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IL RUOLO DEI LETS NELLA COSTRUZIONE DI UNA ECONOMIA COOPERATIVA E SOLIDALE

6.3 Caratteristiche, composizione e ruolo dei LETS.

Abbiamo già detto della rapida diffusione che il fenomeno dei LETS ha avuto in Gran Bretagna a partire dai primi anni Novanta. Nel 2000 c’erano più di 300 LETS operativi nel Regno Unito, con un numero medio di membri pari a 72 persone e un giro d’affari medio pari a £ 4.664 all’anno, per un valore complessivo di £ 1.4 milioni di sterline (Lee, Leyshon, Williams et al., 2004: 596). Queste cifre suggeriscono che, sebbene il numero dei LETS sia abbastanza significativo, il loro impatto sulla vita economica è piuttosto basso. Nonostante questo, essi comunque suscitano l’interesse di studiosi e ricercatori per il potenziale di trasformazione dei contesti economici locali che essi hanno.

Per quanto riguarda la composizione interna dei LETS, da un’indagine condotta paragonando i dati sulla composizione dei LETS del 1999 con i dati del censimento della popolazione britannica del 1991 (Aldrige, Tooke, Lee, Leyshon, Thrift, Williams, 2001: 567-569), si evince che vi è un’alta rappresentanza di lavoratori part-time e lavoratori autonomi. In particolare, vi è un alta percentuale di lavoratori part-time maschi, campo questo tradizionalmente riservato alle donne, e di lavoratrici autonome, settore tradizionalmente dominato dagli uomini.

Queste differenze tra la composizione dei LETS e quella relativa alla società nel suo insieme, possono, secondo gli autori, solo parzialmente essere spiegate con il lasso di tempo intercorso tra le due rilevazioni (1999 per i LETS, 1991 per la popolazione complessiva). Questi dati devono, quindi, essere interpretati nel senso di attribuire ai LETS una certa capacità di ribaltare le divisioni di genere esistenti

all’interno della società e riformulare le relazioni esistenti tra genere da una parte e occupazione dall’altra.

I disoccupati sono presenti all’interno dei LETS, ma in percentuale minore rispetto agli occupati e ai lavoratori autonomi. Questo potrebbe essere spiegato con la paura, da parte dei disoccupati stessi, di perdere i benefici sociali in caso di un loro coinvolgimento nell’attività dei LETS. L’attività svolta nell’ambito dei LETS, infatti, non è fiscalmente regolamentata in maniera chiara ed univoca e, quindi, i disoccupati temono che, svolgendo una qualche forma di attività lavorativa all’interno dei LETS, questa possa essere considerata come lavoro a tutti gli effetti e possa essere causa della revoca dei benefici sociali (Williams, 1996b: 346).

La maggior parte dei disoccupati proviene da quella che Williams (1996a: 1397) chiama “disanfranchised middle class”. Si tratta di tutte quelle persone che svolgevano un’attività lavorativa medio-retribuita e che sono rimaste spiazzate dal processo di polarizzazione sociale che ha investito il mondo del lavoro.

Infatti, sostiene Williams, si è assistito ad un processo di forte polarizzazione che ha portato il mondo del lavoro a suddividersi tra due estremi: da una parte i lavori altamente qualificati e meglio retribuiti; dall’altra, i lavori meno qualificati e a bassa retribuzione. E’ venuta a mancare tutta quella fascia centrale di lavori a media retribuzione nella quale si concentrava la classe media, che ora è diventata, appunto, “disanfranchised”. La maggior parte dei disoccupati che sono membri dei LETS proviene proprio da questa fascia.

Questi dati sembrano trovare conforto, anche se l’unità di riferimento è la totalità dei membri e non i soli disoccupati, nel fatto che una alta percentuale dei membri dei LETS, circa il 60%, sono persone qualificate e con alti livelli di istruzione (Aldrige, Tooke, Lee, Leyshon, Thrift, Williams, 2001: 567).

Per quanto riguarda il ruolo che i LETS possono esercitare, Williams (1996b: 345-346) sostiene che essi possono avere un’importante funzione di reinserimento sociale per tutte quelle persone che, escluse dall’economia formale, non riescono a trovare neanche nel settore informale una via d’uscita alla loro esclusione sociale. Il settore informale dell’economia, infatti, sostiene Williams, prevede tutta una serie di barriere all’entrata che i disoccupati riescono a superare con più difficoltà rispetto agli occupati.

La prima difficoltà, continua Williams, è costituita dal fatto che i disoccupati, in seguito al licenziamento, perdono la rete di rapporti sociali che avevano nel mondo del lavoro e con essa perdono anche la possibilità di venire a conoscenza con più facilità di opportunità di lavoro nel settore informale. Inoltre, i disoccupati tendono a frequentare altri disoccupati, limitando quindi notevolmente l’estensione delle loro relazioni sociali. I LETS, da questo punto di vista, possono aiutare i disoccupati a ricostruire il tessuto delle relazioni sociali che hanno perso e ad allargare la loro rete di relazioni, facilitando il loro reinserimento sociale.

Il secondo tipo di barriera è costituito dal fatto che, spesso, ai disoccupati manca il denaro per acquistare i materiali ed i mezzi necessari per intraprendere autonomamente una attività informale. Anche in questo caso, spiega Williams, i LETS possono giocare un ruolo di fondamentale importanza, facilitando l’accesso al credito per i disoccupati e creando così le condizioni per un loro reinserimento nella società e nell’economia.

Una ulteriore tipologia di ostacolo è costituita dal fatto che, spesso, ai disoccupati mancano le abilità e le competenze necessarie per intraprendere una attività economica o lavorativa, sia pure nel settore informale. I LETS, da questo punto di vista, possono aiutare i disoccupati a sviluppare tali competenze ed abilità e ad immettersi così di nuovo nel circuito produttivo.

L’ultima, e forse più ostica, barriera è costituita dal fatto che i disoccupati, spesso, non intraprendono attività lavorative all’interno del settore informale per paura di essere denunciati alle autorità e perdere, così, il diritto ai benefici sociali. A dire il vero, come già ricordato sopra, il problema riguarda anche le attività lavorative svolte nell’ambito dei LETS, le quali non sono ancora inquadrate in una regolamentazione chiara.

Il problema, in sostanza, è il seguente: i disoccupati hanno paura che, partecipando all’attività dei LETS (cosa che comporta, come abbiamo visto, l’offerta di servizi e quindi di attività lavorativa), possano essere denunciati alle autorità fiscali le quali, verificando che i soggetti che beneficiano dei sussidi di disoccupazione stanno svolgendo attività lavorativa, sia pure nell’ambito dei LETS, potrebbero revocare i benefici stessi. Questa paura viene alimentata da una regolamentazione tributaria che non è chiara in proposito e che non contribuisce a

definire in maniera univoca in che modo debba essere inquadrata, dal punto di vista fiscale, l’attività dei LETS.

Si può ragionevolmente ritenere, però, che, attraverso opportune riforme di indirizzo politico in materia, i LETS potrebbero costituire una valida alternativa per reinserire socialmente i disoccupati e sottrarli al settore informale o, peggio, alla criminalità (Williams, 1996b: 346).

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