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Il fondamento normativo del consenso informato

Nel documento Dipartimento di Giurisprudenza (pagine 135-141)

INTRODUZIONE STORICA

2. IL CONSENSO INFORMATO COME REGOLA DEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE MEDICO-PAZIENTE

2.2 Il fondamento normativo del consenso informato

Esclusa la possibilità di ricondurre il consenso informato all’art. 50 c.p., occorre verificarne il fondamento normativo. Qui la Convenzione di Oviedo merita di essere chiamata in causa, anche se ne è stata discussa l’applicabilità606. Ha indotto a ritenere che essa non fosse entrata in vigore il fatto che il Governo non ha provveduto ad esercitare la delega conferitagli dall’art. 3 della legge di ratifica n. 145/2001 per emanare “uno o più decreti legislativi recanti ulteriori disposizioni occorrenti per l’adattamento dell’ordinamento giuridico italiano ai principi” della convenzione. In senso contrario, si rileva che proprio il riferimento ad “ulteriori disposizioni” dimostra l’immediata vigenza delle norme direttamente previste dalla Convenzione stessa in quanto non influenzata dal contenuto di tali emanandi decreti607. Secondo autorevole dottrina, invece la conferma dell’inapplicabilità della Convenzione di Oviedo deriva dal fatto che l’Italia non ha ancora provveduto a depositare presso il Consiglio d’Europa il proprio strumento di ratifica, come invece richiesto dall’art. 33 della Convenzione

603 G. M. Vergallo, op. cit., 20 ss.

604 Si veda Cass. Civ.,Sez. III, n. 7027 del 2001, in cui la Suprema Corte sostiene che “l’attività medica trova fondamento e giustificazione, nell’ordinamento giuridico, non tanto nel consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.), come si riteneva in passato, poiché tale opinione di per sé contrasterebbe con l’art. 5 c.c., in tema di atti di disposizione del proprio corpo, ma in quanto essa stessa legittima, volta essendo a tutelare un bene costituzionalmente garantito, quale è quello della salute”. Si veda G. M. Vergallo, op.

cit., 20 ss.

605 A. Lanotte, “L’obbligo di informazione: adempimento di un dovere burocratico?” in “Danno e responsabilità”, 2006; G. M. Vergallo, op. cit., 20 ss.

606 G. M. Vergallo, op. cit., 20 ss.

607 G. M. Vergallo, op. cit., 20 ss.

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stessa608. Tuttavia essa riveste un interesse che richiede di tenerne conto e del resto poiché è stata ratificata e contiene principi conformi alla nostra Costituzione, il mancato deposito dello strumento di ratifica non impedisce di attribuire alla disciplina comunitaria “una funzione ausiliaria sul piano interpretativo”: le sue disposizioni non possono prevalere sulle norme interne contrarie, ma devono essere utilizzate nell’interpretazione della legge nazionale al fine di attribuirle una lettura il più possibile conforme all’ordinamento comunitario609. La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie tendono a ricondurre il consenso nell’ambito dei diritti costituzionali della persona, individuandone il fondamento negli articoli 13, 32 e 2 Cost.610 Ciò significa che anche il diritto di autodeterminazione, in riferimento a trattamenti di natura sanitaria, non è un principio collegato al solo diritto alla salute, ma è espressione del generale diritto di libertà dell’individuo611. Si può dire che si è pervenuti ad una integrazione originale tra libertà e salute, intesa questa nel senso di benessere psico-fisico dell’individuo che rappresenta modalità di estrinsecazione del fondamentale e superiore diritto di autodeterminazione del soggetto612. In questo senso la Costituzione è informata al

“principio personalistico”, ossia incentrata sul valore primario della persona, portatrice di diritti in quanto tale e quindi indipendentemente dall’intervento dello Stato e senza il condizionamento di finalità collettive. Ciò emerge espressamente dall’art. 2 Cost., che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che come membro di un

608 F. Mantovani, “Trapianti”, in Dig. Disc. Priv., Torino, 2003; A. Santosuosso, “Sperimentazioni di farmaci sull’uomo e diritto all’integrità della persona”, in Questi. Giust., 2002; In senso contrario G.

Toscano, “Informazione, consenso e responsabilità sanitaria”, Milano, 2006. Per l’aggiornamento sull’entrata in vigore della Convenzione di Oviedo nei vari Paesi firmatari si può consultare il sito www.conventions.coe.int. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

609 Cass. civ. Sez. I, n. 21748 del 2007, in www.dirittoegiustizia.it. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag.

29 ss.

610 Tra i numerosi studi sull’argomento: A. Baldassarri, S. Baldassarri, “La responsabilità civile del professionista” Milano, 1993, 192; G. Cattaneo, “Il consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico”, op. cit., 949; R. De Matteis, “La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile”, Padova, 1995 260; E. Palermo Fabris, “Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale. Profili problematici del diritto all’autodeterminazione”, Padova, 2000, 176. Si veda G. M.

Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

611 Cass. civ., n. 10014 del 1994, dove è ben chiarito il concetto per cui l’informazione al paziente è condizione indispensabile per la “validità del consenso senza il quale l’intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall’art. 32, comma 2, Cost., quanto dall’articolo 13 Cost., che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica”. Nello stesso senso la Cass. civ. n. 364 del 1997: “A meno che siano obbligatori per legge che ricorrano gli estremi dello stato di necessità ed il paziente non possa per le sue condizioni prestare il proprio consenso, i trattamenti sanitari sono di norma volontari (artt. 13 e 32, comma 2, Cost.) e la validità del consenso è condizionata all’informazione”. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag.

29 ss.

612 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit.; G. Fiandaca-E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, op. cit.; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, op. cit.; T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2018, op. cit. Si veda inoltre G. M. Vergallo, op.

cit., pag. 29 ss.

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gruppo613. Quindi si può sostenere il riconoscimento costituzionale della libertà di autodeterminazione, la quale, tuttavia, troverebbe secondo questa impostazione ben più espliciti referenti nella nostra Costituzione614. Infatti, anche l’art. 32 Cost., che condiziona il trattamento sanitario obbligatorio ad un’esplicita previsione di legge, nonché alla sussistenza di un interesse della collettività ed al rispetto della persona umana, è espressione del principio personalistico, in quanto volto ad escludere la strumentalizzazione autoritativa dell’uomo. Come conseguenza, la tutela della libertà di autodeterminazione pretende l’inviolabilità fisica dell’individuo615. La Suprema Corte ha cristallizzato questa tesi affermando che “la necessità del consenso si evince, in generale, dall’art. 13 della Costituzione, il quale sancisce l’inviolabilità della libertà personale, nel cui ambito deve ritenersi inclusa la libertà di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica”616. I richiami all’articolo 13 Cost., che riconosce l’inviolabilità della libertà personale, e all’art. 32 Cost. sono stati tuttavia criticati da una parte minoritaria della dottrina, che ha evidenziato come tali disposizioni siano connotate da una preminente valenza pubblicistica, e non siano quindi idonee a regolare le relazioni di diritto privato617. È stato sottolineato, inoltre, che, se si facesse rientrare la libertà di autodeterminazione nell’art. 13 Cost., qualunque obbligo sarebbe incostituzionale se non fosse introdotto con “atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”618. Una parte della dottrina ha anche escluso che il diritto al consenso informato possa rientrare nell’art. 2 Cost., perché i diritti inviolabili appartengono all’essere umano in quanto tale, senza che debba intervenire lo Stato per concederli, mentre l’obbligo di acquisire il consenso informato “viene ad esistenza solo nel quadro del rapporto che l’uomo, nella sua qualità di paziente, instauri con il medico”619. Inoltre la medesima dottrina mette in risalto l’assenza nel diritto al consenso informato di un connotato tipico dei diritti inviolabili, l’indisponibilità, in quanto nulla impedisce al paziente di rinunciare al diritto di essere informato. Esclusane la natura di diritto assoluto della persona, il diritto al consenso

613 G. M. Vergallo, op. cit., 29 ss.

614 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

615 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

616 Cass. civ., n. 7027 del 2001; Cass. civ., n. 10014 del 1994; Cass. civ. n. 364 del 1997. Si veda G. M.

Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

617 G. M. Vergallo, op. cit., 29 ss.

618 Rapporti etico-sociali, Commentario Costituzionale, a cura di G. Branca, Zanichelli-Il Foro Italiano, Bologna-Roma, 1976, ritiene improprio il riferimento all’articolo 13 Cost. perché comporta la necessità dell’atto motivato dell’autorità giudiziaria, sostenendo invece più corrette in tema di trattamento sanitario collegato con l’art. 32 Cost. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

619 A. Donati, “Consenso informato e responsabilità da prestazione medica”. Si veda G. M. Vergallo, op.

cit., pag. 29 ss.

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informato andrebbe ricondotto nella categoria dei diritti di credito, ossia relativi620, in quanto nasce e viene esercitato all’interno del contratto d’opera intellettuale621. È stato, tuttavia, obiettato che il divieto assoluto di disporre di un bene non è l’unico modo in cui si manifesta l’indisponibilità, ben potendo questa essere rintracciata nella possibilità di revocare in ogni momento e senza condizioni il consenso alla violazione del proprio diritto622, e quindi anche nella possibilità per il paziente di pretendere l’informazione, riconsiderando la iniziale scelta di rinunciarvi. Tuttavia, pur sostenendo che il diritto alla libera autodeterminazione sia sprovvisto del requisito della indisponibilità, e che quindi non possa rientrare nei diritti inviolabili, si dovrebbe ammettere la natura assoluta, e non già la relativa, di questa libertà in virtù della tutela erga omnes riconosciutale dall’ordinamento623. Infatti, il legislatore ha protetto il bene giuridico della libertà morale contro le aggressioni da chiunque poste in essere attraverso la previsione delle fattispecie contenute negli artt. dal 610 al 613 c.p. (rispettivamente, violenza privata, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, minaccia e stato di incapacità procurato mediante violenza)624. Tuttavia, se è vero che l’ordinamento impone a tutti di astenersi dal limitare la libertà di autodeterminazione, appare anche indubitabile che questa, entrando nel rapporto tra paziente e medico, impone a quest’ultimo l’obbligo di attivarsi per consentire al malato una scelta consapevole, il che è incompatibile con la struttura del diritto assoluto, la quale invece richiede ai consociati un mero dovere di astenersi da attività che possano

620 I diritti relativi attribuiscono il potere di pretendere l’adempimento di un obbligo di fare o di non fare qualcosa da parte del soggetto o dei soggetti con cui si è instaurato un rapporto giuridico; pertanto, la realizzazione dell’interesse del creditore necessita della cooperazione del debitore. Al contrario, nei diritti assoluti non rileva un rapporto intersoggettivo, bensì una relazione diretta tra un soggetto un bene, ad esempio la salute, che impone a tutti di astenersi da ogni turbativa (tutela erga omnes).Si veda G. M.

Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

621 Nello stesso senso F. Galgagno, “Contratto e responsabilità contrattuale nell’attività sanitaria”, in Riv. Tri. Dir. proc. Civ., 1984, 711; In senso contrario, G. Cattaneo, “Il consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico”, op, cit., 953, secondo il quale il consenso del paziente trova la propria fonte nel suo diritto a liberamente autodeterminarsi in ordine alla propria sfera personale, e non nel contratto tra medico e paziente. Per una critica alla tesi che riconduce la professione medica nell’area del contratto, si veda P. Rescigno, “Fondamenti e problemi della responsabilità medica”, in AA.VV., “La responsabilità medica”, Milano, 1982. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

622 F. Gazzoni, “Manuale di diritto privato”, Napoli, 2001, 277. Una delle difficoltà ad ammettere l’esistenza di un rapporto contrattuale tra il medico ed il paziente si può rintracciare nell’esigenza, coerente con il principio costituzionale di dignità della persona, che il consenso all’intervento terapeutico sia sempre revocabile, fino al momento della sua materiale effettuazione. Per una critica questo orientamento, D. Carusi, “Atti di disposizione del corpo”, in Enc. Giur., Treccani, Roma, 1999, secondo la quale la possibilità di recedere non preclude la sussistenza del contratto perché l’art. 2237 c.c., in materia di contratto d’opera intellettuale, riconosce al cliente la possibilità di recedere in ogni momento,

“rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta”. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

623 G. M. Vergallo, op. cit., 29 ss.

624 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

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pregiudicarlo625. Comunque, pur sostenendo che la rinunciabilità del diritto alla libera e consapevole autodeterminazione ne escluda l’ingresso tra i diritti della personalità, e che l’obbligo di attivarsi implichi la natura relativa del diritto al consenso informato, non sembra che ne possa essere messa in discussione la rilevanza costituzionale, esplicitamente attribuita ad esso dall’art. 32, comma 2, Cost.626 Anche la legislazione ordinaria offre indicazioni chiarificatrici in ordine alla rilevanza da attribuire alla volontà del paziente. La legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, specifica all’art. 33, ribadendo letteralmente il principio già espresso dall’art. 1, comma 1, della legge n. 180/1978, che il trattamento sanitario è sempre volontario627. Dunque il legislatore aderisce ad una concezione che vede nell’uomo non uno strumento, in quanto tale suscettibile di essere asservito ad interessi di rilevanza collettiva, ma un valore in sé e per sé considerato, titolare di diritti inviolabili che l’art. 2 Cost. gli riconosce “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”628. Questa formulazione esprime ulteriormente come la partecipazione alla vita pubblica non comporti la subordinazione dell’individuo al solo interesse della collettività: infatti, anche nell’ambito dei più vari aggregati sociali, la persona conserva intatti i propri diritti inviolabili, tra i quali la libertà di autodeterminazione, la cui violazione si risolve in un’offesa ad uno degli aspetti della dignità629 umana. Ancora più rilevante è il disposto dell’art. 1, commi 2 e 5, della legge n. 180/1978, che, in

625 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

626 A. Pace, “Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale”, Padova, 2002, 49, evidenzia come il contenuto dei diritti di libertà, e quindi anche della libertà di circolazione, di manifestazione del pensiero etc., si identifichi con le facoltà che questi diritti permettono di esercitare; pertanto, “proprio perché la libertà caratterizza contenutisticamente tali diritti, rientra, in linea di principio, nel rispettivo contenuto dei vari diritti di libertà, la possibilità di scegliere se, come e quando esercitarli”. Quindi la facoltà di rinunciare all’esercizio del diritto di libertà, lungi dal comportare una deminutio di tutela, ne è l’elemento costitutivo. In senso conforme, A. De Cupis, “I diritti della personalità”, Milano, 1959, 210.

G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

627 Cass. civ., n. 21748 del 2007. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

628 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

629 La funzione della dignità viene considerata sotto tre profili: a) una funzione di difesa (Abwerhrfunktion), che si esplica nella forma di “non dominio” come “desiderio umano, profondo e universale, di rispetto e di dignità”; b) una funzione di protezione (Schutzpflichfunktion), che presuppone l’adozione da parte dello Stato di misure e strumenti atti a tutelare la dignità delle persone da violazioni provenienti da soggetti privati; c) una funzione di prestazione (Leistungfunktion), che impone allo Stato il dovere di apprestare le condizioni minime indispensabili per consentire il soddisfacimento dei bisogni essenziali della persona, favorendone la “fioritura” delle capacità. Le tre funzioni esposte sono tra loro strettamente connesse e, come nel domino, simul stabunt simul cadent, tuttavia appare indispensabile riconoscere come la garanzia della dignità, in quanto norma fondamentale costituitiva dell’identità ed autonomia personale, serva preliminarmente a tutelare sia l’auto-rappresentazione, sia la concezione dei valori del singolo, obbligando, perciò, l’ordinamento giuridico a tutelare in particolare l’auto-determinazione individuale. Dunque la dignità viene intesa prioritariamente, in senso giuridico, come libertà fondamentale di poter disporre di sé stessi e di poter formare il proprio destino in modo responsabile. “La responsabilità medica”, AA.VV., a cura di Nicola Todeschini, Milano, 2016, 235 ss. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

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attuazione dell’art. 32, comma 2, Cost., circoscrive ai casi “espressamente previsti da leggi dello Stato”, la possibilità di eseguire accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, i quali devono, comunque, essere praticati “nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura” e “devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”630. Su questa base, tra la Convenzione di Oviedo, la sommarietà degli artt. 2, 13 e 32 Cost., dell’art. 33 della legge n. 833/1978 ed 1 della legge 180/1978, l’unica disciplina generale del consenso informato è quella deontologica. Le disposizioni dei codici deontologici, infatti, anche senza essere richiamate dalla legge, hanno rilevanza giuridica come “elementi di integrazione extranormativa dei concetti di diligenza professionale (e quindi di colpa) e delle clausole generali di correttezza e buona fede”631. Peraltro, anche in materia di consenso risulta confermata la rilevanza giuridica delle regole deontologiche “quali strumenti ermeneutici idonei alla precisazione di principi generali, come quelli dell’adeguatezza dell’informazione, della libertà del consenso, ed in ultima analisi del principio di rispetto dell’autodeterminazione”632. Anche l’orientamento che esclude la natura giuridica delle norme deontologiche ritiene che queste, essendo fonti non legislative, possono rientrare nel concetto di “discipline” la cui inosservanza costituisce colpa specifica ex art. 43 c.p.633 Quindi, la disciplina deontologica, anche se priva nelle sue disposizioni di natura giuridica, risulta rilevante ai fini della soluzione dei concreti casi

630 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 29 ss.

631 Secondo G. Iadecola, “Le norme della deontologia medica: rilevanza giuridica ed anatomia della disciplina”, in Riv. It. Med. Leg., 2007 , le disposizioni deontologiche hanno nature di norme giuridiche in quanto le relative sanzioni disciplinari sono “espressamente previste dalla normazione statale”. Infatti, analogamente a quanto avviene in deontologia forense, le norme del codice di deontologia medica integrano l’art. 38 D.P.R. n. 221/1950 che non individua i singoli comportamenti vietati per gli esercenti le professioni sanitarie, bensì si limita ad indicare il decoro professionale come clausola generale “il cui contenuto deve essere derivato dalle norme dell’etica professionale, che compete all’autonomia dell’ordine professionale enunciare”. Secondo il medesimo la giurisprudenza formatasi in materia di deontologia forense, “risulta del tutto mutuabile nell’ambito della deontologia medica, che presenta le medesime connotazioni strutturali”. In senso conforme, Cass. civ., n. 12122 del 2006, in www.cortedicassazione.it, precisa che le disposizioni del codice deontologico sono “norme giuridiche obbligatorie valevoli per gli iscritti all’albo(...) che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare”. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 2007, 37 ss.

632 G. Iadecola, ne “Le norme della deontologia medica: rilevanza giuridica ed anatomia della disciplina”, ricorda che la giurisprudenza ha richiamato la disciplina deontologica per fondare il diritto del paziente di essere informato e di esprimere una consapevole adesione ai trattamenti diagnostico-terapeutici. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 2007, 37 ss.

633 G. M. Vergallo, op. cit., 2007, 37 ss.

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giudiziari, in quanto costituisce un indispensabile riferimento per valutare il carattere colposo della condotta del professionista634.

2.3 Il limite al consenso del paziente: il rifiuto del trattamento da parte del

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