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L’approdo del consenso informato in Italia

Nel documento Dipartimento di Giurisprudenza (pagine 120-125)

INTRODUZIONE STORICA

1.2 L’approdo del consenso informato in Italia

In Italia, la progressiva acquisizione del consenso informato come principio del rapporto tra il medico ed il paziente ha portato al suo inserimento in numerose fonti normative, sia comunitarie519 che interne520. La Corte Costituzionale, peraltro, ha chiarito che la disciplina degli atti di disposizione del proprio corpo, rientrando nella più generale materia dell’ordinamento civile, è riservata alla legislazione esclusiva dello Stato ex art.

117, comma 2, lett. l)521. Agli inizi degli anni Novanta nel nostro Paese si assiste ad una serie di vicende giudiziarie per responsabilità medica, nelle quali la giurisprudenza non ha mancato di valorizzare l’importanza del consenso informato per tutelare l’autonomia

517 G. M. Vergallo, op. cit., 3 ss.

518 G. M. Vergallo, op. cit., 3 ss.

519 L’art. 63 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ratificata dall’Italia con la legge 7 aprile del 2005, n. 57, che afferma che “Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: a) il libero consenso ed informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”; G. M. Vergallo, op. cit., pag. 12 ss.

520 La normativa interna, se si esclude quella di rilevanza prettamente deontologica, è fatta di singole leggi speciali relativi ad atti medici particolari, oltre alla generica previsione contenuta nell’art. 33, comma 1, della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale n. 833/1978. Tra le più significative: la legge n.

458/1967, sul trapianto di rene da vivente, la legge n. 483/1999, sul trapianto parziale di fegato, la legge n. 194 del 1978, sull’interruzione volontaria della gravidanza, la legge n. 1647/1978, sulla rettificazione di sesso, la legge 40 del 2004, sulla procreazione medicalmente assistita. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 12 ss.

521 La Corte Costituzionale, con sentenza numero 253 del 2006 ha appunto per violazione dell’area di competenza esclusiva della legislazione statale, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 7, comma 5, della legge della Regione Toscana 15 novembre del 2004, n. 63, recante “Norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”, secondo cui “La richiesta di un trattamento sanitario, che abbia ad oggetto la modificazione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere per persona maggiore degli anni diciotto, deve provenire personalmente dall’interessato, il quale deve preventivamente ricevere un’adeguata informazione in ordine allo scopo e natura dell’intervento, alle sue conseguenze ed ai suoi rischi”. G. M. Vergallo, op. cit., pag. 12 ss.

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del paziente in ogni scelta che riguarda la cura della sua persona, “visto che senza informazione adeguata e rispettosa del paziente e, dunque, anche dei suoi limiti culturali e delle sue umanissime paure di fronte all’atto medico, questi non è più persona, ma oggetto di esperimento o di un’attività professionale che trascura il fattore umano su cui interviene, dequalificando il paziente stesso da persona a cosa”522. L’evoluzione culturale a cui si è accennato ha trovato riscontro nei codici deontologici, passando dalla formulazione dell’art. 30 del codice di deontologia medica del 1978, secondo il quale

“una prognosi grave o infausta può essere tenuta nascosta al malato ma non alla famiglia”, a quella dell’art. 40 del codice del 1989, da cui emerge che “il medico non può intraprendere alcuna attività diagnostico terapeutica senza il valido consenso del paziente, che se sostanzialmente implicito nel rapporto di fiducia, deve essere invece consapevole ed esplicito allorché l’atto medico comporta rischio o permanente riduzione dell’integrità fisica”, alla versione del 1995523, il cui articolo 31 stabiliva che

“il medico non deve intraprendere attività diagnostica e terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato”, fino al codice del 1998 che valorizza l’elemento dell’informazione e dell’autonomia e costituisce la base del vigente testo deontologico, nel quale è stata accentuata la rilevanza delle direttive anticipate524. Il passaggio alla fase dell’autonomia ha trovato nel nostro Paese il proprio necessario presupposto normativo con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la quale stabilisce all’art. 32, comma 2, che “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”525. Così, è progressivamente maturata la consapevolezza che, poiché l’atto medico si compie sulla persona e nell’interesse del paziente, solo quest’ultimo può decidere, operando un bilanciamento fondato su valutazioni religiose, esistenziali ed etiche intimamente legate al suo modo di essere, se e quali strade privilegiare tra quelle offerte dalla scienza medica526. Ogni terapia, chirurgica o farmacologica che sia, presenta un costo in termini di effetti collaterali, sofferenze, mutilazioni, ed è soltanto colui che questo costo deve sostenere a decidere se esso è preferibile alla malattia. Dunque, l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale è giunta a riconoscere alla persona la possibilità di gestire la salute del proprio corpo e di

522 Trib. Genova, 10 gennaio 2006, in Foro It.; Comitato Nazionale per la Bioetica, “Informazione e consenso all’atto medico”. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., pag. 12 ss.

523 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 12 ss.

524 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

525 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

526 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

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tutelarsi rispetto alle ingerenze di terzi nelle scelta delle cure da effettuare527. Quindi, da un lato, il medico dovrà prospettare al malato le cure più appropriate alla sua malattia, dall’altro, il malato avrà la libertà decisionale di scegliere a quale trattamento sottoporsi o rifiutarli tutti, in considerazione del fatto che la salute è un diritto e non un obbligo528. Da quest’impostazione paternalistica, il rapporto tra professionista e malato è passato ad una concezione basata sul principio di autonomia, dal greco “autos”, cioè sé, e “nomos”, cioè regola, governo, che impone al medico sia di informare i pazienti per metterli in condizione di decidere consapevolmente in ordine alla propria salute, sia di rispettare la loro scelta autonoma, ossia la decisione libera in quanto non condizionata da altrui influenze di controllo, e presa da un soggetto capace di scegliere e di comprendere tutti gli elementi della situazione e le conseguenze della propria volontà529. Tuttavia, l’art.

32, comma 2, Cost. sarebbe rimasto un presupposto astratto e non avrebbe potuto portare alle attuali conseguenze del consenso informato sia nella quotidiana pratica clinica, sia nei Tribunali, senza l’evoluzione scientifico-tecnologica della medicina. Tale fase, iniziata negli U.S.A. dopo il 1945, ha aumentato il numero della prestazioni diagnostico- terapeutiche, migliorandone l’efficacia e permettendo addirittura di scegliere tra differenti tecniche e metodiche per il trattamento di una medesima patologia. Quando la medicina aveva risorse che le consentivano solo di fare un tentativo per salvare la vita del malato, costui non poteva certo pensare di chiedere al medico di essere informato sulla sua malattia e di scegliere la cura530. Invece, da quando l’evoluzione scientifica e tecnologica ha consentito a tutti di accedere a terapie innovative capaci non solo di evitare la morte, ma anche di rispondere ad esigenze sempre più voluttuarie della persona, tanto da sfociare nella c.d. “medicina dei desideri”, la tutela della libertà di autodeterminazione del paziente è diventata parte integrante delle prestazioni mediche531. Questo ha determinato un diverso atteggiamento nel paziente, che non si rivolge più al medico con lo stato d’animo di chi gli si affida nella speranza che sia capace di guarirlo, ma gli si pone di fronte come un cliente che pretende da un professionista l’erogazione del miglior servizio possibile532. La medicina attuale non si preoccupa solo di curare il malato, ma ambisce, anche con alte percentuali di successo, di ottimizzarne il benessere, recuperandolo alla pienezza delle sue funzioni

527 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

528 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

529 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

530 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

531 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

532 M. Franzoni, “Fatti illeciti”, Bologna, 2004. G. M. Vergallo, op. cit., pag. 12 ss.

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tramite interventi sempre meno invasivi e sempre più efficaci533. Sono entrati a far parte della quotidianità interventi, inoltre, con finalità meramente estetica e non anche funzionale, perciò privi di beneficio per l’integrità fisica e rivolti solo a realizzare i desideri del singolo paziente, ossia la sua personale concezione del benessere. Tutto ciò ha inevitabilmente accresciuto le aspettative della collettività nei confronti delle prestazioni sanitarie534. Parallelamente a questo progresso di conoscenze scientifiche e tecnologiche, la società ha vissuto un’evoluzione culturale che ha elevato il livello medio di consapevolezza della persona sui problemi di pubblico interesse, ed in particolare sul tema della salute, specie grazie ai mezzi di comunicazione che non mancano di aggiornare sulle nuove frontiere di ogni terapia, ingenerando, talvolta, anche sproporzionate aspettative. In sostanza, rispetto alla prima metà del Novecento, la moderna medicina opera su pazienti molto più esigenti ed informati535. Quindi, anche la pratica clinica deve adeguarsi a questa informazione. Paradossalmente, però, proprio in concomitanza con la valorizzazione dell’autonomia del paziente, si è assistito ad un allentamento del rapporto diadico dottore-paziente sotto il profilo umano, determinato da vari fattori: l’invadenza dell’elemento meccanico e tecnologico nella prestazione diagnostico-terapeutica, l’aumento sia del numero di pazienti, sia dell’attività da svolgere in èquipe, che comporta l’intervento di più medici, ciascuno con la propria competenza, senza che sia possibile stabilire, nel breve tempo concesso, un autentico rapporto umano536. Questi cambiamenti hanno costretto il medico a valutare nei rapporti con i suoi pazienti una serie di variabili più complesse che in passato. Egli è tenuto ad operare per il bene del paziente, ma deve essere in grado di comprendere quale sia il vero bene per lui; quindi, non può più sottrarsi dal comunicargli le informazioni sullo stato di salute. Conseguentemente, è sorta la difficoltà di stabilire il confine tra il dovere di curare ed il principio di autodeterminazione del paziente537. L’evoluzione della medicina in senso tecnologico ha influito anche sul costo della spesa sanitaria, aumentandolo in maniera esponenziale. In un primo momento questo problema non è stato considerato rilevante perché l’obiettivo prioritario era sempre e comunque l’interesse del paziente, per realizzare il quale era necessario consentirgli di usufruire di ogni prestazione e di scegliere tra i diversi trattamenti sanitari o metodi terapeutici che

533 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

534 G. M. Vergallo, op. cit., pag. 12 ss.

535 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

536 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

537 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

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la medicina è in grado di mettere a disposizione538. La relazione medico-paziente, allora, si è posta come paritaria e basata su concetti di “alleanza terapeutica”,

“autonomia del paziente” ed autodeterminazione, concetti che mettono al centro la figura del paziente, titolare di diritti e libero di scegliere e di consentire consapevolmente539. Tuttavia, a seguito dell’evoluzione scientifico-tecnologica, intorno al medico ed all’erogazione delle sue prestazioni hanno iniziato a ruotare interessi multipli che includono, il personale, l’organizzazione clinica, la gestione delle risorse, le compagnie di assicurazione, fino al mondo politico su cui converge la questione dei finanziamenti540. In questa prospettiva, la legislazione italiana più recente accentua il ruolo manageriale della professione medica, che implica relazioni plurime con il paziente, ma non certo diadiche né precipuamente umane, quanto piuttosto basate sulla valutazione dei costi541. Indipendentemente dal tipo di sistema sanitario, che può essere fondato sulla globalità della copertura statale, oppure su sistemi mutualistico-assicurativi regolati dallo Stato, vi è una presa di coscienza generalizzata che le risorse destinate all’assistenza sanitaria dalle scelte di politica economica sono limitate542. Il medico, nel sistema aziendale e di concorrenza, deve valutare quale sia il trattamento che soddisfa le esigenze di salute del paziente nell’ottica di ottimizzare l’uso delle risorse. Di conseguenza, la figura del paziente comincia ad assumere connotati prossimi a quella di un “cliente”543. In questo senso, la Corte costituzionale ha posto un punto fermo, che sembra ben difficile oltrepassare, affermando che “in presenza di limitatezza delle risorse e di riduzione delle disponibilità finanziarie accompagnate da esigenze di risanamento del bilancio nazionale, non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l’urgenza544; viceversa è la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e compatibilità e tenuto conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute”545. Dunque, i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della salute, ex artt. 2, 3 e 32 Cost., devono essere interpretati nel

538 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

539 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

540 G. M. Vergallo, op. cit., 12 ss.

541 A. Fiori, “Evoluzione del contenzioso per resposanbilità medica”, op. cit., 186 ss.; G. M. Vergallo, op.

cit., 12 ss.

542 G. M. Vergallo, op. cit., 19 ss.; AA. VV., “Problemi di responsabilità sanitaria”, Milano, 2007, 110.

543 G. M. Vergallo, op. cit., 19 ss.

544 G. M. Vergallo, op. cit., 19 ss.;AA. VV., “Problemi di responsabilità sanitaria”, Milano, 2007, 110.

545 Corte Cost., n. 416 del 1995. Si veda G. M. Vergallo, op. cit., 19 ss.; AA. VV., “Problemi di responsabilità sanitaria”, Milano, 2007, 110 ss.

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senso che la tutela della salute è garantita dallo Stato, ma nei limiti delle risorse rese disponibili dalle leggi annuali di bilancio546.

2. IL CONSENSO INFORMATO COME REGOLA DEL RAPPORTO

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