe consentito qualora avesse potuto manifestare la propria volontà. Anzi, affinché abbia efficacia giustificante, sono necessarie la presenza di tutti i presupposti oggettivi necessari per la validità del consenso presunto, al pari di quello reale, e la contrapposizione tra due o più beni giuridici dell’avente diritto, di cui quello prevalente viene protetto, mentre quello di minor valore viene leso. Si veda R. Riz, “Il consenso dell’avente diritto”, Padova, 1979, 199 ss. Tuttavia, poiché nel trattamento medico gli interessi del paziente rivestono particolare importanza, giungendo persino ad esorbitare dal limite di cui all’art. 5 c.c., e le conseguenze possono essere permanenti, come tipicamente avviene negli interventi chirurgici, la rilevanza giuridica del consenso presunto non può prescindere dall’accertamento che il paziente avrebbe sicuramente acconsentito qualora avesse avuto la possibilità di esprimersi.Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.

849 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.

850 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.

851 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.

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del giudice circa la presumibile volontà del malato852. Anche la dottrina sostiene la rilevanza giuridica del consenso presunto, considerandolo “uno strumento da usare con la dovuta parsimonia”, ed in particolare “da ancorare ad elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” e sempre “nell’interesse esclusivo del paziente”853. Tuttavia, secondo questa tesi è lecito l’ulteriore intervento rispetto a quello programmato, eseguito senza il consenso informato del paziente perché anestetizzato, se si può ricostruire la presumibile volontà del malato attraverso le dichiarazioni di persone dallo stesso scelte ed indicate nominativamente nella cartella clinica. Questo vale nell’ipotesi in cui il paziente non abbia accettato il diverso intervento854. Tale impostazione appare poco rispondente agli effettivi interessi del malato ed alla realtà della situazione clinica ed operativa che si verifica nella fattispecie di cui si discute. Infatti, se si attribuisse rilevanza giuridica al consenso presunto, il medico, oltre a dover valutare la decisione migliore per la salute del paziente, dovrebbe preoccuparsi di contattare le persone indicate dal malato ed attendere le loro decisioni in merito a ciò che il loro caro avrebbe scelto se non fosse stato sotto anestesia855. Ne seguirebbe, come conseguenza, la perdita di tempo prezioso o si costringerebbe, così, il medico, per timore di farsi carico di gravi responsabilità, ad astenersi dall’intervenire, con danni irreparabili alla salute e alla vita stessa del paziente. Inoltre, il consenso presunto, categoria non rispondente ad alcuna disposizione normativa, appare difficilmente adattabile ai trattamenti sanitari856. Parte della dottrina, infatti, rileva che, al pari del consenso esplicito, anche quello presunto è inapplicabile agli interventi chirurgici in ragione del limite di cui all’art. 5 c.c.857 In secondo luogo, per essere giuridicamente rilevante, il consenso presunto deve presentare caratteristiche obiettive, tra cui la “presenza di tutti i presupposti richiesti (…) per un consenso valido ed operante”858. Ciò significa che il consenso presunto deve essere

852 A. Fiori, “Medicina legale della responsabilità medica”, Milano, 1999; A. Manna, “Considerazioni in tema di consenso presunto”, in Giust. pen., 1984, 168. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss

853 M. Bilancetti, “La responsabilità penale e civile del medico”, op. cit., 317 ss; Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.,

854 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss

855 Peraltro, oltre a non essere chiaro fino a quale grado di parentela sia necessario coinvolgere i familiari, appare evidente che se si richiede, ai fini della validità del consenso presunto, l’unanimità dei consensi dei parenti interpellati, ne risulta ampiamente ridotta la rilevanza applicativa dell’istituto. Del resto, se si ammette la possibilità di considerare valido il consenso espresso a maggioranza, si perde l’utilità di questa procedura in termini di tutela della libertà di autodeterminazione, perché, essendoci una parte di parenti dissenziente, rimane il dubbio che il paziente avrebbe espresso una volontà diversa da quella della maggioranza. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss

856 G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss

857 A. Manna, “Trattamento sanitario “arbitrario”: lesioni personali e/o omicidio, oppure violenza privata?”, in Ind. Pen., 2004, 453.Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 161 ss.

858 R. Riz, “Il consenso dell’avente diritto”, op. cit., 203; M. Bilancetti, “La responsabilità penale e civile del medico”, op. cit., 317, secondo i quali, altri e due requisiti del consenso presunto sono la mancanza di

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effettivo, libero ed attuale, deve avere ad oggetto un diritto disponibile e provenire dalla persona che ne è titolare, la quale deve anche avere la capacità d’agire859. In campo sanitario, tuttavia, la libertà di fare una scelta autentica, non viziata da errore, dolo o violenza, vuole una specificazione. Infatti, nei trattamenti sanitari sulla persona, l’effettiva libertà del consenso presuppone che il paziente riceva le informazioni necessarie a consentirgli di prendere una decisione consapevole. Dunque, poiché il consenso non informato non è valido, ne consegue l’irrilevanza giuridica del consenso presunto, proprio perché non informato in quanto il paziente non può ricevere le informazioni860. Ove, invece, si ritenga che, in questi casi, la mancanza di informazione al paziente sia surrogata dall’informazione data ai parenti, chiamati dal medico a presumerne la volontà, l’irrilevanza del consenso presunto sembra derivare dalla mancanza di potere rappresentativo in capo ai familiari stessi861. La rilevanza, quindi, del consenso presunto appare da circoscrivere ad ambiti diversi da quello sanitario, come emerge dalla casistica teorizzata in dottrina862. Quando il consenso ha ad oggetto prestazioni sanitarie che comportano conseguenze permanenti per la salute del soggetto su cui sono eseguite, è difficile concretamente che i parenti possano essere certi che egli accetterebbe di sottoporsi ad un intervento che, in caso di esito fausto, cura la patologia in atto , ma determina una menomazione permanente863. Nell’ipotesi di esito infausto, invece, riduce il periodo di sopravvivenza del malato rispetto a quanto avverrebbe se si lasciasse la malattia fare il proprio corso864. Differente è la questione del consenso non in forma orale, ma per facta concludentia, ossia mediante un qualsiasi comportamento incompatibile con la volontà di rifiutare il trattamento, come la spontaneo accondiscendenza verso l’intervento prescelto dal medico. Mancando un divieto normativo, secondo parte della giurisprudenza, valido è questo tipo di consenso, sostanzialmente implicito865.

una manifestazione effettiva di volontà e la concreta situazione di contrasto tra due o più beni dell’avente diritto, il quale porta l’agente a sacrificare il bene di minor valore per salvaguardare quello prevalente. Il Bilancetti introduce anche la mancanza del dissenso da parte del paziente.G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss.

859 F. Mantovani, “Diritto penale. Parte generale.”, op. cit., 262 ss. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 169.

860 G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss.

861 M. Bilancetti, “La responsabilità penale e civile del medico” op. cit., pag. 299. Si veda G. M.

Vergallo, op. cit., 169.

862 R. Riz, “Il consenso dell’avente diritto”, op. cit. 209; G. Fiandaca- E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 1995, 229. Si veda M. Vergallo, op. cit., 169 ss

863 G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss

864 Cass. pen., n. 5639/1992. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss

865 G. M. Vergallo, op. cit., 169 ss.

176 3.1.11 La revocabilità

Il consenso informato può essere revocato dal paziente in qualsiasi momento, fino all’inizio dell’intervento. Tale principio non è mai stato contestato, considerando che se si escludesse la possibilità di revocare il consenso si imporrebbe un trattamento sanitario come obbligatorio, al di fuori dei necessari presupposti ex art. 32, comma 2, Cost. e si entrerebbe in contraddizione con la ratio e con la natura del consenso informato866. Infatti, poiché il paziente ha il diritto di scegliere consapevolmente se e a quale trattamento medico sottoporsi, sarebbe incoerente ed illogico impedirgli di revocare il consenso dato. Tuttavia, se la validità del consenso presuppone l’informazione del paziente, così la revoca, per essere valida e vincolante per il medico, deve esser consapevole ed informata867. Dunque, sembra rientrare nei canoni di diligenza e di prudenza portare a conoscenza del paziente il rapporto tra i costi ed i benefici non solo del trattamento e delle sue alternative diagnostico-terapeutiche, ma anche della mancanza di terapia868. Il medico deve insistere nel ricordare al paziente le conseguenze della sua decisione perché medio tempore il malato potrebbe divenire meno lucido rispetto al momento in cui aveva manifestato il consenso869. Se, invece, il consenso del paziente si è formato solo in relazione al rapporto tra costi e benefici del trattamento propostogli e delle alternative terapeutiche, senza alcun accenno alle conseguenze cui andrebbe incontro in mancanza di ogni terapia, la successiva revoca del consenso darebbe al medico l’occasione di integrare tali informazioni precedentemente omesse870. In caso contrario, oltre all’invalidità della revoca, sembra essere non valido neanche l’originario consenso parzialmente informato, perché, essendo funzionale a realizzare “il diritto del paziente a privilegiare il proprio stato attuale”871, la sua validità non può prescindere dalla completa informazione anche sui pericoli e sulle conseguenze della scelta di non sottoporsi ad alcun trattamento diagnostico o terapeutico.

866 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.

867 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.

868 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.

869 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.

870 G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.

871 Cass. pen., n. 5639/1992. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 171 ss.

177 3.1.12 L’attualità

Il requisito dell’attualità è funzionale all’esigenza di garantire la genuinità e l’effettività della volontà manifestata dal paziente, in quanto il consenso o il dissenso, pur informati, espressi a distanza di tempo dall’esecuzione del trattamento potrebbero non rispecchiare più la reale volontà del paziente la momento dell’intervento872. Tuttavia, l’esclusione generalizzata di ogni rilevanza della volontà pregressa del paziente rischia di compromettere la libertà di autodeterminazione, e quindi, sostanzialmente, di risolversi in una contraddizione della stessa esigenza di fondo che ha portato all’elaborazione dell’attualità come requisito di validità del consenso873. Le “direttive anticipate”, al pari di altre analoghe, seppur non coincidenti, locuzioni come “testamento biologico”,

“testamento di vita”, “manifestazione anticipata di volontà” ed altre, consistono in una dichiarazione scritta con la quale una persona, dotata di capacità piena, naturale e giuridica, esprime la propria volontà circa i trattamenti, anche non urgenti, ai quali desidererebbe o rifiuterebbe di essere sottoposta nel caso in cui, a causa del decorso di una malattia o di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato874. Già da questa definizione, seguita dalla Convenzione di Oviedo, emerge che le direttive anticipate hanno il compito di recuperare, nei limiti del possibile, anche nelle situazioni di incomunicabilità, causata dall’incapacità decisionale del malato, il ruolo che ordinariamente viene svolto dal dialogo informato tra questi ed il medico, con lo scopo di evitare che l’impossibilità per il paziente di esprimersi possa indurre i medici a considerarlo, anche inconsapevolmente, non più come una persona con la quale concordare il programma terapeutico ottimale, ma soltanto come un corpo875. Così anche la manifestazione anticipata di trattamento876. Di conseguenza, le dichiarazioni anticipate, così come le manifestazioni di volontà assunte dal malato nell’imminenza della terapia da praticare, non possono porsi in contrasto con il diritto positivo, con le norme di buona pratica clinica o con la deontologia, né imporre al medico prestazioni che egli considera, in

872 G. M. Vergallo, op. cit., 172 ss.

873 G. M. Vergallo, op. cit., 172 ss.

874 A. Santosuosso, “A proposito del “living will” e di “advance directives”: note per il dibattito”, in Pol.

Dir., 1990, 484; S. Amato, “Le dichiarazioni anticipate di trattamento”, in AA. VV., 441 ss. Si veda G.

M. Vergallo, op. cit., 172.

875 G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

876 G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

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scienza ed in coscienza, inaccettabili877. In materia le Regioni non possono legiferare.

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Toscana 15 novembre 2004, n. 63, secondo cui “Ciascuno ha diritto di designare la persona a cui gli operatori sanitari devono riferirsi per riceverne il consenso a un determinato trattamento terapeutico, qualora l’interessato versi in condizione di incapacità naturale e il pericolo di un grave pregiudizio alla sua salute o alla sua integrità fisica giustifichi l’urgenza e indifferibilità della decisione”, e dell’art. 8 della medesima legge, il quale disciplina il procedimento per rendere le dichiarazioni di volontà indicate dall’art. 7878. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, nelle citate disposizioni “il legislatore regionale ha ecceduto dalle proprie competenze, regolando l’istituto della rappresentanza che rientra nella materia dell’ordinamento civile, riservata allo Stato, in via esclusiva, dall’art. 117 Cost., secondo comma, lettera l), della Costituzione”879. Pertanto, nella disciplina delle direttive anticipate le singole Regioni non possono apportare alcun contributo, almeno fino a quando il legislatore non detterà una prima regolamentazione. Un più significativo riconoscimento della rilevanza delle direttive anticipate è stato sancito dall’art. 38, ultimo comma, del vigente codice deontologico, secondo cui “Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato”880. Al problema dell’efficacia giuridica delle direttive anticipate è stata una prima risposta sono nel 2001881., con la ratifica della Convenzione di Oviedo, la quale all’art. 9 ha stabilito che il medico deve prendere i considerazione “i desideri precedentemente espressi dal paziente”, in ordine a trattamenti sanitari che, nel momento in cui si rendono necessari, egli non è più in grado né di accettare né di rifiutare882.Tuttavia, sia la previsione del codice di deontologia, sia la Convenzione di Oviedo lasciano il dubbio se tali dichiarazioni

877 Comitato Nazionale per la Bioetica, “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, in “Bioetica”, 2005, 122 ss., precisa che il diritto di scegliere, in previsione dell’eventuale perdita della capacità naturale, quali trattamenti consentire o rifiutare non può essere interpretato come riconoscimento del diritto all’eutanasia o del diritto soggettivo del paziente a morire, in quanto equivale esclusivamente al “diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi e tragici di sostegno vitale, pratiche che il paziente, ove capace, avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare”. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

878 G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

879 Corte Costituzionale, n. 253/2006. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

880 G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

881 Pret. Roma, 3 aprile 1997; A. Vallini, “Il significato giuridico-penale del previo dissenso verso le cure del paziente in stato di incoscienza”, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1998, 1432. Si veda G. M. Vergallo, op.

cit., 175 ss.

882 La versione inglese dell’art. 9 dispone che “The previously expressed wishes relating to a medical intervention by a patient who is not, at the time of the intervention, in a state to express his or her wishes shall be taken into account”. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

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anticipate di volontà abbiano per il medico efficacia vincolante o meramente orientativa883. Autorevole dottrina rileva come, a prescindere dall’eventuale presenza di testimonianze concordi e di documenti da cui risulti la chiara determinazione del paziente in periodo anteriore alla perdita di coscienza, sia necessario escludere la possibilità di attribuire valore vincolante ad una manifestazione di volontà non attuale e non ricevuta direttamente dal sanitario884. Quest’ultima impostazione evidenzia come l’attualità sia un requisito indispensabile di validità della scelta operata dal paziente in ordine ai trattamenti sanitari: il consenso ed il rifiuto esternati quando la persona è ancora sana possono essere meno ponderati e consapevoli, anche perché fondati su un’informazione approssimativa885. Di conseguenza, quando il paziente non è in grado di esprimere direttamente al medico la propria disapprovazione nei confronti della scelta terapeutica, costui, in virtù della posizione di garanzia che ricopre, ha l’obbligo di esperire tutte le metodiche necessarie a salvaguardare la salute del paziente886. Tuttavia, l’obiezione relativa alla mancanza di attualità delle direttive anticipate è stata efficacemente criticata dal Comitato nazionale di bioetica con tre rilievi. Innanzitutto, è evidente che le dichiarazioni di volontà, redatte in previsione di una malattia e della incapacità naturale, hanno un contenuto contingente, che potrebbe non essere più condiviso in futuro887. Pertanto, se la persona decide di formalizzarle in un documento scritto, si assume il rischio che quelle scelte possano non rappresentare più le sue reali aspirazioni nel momento i cui si rendesse necessario il trattamento anticipatamente accettato o rifiutato888. Appare illogico ritenere che l’esistenza di questo rischio, che la persona decide di correre coscientemente, debba operare nel senso di togliere validità

883 S. Amato, “Le dichiarazioni anticipate di trattamento”, op. cit., 445. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

884 G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

885 G. M. Vergallo, op. cit., 175 ss.

886 E. Palermo Fabris, “Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale. Profili problematici del diritto all’autodeterminazione”, op. cit. 213- 214; M. Barbos Portigliatti, “Diritto di rifiutare le cure”, op. cit., 33, secondo il quale si può presumere che in genere l’istinto di conservazione prevalga di fronte

886 E. Palermo Fabris, “Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale. Profili problematici del diritto all’autodeterminazione”, op. cit. 213- 214; M. Barbos Portigliatti, “Diritto di rifiutare le cure”, op. cit., 33, secondo il quale si può presumere che in genere l’istinto di conservazione prevalga di fronte

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