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La tutela della libertà di autodeterminazione del malato di mente

Nel documento Dipartimento di Giurisprudenza (pagine 194-199)

INTRODUZIONE STORICA

3. IL CONSENSO INFORMATO COME CONQUISTA DI CULTURA E DI CIVILTÀ DEI VALORI DELLA PERSONA CIVILTÀ DEI VALORI DELLA PERSONA

4.1 La tutela della libertà di autodeterminazione del malato di mente

Il recupero e la salvaguardia della libertà del paziente è divenuta uno degli scopi fondamentali della psichiatria riformata in un contesto di cura: un riconoscimento che ha intrapreso un’inversione di tendenza il cui primo ed immediato corollario giuridico, in coerenza con l’art. 32 Cost. è stata la proclamazione della volontarietà dei trattamenti sanitari937. Come già ricordato, l’obbligatorietà dei trattamenti sanitari è subordinata al rispetto dell’art. 32, comma 2, Cost. e delle disposizioni di legge che ne disciplinano l’esecuzione. In materia di trattamento delle malattie mentali, le condizioni entro cui procedere, anche senza il consenso del paziente, sono formalizzate negli artt. 33 ss.

935 Paradigmatico è, in questo senso, il caso “Mastrogiovanni”, nel quale il Tribunale di Vallo della Lucania ha condannato il primario e altri cinque medici in servizio presso il reparto psichiatrico dell’Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania, ai sensi degli artt. 110 e 605, c. 1 e 2, n. 2, c.p., per il delitto di sequestro di persona, realizzato mediante contenzione meccanica al letto di degenza e, ai sensi degli artt. 110, 586 e 605 c.p., per aver cagionato la morte del paziente, come conseguenza del delitto di sequestro di persona, essendo risultata accertata l’incidenza causale nel decesso della contenzione fisica;

così il Trib. Vallo della Lucania, sent. 30 ottobre 2012, dep. 27 aprile del 2013, nella Rivista di “Diritto penale contemporaneo”, 12 giugno 2013. Nella ricostruzione accusatoria, sposata dalla pronuncia, la contenzione sarebbe stata praticata, in assenza di qualsiasi giustificazione terapeutica, al solo fine di assolvere un atto d’indagine richiesto dalle forze dell’ordine. Si veda C. Cupelli, op. cit., 7 ss.

936 S. Jourdan, “La responsabilità dello psichiatra per le azioni violente compiute dal paziente:

prevedibilità dell’evento e possibilità di evitarlo”, in “La responsabilità dello psichiatra”, a cura di U.

Fornari- S. Jourdan, Torino, 2006, p. 115. Si veda C. Cupelli, op. cit., 7 ss.

937 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 139 ss.

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legge n. 833/1978938 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, nella quale sono state convogliate le disposizioni già previste ad hoc dalla legge 180/1978. Ai sensi dell’art.

33, comma 3, costituiscono presupposti generali dei trattamenti sanitari obbligatori ( breviter, T.S.O.), la proposta motivata di un medico ed il provvedimento di accoglimento, che è di competenza del sindaco nelle sue qualità di autorità sanitaria939. Analogamente, il Sindaco provvede anche sulle richieste di revoca e di modifica del trattamento stesso, la cui legittimazione spetta a chiunque (art. 33, commi 7-8). A conferma dell’importanza della volontà del malato, anche il trattamento obbligatorio deve essere accompagnato “da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”, il quale, comunque, ha sempre “diritto di comunicare con chi ritenga opportuno” nel corso del trattamento (art. 33, commi 5-6)940. Questa disciplina generale trova specificazione negli artt. 34 e 35. Il primo sancisce che gli interventi di prevenzione, di cura e di riabilitazione relativi alle malattie mentali sono attuati di norma dai servizi e presidi territoriali extraospedalieri di cui al primo comma (art. 34, comma 3)941. Tuttavia, è anche possibile che la terapia psichiatrica sia eseguita in regime di degenza ospedaliera, purché sussistano ulteriori e più restrittivi presupposti: sussistenza di “alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici”; rifiuto degli stessi da parte dell’infermo; mancanza di condizioni e di

“circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere”942. Inoltre, la proposta del medico, necessaria per tutti i trattamenti sanitari obbligatori, deve essere convalidata da un medico della A.S.L., prima del provvedimento del Sindaco e questo deve essere motivato in relazione alla sussistenza dei sopra indicati requisiti943. L’art. 35, commi 1 e 2, legge n. 833/1978 introduce, infine, l’obbligo del Sindaco di trasmettere al giudice tutelare “entro 48 ore dal ricovero” il provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio944. Questi decide, con decreto motivato, se convalidare o meno il provvedimento del Sindaco. In caso di mancata convalida, il Sindaco ne dispone la cessazione in condizioni di degenza

938 Nell’enunciazione degli obiettivi, l’art. 2, comma 2 lett. g) indica “il perseguimento della tutela della salute mentale, privilegiando il momento preventivo (...), in modo da eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione (...) e da favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei disturbati psichici”. C. Cupelli, op. cit., 63 ss.

939 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

940 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

941 G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

942 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

943 F. Dassano, “La tutela dell’incapace e l’amministrazione di sostegno”, Rimini, 2004, 88 ss. Si veda G.

M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

944 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

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ospedaliera945. Infine, l’inosservanza della dettagliata procedura stabilita dall’art. 35, commi 1, 4, e 5 “determina la cessazione di ogni effetto del provvedimento e configura, salvo che non sussistano gli estremi di un delitto più grave, il reato di omissione di atti di ufficio (art. 35, comma 7)946. Dal rigore di questa disciplina, basata sui principi di eccezionalità, di residualità e di transitorietà del trattamento sanitario obbligatorio per malattie mentali in regime ospedaliero sembra emergere l’esigenza di interpretare restrittivamente le indicate condizioni di liceità947. Ai fini della validità del trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale si profila particolarmente delicato l’accertamento della presenza di “alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici” 948. In proposito, la giurisprudenza ritiene che “l’intervento definito terapeutico, e quindi necessario alla cura della patologia, può essere disposto obbligatoriamente solo in quanto l’alterazione psichica coincida con una pericolosità almeno per sé”949. Tale interpretazione, infatti, discende dall’art. 32, comma 2, Cost. e dallo stesso art. 1 legge n. 180/1978, il quale ribadisce che l’obbligatorietà dei trattamenti non può arrecare pregiudizio alla dignità della persona ed ai diritti civili e politici costituzionalmente garantiti, “compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”950. Inoltre, poiché ogni paziente è libero di rifiutare le cure per lasciare che la malattia faccia il suo corso, è vietato “costringere il paziente psichiatrico a subire cure, che egli rifiuti, con il solo fine di curare la malattia”951. Di conseguenza, il trattamento sanitario obbligatorio delle malattie mentali è lecito solo quando il pericolo per il malato di mente deriva “non semplicemente dalla persistenza della patologia e dalle sue possibili conseguenze psichiche ed organiche, ma dalla possibilità che questa possa condurre atti lesivi autonomi ed ulteriori”952. In

945 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

946 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

947 A. Pellegri, “La tutela dell’infermo psichico nel trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera”, in Dir. Fam. Pers., 2001, 38 ss. Si veda C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

948 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

949 Trib. Cagliari, 9 luglio 2005, in www.personaedanno.it. Vedi G. M. Vergallo, 250 ss.

950 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

951 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

952 Trib. Cagliari, 9 luglio 2005. In tale fattispecie, l’accertamento della pericolosità del soggetto è stato raggiunto sulla base delle “deposizioni degli agenti della Polizia di Stato, sulla cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, che hanno riferito come nella fase di eccitamento il paziente abbia afferrato un coltello e successivamente una bottiglia e successivamente sia uscito nel balcone della propria abitazione, dove gli agenti, su indicazione del sanitario, hanno proceduto ad immobilizzarlo, anche e soprattutto in ragione del fatto che la vicina aveva loro raccontato come una volta il paziente avesse tentato di lanciarsi nel vuoto”. Tuttavia, pur ritenendo lecita l’esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio, il giudice tutelare ha stigmatizzato l’operato del medico che aveva convalidato la proposta. Questi, infatti, aveva omesso di intraprendere qualsiasi “tentativo diretto a favorire il consenso del paziente”, in quanto, come emerso dall’istruttoria, “egli ripeteva, con modalità non adeguate alla delicatezza dell’intervento, che il

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giurisprudenza, si valorizza l’importanza del rapporto medico-paziente anche nella terapia delle malattie mentali. In un recente caso, il trattamento sanitario obbligatorio era stato ordinato dal Sindaco in accoglimento delle richieste di due medici attestanti uno “stato d’eccitazione maniacale” reso oltremodo pericoloso dal fatto che il malato disponeva di un’arma953. Secondo il giudice, “i dodici giorni di degenza forzata” nei quali si è esplicato il trattamento sanitario obbligatorio, con relativi controlli invasivi e terapie farmacologiche, pur necessari in relazione all’obiettività clinica, hanno integrato l’illecita violazione del diritto, costituzionalmente garantito, di scegliere o meno di sottoporsi ad un trattamento sanitario obbligatorio, sia perché non si è cercato in alcun modo di provocare il consenso del malato, sia perché nessuno dei medici coinvolti nella proposta di trattamento sanitario obbligatorio aveva un colloqui personale e diretto con il medesimo954. La legge n. 180/1978, infatti, “vieta che il T.S.O sia disposto nei confronti di soggetto che, quand’anche presuntivamente pericoloso per sé e per gli altri, non sia stato direttamente e personalmente visitato nell’immediatezza della proposta; la legge vieta che il T.S.O. sia proposto e convalidato nei confronti di soggetto che non sia stato posto nelle condizioni di scegliere terapie alternative”955. Sussistendo tale violazione dei requisiti previsti dalla legge ai fini dell’esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio, diventa irrilevante il fatto che il malato, già querelato per episodi di danneggiamento, fosse armato ed avesse manifestato, negli ultimi anni, alto tasso di litigiosità, ed ancora irascibilità ed instabilità emotiva, al punto che, nei giorni precedenti il trattamento sanitario obbligatorio, la famiglia aveva smesso di vivere con lui956. Infatti, secondo il Tribunale, se si ritenesse diversamente, si finirebbe con lo svuotare di qualsiasi contenuto la disciplina della legge n. 180/1978, che “si basa sulla filosofia per la quale la limitazione alla libertà personale del soggetto portatore di un disagio psichico costituisce, assolutamente, extrema ratio, alla stregua di misura cautelare appunto privativa della libertà personale”, e quindi non persegue alcuno scopo

foglio era stato firmato e non vi era niente da fare”. Invece, secondo il Tribunale, “il rispetto per la dignità della persona (...) impone di evitare nell’esecuzione del trattamento modalità percepite come

“burocratiche”. Gli effetti di tale approccio, infatti, appaiono devastanti, avendo determinato una reazione del paziente di assoluta umiliazione nella persona, prevedibile e che lascerà tracce per lungo tempo in una psiche già ammalata e con verosimili difficoltà di un futuro rapporto terapeutico”. Si veda C. Cupelli, op.

cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

953 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

954 G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

955 F. Ambrosetti, M. Piccinelli, R. Piccinelli, ne “La responsabilità nel lavoro medico d’équipe”, Torino, 2003, 138 ss., rilevano che, in mancanza di esame diretto del paziente, la proposta e/o la convalida del trattamento sanitario obbligatorio basate sulle sole informazioni provenienti da terzi, sia pur parenti del paziente, integrano il reato di falso ideologico in certificati ex art. 481 c.p. Vedi G. M. Vergallo, op. cit., 253 ss.

956 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 250 ss.

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preventivo, né generale, né speciale957. Di conseguenza, l’esigenza di difendere la collettività da soggetti pericolosi deve essere realizzata ricorrendo alle misure cautelari tassativamente previste dalla legge, e non indulgendo ad azioni illecite958. Irrilevante è, ulteriormente, la circostanza che, dopo la scadenza del trattamento sanitario obbligatorio, il malato abbia spontaneamente continuato a sottoporsi alle terapie. Infatti, secondo il Tribunale, il fatto che il trattamento sia proseguito con il consenso del malato, e quindi lecitamente, non elide la responsabilità dei sanitari per l’illecito precedentemente consumatosi, perché “i presupposti del T.S.O. non possono emergere ex post: essi devono essere valutati prima del ricovero coatto”959. Oltre al rapporto diretto medico-paziente, particolarmente importante è anche la motivazione del provvedimento che dispone il trattamento sanitario obbligatorio, in quanto necessaria per accertare la sussistenza dei requisiti di legge960. La Suprema Corte, in proposito, afferma che “la motivazione esclusivamente per relationem, ai precedenti provvedimenti ed alle certificazioni sanitarie, in concreto adottata” dal Sindaco è

“incompatibile con il disposto normativo di cui all’art. 34 legge n. 833/1978, espressamente impositivo dell’obbligo di motivazione in relazione alla esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, alla mancata accettazione di tali interventi da parte dell’infermo, all’assenza di condizioni e circostanze tali da consentire l’adozione di tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere”961. Pertanto, la patologia psichica non può consentire al medico di violare le norme poste a tutela della dignità e della libertà del malato di mente, la cui condizione di debolezza complica l’operato del medico costringendolo a ricercare un rapporto diretto e personale che in questi casi è più difficile trovare rispetto ad altre patologie962.

957 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 253 ss.

958 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 253 ss.

959 Trib. Venezia, 26 settembre – 19 dicembre 2005, ha escluso la sussistenza dello stato di necessità, perché l’art. 54 c.p. “presuppone l’assenza di alternative operative”; alternative che, in tale fattispecie, sussistevano ed erano facilmente realizzabili, in quanto, per evitare di violare la legge, sarebbe stato sufficiente sottoporre il malato ad un esame clinico, o almeno tentare di farlo, e dargli la possibilità di sottoporsi volontariamente alle cure, previa adeguata informazione. Si veda C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G.

M. Vergallo, op. cit., 253 ss.

960 C. Cupelli, op. cit., 63 ss.; G. M. Vergallo, op. cit., 253 ss.

961 A. Venchiarutti, “Nessun ricovero obbligatorio per malattia mentale senza motivazione”, in Dir. Fam.

Pers., 2001, 21, con nota di A. Pellegri, “La tutela dell’infermo psichico nel trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera in una sentenza della S.C.: una giusta riaffermazione di principi ormai consolidatisi, ma non sempre adeguatamente valorizzati ed applicati dalla giurisprudenza di merito”. G. M. Vergallo, op. cit., 253 ss.

962 In termini normativi è stato formalizzato “il passaggio della psichiatria da branca genericamente afferente alla sanità pubblica a settore integrato nel servizio sanitario nazionale” e questa assume “più

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