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L’ECONOMIA SOLIDALE COME COSTRUZIONE DI PERCORSI ALTERNATIVI NELLE RELAZIONI ECONOMICHE E SOCIAL

4.3 Le reti di economia solidale.

Affinché le varie iniziative di economia solidale possano avere un qualche impatto significativo, non devono rimanere isolate, ma essere collegate in rete. Quello di rete, dunque, è un concetto assolutamente centrale da questo punto di vista. Per chiarire il concetto di rete ci avvaliamo del contributo di Euclides André Mance, un filosofo ed antropologo brasiliano che si occupa dell’accompagnamento dello sviluppo di reti di economia solidale in Brasile; ha anche collaborato al programma del governo brasiliano “Fame Zero” ed è stato anche impegnato in progetti di sviluppo locale con l’UNESCO e con la FAO.

Mance concepisce una rete come

un’articolazione fra diverse unità che, attraverso alcuni contatti, scambiano elementi fra di loro, rafforzandosi reciprocamente, e che si possono moltiplicare in nuove unità le quali, a loro volta, rafforzano tutto l’insieme nella misura in cui sono rafforzate da esso, permettendogli di espandersi in nuove unità o di mantenersi in un equilibrio sostenibile (Mance, 2003: 24).

L’idea di rete proposta da Mance è quella di una rete diffusa, in cui ciascun nodo, nella sua autonomia, è collegato a tutti gli altri e, rafforzandosi, rafforza automaticamente tutto l’insieme, creando un sistema che Mance definisce “autopoietico” (Mance, ibidem).

Questo vale ancora di più per una rete di economia solidale, che è efficiente proprio nella misura in cui la crescita e lo sviluppo di ciascuna unità alimenta la

crescita e lo sviluppo dell’intero insieme, in un processo di continuo autorafforzamento dall’interno. Ma qual è l’obiettivo di una rete di economia solidale? Lasciamo la parola a Mance:

L’obiettivo principale di una rete solidale è creare lavoro e reddito per persone disoccupate e marginalizzate o che desiderino costruire nuove relazioni produttive, migliorare i modelli di consumo di tutti i componenti della rete stessa, proteggere l’ambiente e costruire una nuova società in cui non ci sia sfruttamento degli esseri umani e distruzione dell’equilibrio ecologico (Mance, 2010a: 131).

L’obiettivo, dunque, è quello di creare un modello alternativo di consumo e di produzione tale da mettere al centro il rispetto per la persona umana e per l’ambiente, contrapponendosi, così, ad un modello, quello dell’accumulazione capitalistica, che è, invece, fondato sullo sfruttamento, sulla esclusione e sulla assoluta mancanza di considerazione per gli equilibri ecologici.

Il funzionamento di una rete di economia solidale è basato sull’interazione fra gruppi di consumatori e di produttori che ha come fondamento la pratica del consumo di tipo solidale, rispettoso, cioè, dell’ambiente e socialmente sostenibile. Ciascun produttore interno alla rete si impegna a produrre rispettando determinati criteri di sostenibilità sociale ed ambientale, così come ciascun consumatore si impegna ad acquistare, per quanto possibile, prodotti interni alla rete stessa, in modo da favorirne lo sviluppo. Una parte del valore aggiunto ottenuto dalla vendita dei beni e dei servizi viene reinvestito nella rete in modo da espanderla. L’obiettivo ultimo è quello di produrre, sempre in maniera ecologicamente e socialmente sostenibile, tutto ciò di cui le persone hanno bisogno per il loro benessere materiale, sociale e culturale, in maniera del tutto indipendente dal mercato capitalistico. Infatti, scrive Mance:

La rete di collaborazione solidale riunisce in una stessa organizzazione gruppi di consumatori, di produttori e di erogatori di servizi. Tutti si propongono di praticare il consumo solidale, cioè di comprare prodotti e servizi della propria rete, per garantire lavoro e reddito ai suoi membri e proteggere l’ambiente. Una parte del valore aggiunto ottenuto dai produttori e dai fornitori di servizi attraverso la vendita nella rete dei loro prodotti e servizi viene reinvestito nella rete stessa per far nascere altre cooperative, gruppi di produzione e micro-imprese, per creare, quindi, nuovi posti di lavoro e aumentare l’offerta solidale di prodotti e servizi. Questo permette di incrementare i consumi di tutti e, contemporaneamente, di diminuire il volume e il numero di prodotti che la rete compra ancora dal mercato capitalista, evitando, così, che la ricchezza prodotta nella rete divenga parte dell’accumulazione capitalista. L’obiettivo della rete è quello di produrre tutto quello di cui le persone hanno bisogno per realizzare il bem-viver di ognuno in modo ecologico e socialmente sostenibile (Mance, 2010a: 132).

Diventa rilevante, quindi, stabilire la natura dei soggetti che l’economia solidale può coinvolgere nei suoi percorsi ed intersezioni. A questo proposito, Razeto

(2004: 27 e ss.) effettua una brillante articolazione delle diverse modalità e connotazioni che una impresa può assumere e attraverso cui può rapportarsi ai diversi settori dell’economia (privato, pubblico e solidale/alternativo). Infatti, per Razeto, l’impresa capitalistica, sebbene costituisca ad oggi il modello dominante, non è l’unico modello di impresa possibile, potendosi operare una distinzione fra i vari tipi di impresa in base a tre criteri fondamentali: il fattore organizzativo, i rapporti economici e la proprietà.

L’impresa capitalistica si contraddistingue per il fatto di avere come fattore organizzativo il capitale, come forma dei rapporti economici lo scambio orientato al profitto e come forma di proprietà quella privata.

Ma essa, come dicevamo, non è l’unica forma di impresa possibile. L’impresa pubblica, ad esempio, si caratterizza per avere l’Amministrazione Pubblica come fattore organizzativo, i flussi tributari come forma dei rapporti economici e la proprietà statale come forma di proprietà.

Infine, ed è il caso che qui ci interessa, l’impresa solidale si caratterizza per il fatto di avere il lavoro come fattore organizzativo, una forma dei rapporti economici improntata alla cooperazione e alla reciprocità ed una forma di proprietà di tipo cooperativo o comunitario. Tutto ciò è riassunto da Biolghini (2007: 39) attraverso il seguente schema:

Settore dell’economia Fattore organizzativo Rapporti economici Proprietà

Solidale/alternativo Lavoro Cooperazione

Reciprocità Donazioni Scambi not for profit

Cooperativa Comunitaria Personale ripartita

(o indivisa)

Privato Capitale Scambi for profit Proprietà individuale

Proprietà azionaria Pubblico Amministrazione

(pubblica) Flussi tributari Statale

E’ chiaro che l’impresa solidale costituisce l’ideal-tipo dei soggetti produttivi a cui l’economia solidale dovrebbe fare riferimento nell’estrinsecazione delle proprie pratiche. La cosa importante da sottolineare è che, in questo tipo di impresa, la proprietà comunitaria, fondata sul lavoro come fattore organizzativo e sulla cooperazione reciproca, rappresenta il risultato di un graduale “processo di

processo che ha a che fare con l’acquisizione della consapevolezza, da parte dei diretti produttori, che i prodotti del lavoro appartengono loro, così come le decisioni connesse al processo di produzione stesso. Come scrive Razeto:

Non si ottiene la proprietà di un mezzo di produzione complesso mediante il semplice atto giuridico con cui si realizza il trapasso del diritto. Esiste, al contrario, un processo di appropriazione progressiva, che implica il processo soggettivo attraverso cui il proprietario (individuale o collettivo) assume la consapevolezza che tale bene gli appartiene; e, di conseguenza, il processo ugualmente complesso mediante il quale conosce, domina, prende possesso e controlla le decisioni relative al bene economico appena incorporato nel proprio patrimonio. Com’è ovvio,

quando il soggetto del diritto di proprietà è un individuo il processo di appropriazione avviene abbastanza rapidamente, a volte anche istantaneamente; ma quando il soggetto è una collettività o un’organizzazione complessa, può richiedere molto tempo e molto impegno, essendo a volte condizionato da un processo collettivo di maturazione e sviluppo soggettivo (Razeto, 2004: 68).

La questione del rapporto con le forze produttive e della loro appropriazione da parte della collettività è molto presente nei processi di costruzione di reti di economia solidale in Sudamerica ed è ciò che, a nostro avviso, contraddistingue, in senso migliorativo, questi ultimi rispetto alla realtà europea. In Sudamerica, infatti, esistono delle realtà di reti di economia solidale che, dal punto di vista economico- produttivo, hanno raggiunto livelli piuttosto importanti. Basti pensare che, nel solo Brasile, sono state censite 22.000 iniziative di economia solidale, con 1.700.000 lavoratori che sono proprietari delle loro imprese e un fatturato annuo di 3 miliardi di euro (Mance, 2010b: 13). L’Europa non è ancora a questi livelli, ma anche qui sono in corso importanti processi di costruzione di percorsi di economia solidale a partire da alcune pratiche che hanno alle spalle già una storia consolidata, come, ad esempio, i Gruppi di Acquisto Solidali in Italia.

Ritornando al discorso più generale della rete e del suo funzionamento, possiamo dire, con Mance, che la sua unità fondamentale è costituita dalla cellula. Ogni cellula è, allo stesso tempo, cellula produttiva e cellula di consumo. E’ cellula produttiva, nel senso che essa è predisposta in funzione della produzione di un determinato bene; è cellula di consumo in un doppio senso: sia nel senso del consumo produttivo necessario per il processo di produzione; sia nel senso del consumo finale da parte delle persone che fanno parte della cellula al fine di soddisfare le proprie necessità.

Ciò che fa sì che queste unità possano essere definite “cellule” è il loro collegamento con le altre unità. In una fase iniziale, infatti, sebbene possano esistere

delle unità produttive avente carattere solidale, queste non possono essere considerate delle vere e proprie cellule, se non dopo essere state messe in rete e collegate le une con le altre. Questo può avvenire, secondo Mance, attraverso un processo di mappatura del territorio finalizzato ad individuare quelle realtà già esistenti che operano secondo criteri e modalità riconducibili a quelli propri dell’economia solidale, nonché i bisogni e le necessità della comunità di riferimento.

Questo processo di mappatura, nella sua fase iniziale, non potrà che riguardare quelli che sono i bisogni fondamentali da soddisfare, per poi eventualmente espandersi e abbracciare quanti più settori produttivi possibili. Nelle parole di Mance:

Benché, attualmente, in tutto il mondo esistano molte unità produttive di carattere solidale che continuano a funzionare grazie al consumo praticato da larghi segmenti solidali, esse non possono ancora essere considerate cellule, poiché non sono collegate in reti di produzione e consumo. Tuttavia, possono convertirsi in cellule nella misura in cui si connettono in rete. Pertanto, è sufficiente che si conoscano reciprocamente, che facciano un’indagine sulle esigenze dei propri lavoratori e di quanti consumano i loro prodotti, sulle risorse e sugli altri materiali consumati nel processo produttivo, e stabiliscano un progetto congiunto allo scopo di soddisfare progressivamente queste domande, diversificando la produzione e promuovendo la nascita di nuove cellule, sia per sequenza che per generazione spontanea. Si tratta, dunque, di realizzare una mappatura delle attività produttive che hanno già un carattere solidale o che potrebbero avere interesse a convertirsi a questo sistema, delle domande di consumo finale o produttivo che potrebbero essere soddisfatte dalla rete e, infine, di definire le nuove cellule o linee di produzione che converrebbe creare o organizzare. Inizialmente, sembra giusto considerare come aree strategiche per la diversificazione produttiva quelle che rispondono a necessità di base, come l’alimentazione, l’abbigliamento, i prodotti per l’igiene e la pulizia, la costruzione di case, ecc. (Mance, 2003: 58).

Nella visione di Mance, dunque, una rete di economia solidale deve assumersi l’importante compito di ricostruire completamente le filiere produttive su di una base cooperativa e solidale, contrapponendosi, così, alla logica competitiva e di esclusione sulla cui base procede, invece, l’accumulazione capitalistica. Senza questo processo di ricostruzione delle filiere produttive, sono possibili solo singole iniziative di economia solidale che, però, non incidono dal punto di vista della trasformazione sociale, mentre non è possibile alcuna prospettiva di lungo periodo che guardi all’economia solidale dal punto di vista della sua capacità di competere e sottrarre terreno all’economia capitalistica.

Dal punto di vista del livello dimensionale, è chiaro che, in prima istanza, una rete di economia solidale ha nella dimensione locale il suo punto di riferimento, perchè è ai bisogni provenienti dal territorio di riferimento che essa deve rivolgersi,

Mance, sono possibili delle interconnessioni più allargate, fino ad arrivare all’obiettivo ultimo della costituzione di una Unione Economica Mondiale, un’unica grande rete, cioè, che rappresenti il punto di interconnessione di tutte le reti economiche solidali mondiali.

Data l’iniziale fragilità del sistema di smercio, la produzione effettuata dalle cellule deve volgersi fondamentalmente alla soddisfazione delle richieste locali, della regione, cioè, in cui la rete è situata. Le reti che sorgeranno nelle varie regioni potranno connettersi secondo il principio di aggregazione e ciò sarà benefico per l’insieme delle cellule, poiché aumenterà la diversità dei prodotti che circolano attraverso la rete e ogni cellula potrà raggiungere un maggiore numero di consumatori. Lentamente, le reti vicine, che si stanno collegando ed espandendo, potranno aggregarsi a reti lontane, dando origine a reti macroregionali. L’ultimo passo sarà la costituzione di una rete mondiale, versione post-capitalistica di un’Unione Economica Mondiale (Mance, 2003: 58).

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