• Non ci sono risultati.

I RAPPORTI DI PRODUZIONE CAPITALISTICI COME RAPPORTI ALIENATI: DAL FETICISMO DELLE MERCI AL FETICISMO DELLA

2.4 Il denaro come rapporto feticistico

Sebbene le origini del denaro siano antichissime, è solo nella società capitalistica che esso trova piena affermazione nella sua accezione di capitale. Mentre prima, infatti, nelle organizzazioni sociali pre-capitalistiche, esso veniva impiegato per lo più nella sua accezione di misura del valore e di intermediario degli scambi, nella società capitalistica esso da mezzo diventa il fine dell’attività

economica, la quale, quindi, viene diretta e orientata in funzione della sua valorizzazione.

L’affermazione e progressiva autonomizzazione dei rapporti di denaro va di pari passo con il disgregarsi dei rapporti comunitari o, comunque, dei rapporti di dipendenza personale che avevano caratterizzato le organizzazioni sociali pre- capitalistiche. Lo stesso denaro, scrive Marx, “è la comunità, né può sopportarne altra superiore” (Marx, 1968, vol. I: 183).

Accade così che il potere sociale, che prima era posto nelle mani di persone che lo esercitavano nei confronti di altre persone, ora sembra,invece, essere riposto in una cosa, il denaro appunto, che, sebbene sia un prodotto degli uomini, si erge di fronte ad essi come una entità separata che li domina, assumendo dunque, al pari delle merci, un carattere assolutamente feticistico. Scrive Marx:

Ciascun individuo possiede il potere sociale sotto la forma di una cosa. Strappate alla cosa questo potere sociale e dovrete darlo alle persone sulle persone (Marx, 1968, vol. I: 98).

Il denaro non è che l’espressione, in termini monetari, del valore. Per valore di una merce Marx intende “il rapporto in cui essa si scambia con altre merci o in cui altre merci si scambiano con essa” e questo rapporto “è uguale alla quantità di tempo di lavoro in essa realizzata” (Marx, 1968, vol. I: 75). Ovviamente per “tempo di lavoro incorporato” deve intendersi il tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione di quella determinata merce in una determinata società e tenendo conto del grado di sviluppo delle forze produttive. Infatti, come spiega Marx:

Ciò che determina il valore non è il tempo di lavoro incorporato nei prodotti, bensì il tempo di lavoro attualmente necessario (Marx, 1968, vol. I: 68).

Il fatto, però, di essere la trasposizione in termini monetari del valore, non significa che valore e prezzo di una merce coincidano. Anzi, è vero il contrario: il valore delle merci si presenta come un valore medio intorno a cui si verifica il movimento oscillatorio dei prezzi, i quali si stabiliscono al di sopra o al di sotto, ma non coincidono mai con questo. Scrive Marx:

Da questo valore medio il valore di mercato della merce è sempre diverso ed è sempre o inferiore o superiore ad esso. Il valore di mercato si livella al valore reale attraverso le oscillazioni costanti; mai attraverso un’equazione col valore reale come terzo elemento, bensì attraverso una continua differenziazione (Marx, 1968, vol. I: 71)

L’accostamento tra denaro e valore, piuttosto, è importante in un altro senso, quello, cioè, di sottolineare come i rapporti di denaro tanto più si sviluppano quanto più è sviluppata la produzione orientata al valore di scambio e con essi si sviluppano anche le relative contraddizioni. Infatti, come scrive Marx:

Quanto più la produzione si configura in modo tale che ogni produttore viene a dipendere dal valore di scambio della sua merce, quanto più cioè il prodotto diventa realmente valore di scambio e il valore di scambio diventa oggetto immediato della produzione, tanto più devono svilupparsi i rapporti di denaro e le contraddizioni che sono immanenti al rapporto di denaro (Marx, 1968, vol. I: 82-83).

Il riferimento alle “contraddizioni immanenti al rapporto di denaro” lascia intravedere la possibilità della crisi, intesa come la “possibilità che le due forme di esistenza separate della merce non siano reciprocamente convertibili” (Marx, 1968, vol. I: 84), e, quindi, esplicita la natura feticistica del denaro come rapporto sociale esterno rispetto alla capacità di controllo degli individui, i quali si trovano immersi all’interno di relazioni in cui l’appropriazione dei prodotti e, quindi, la soddisfazione dei bisogni sono il risultato di condizioni non direttamente sottoponibili al controllo comune.

Scrive Marx:

Non appena il denaro è diventato una cosa esterna accanto alla merce, la scambiabilità di quest’ultima col denaro è immediatamente legata a condizioni che possono verificarsi o meno (Marx, 1968, vol. I: 84).

Il denaro, quindi, diventa il medium che rende possibile l’appropriazione, da parte degli individui, delle loro condizioni di esistenza, ma che costituisce anche, da questo punto di vista, un vincolo.

Man mano che i rapporti di produzione capitalistici si sviluppano, i rapporti di denaro si autonomizzano sempre di più, al punto che si passa dalla circolazione semplice delle merci, secondo lo schema M-D-M, alla circolazione del capitale, riassunta dallo schema D-M-D’.

Si tratta di due tipi di circolazione molto differenti tra di loro: nella circolazione semplice, il processo è destinato a concludersi nel consumo finale della merce; nel caso della circolazione del capitale, invece, il processo è destinato a riattivarsi e ad accrescersi in maniera continua.

Scrive Marx:

C‘è invero una specifica differenza tra la merce che si trova in circolazione e il denaro che si trova in circolazione. La merce viene ad un certo punto espulsa dalla circolazione e adempie alla sua determinazione definitiva solo quando ne viene

definitivamente sottratta e viene consumata, non importa se nell’atto della produzione o in quello del consumo vero e proprio. La determinazione del denaro al contrario è quella di rimanere nelle circolazione con funzione di ruota della circolazione stessa, ossia di ricominciare sempre da capo la sua circolazione come perpetuum mobile (Marx, 1968, vol. I: 157).

La differenza fondamentale tra circolazione semplice (M-D-M) e circolazione del capitale (D-M-D’) è che, mentre nella prima il processo acquista un senso solo nella misura in cui la seconda merce è qualitativamente differente dalla prima, nel caso della circolazione del capitale la differenza è solo di tipo quantitativo, nel senso che D’ deve essere maggiore di D.

Il denaro, dunque, arriva al culmine della sua potenza sociale quando esso stesso diventa un “momento” della produzione, cioè quando ad esso viene assegnato il potere di comandare il lavoro. Affinché ciò avvenga, è necessario che siano storicamente create le condizioni che fanno del lavoro salariato la forma sociale predominante in cui gli individui esplicano la propria attività produttiva. Una delle condizioni fondamentali per la realizzazione di tutto questo è, come abbiamo visto, la separazione tra lavoro e proprietà dei mezzi di produzione.

Lo sviluppo dei rapporti di denaro è l’effetto, e non la causa, di questo processo e l’affermarsi del denaro stesso come capitale è, dunque, possibile solo laddove sono sviluppati il lavoro salariato e i rapporti di produzione ad esso corrispondenti.

Scrive Marx:

Nella semplice determinazione del denaro stesso è implicito che esso può esistere come momento sviluppato della produzione soltanto laddove esiste il lavoro salariato [...] Quale rappresentante materiale della ricchezza generale, quale valore di scambio individualizzato, il denaro deve essere immediatamente oggetto, scopo e prodotto del lavoro generale, del lavoro di tutti i singoli. Il lavoro deve produrre immediatamente il valore di scambio, ossia denaro. Esso deve perciò essere lavoro salariato (Marx, 1968, vol. I: 184)

Una volta che queste condizioni sono state create, una volta, cioè, che il valore di scambio, ossia il denaro, è diventato “oggetto, scopo e prodotto” del processo di produzione, si aprono, dice Marx, le “fonti reali di ricchezza”, nel senso che diventa possibile spingere la produzione al di là di ogni limite e creare così le basi per il raggiungimento di livelli di ricchezza mai raggiunti prima dell’affermarsi del modo di produzione capitalistico.

aprono le fonti reali di ricchezza. Poiché lo scopo del lavoro non è un prodotto particolare che sta in un particolare rapporto con i bisogni particolari dell’individuo, ma è il denaro, ossia la ricchezza nella sua forma generale, la laboriosità dell’individuo non ha anzitutto alcun limite, è indifferente ad una sua particolarità; e assume qualsiasi forma che serva allo scopo; è ricca di inventiva nella creazione di nuovi oggetti destinati al bisogno sociale ecc. E’ chiaro dunque che, sulla base del lavoro salariato, l’azione del denaro non è dissolutrice, bensì produttrice (Marx, 1968, vol. I: 185).

Il denaro come capitale, dunque, rappresenta l’ulteriore sviluppo dei rapporti di denaro una volta oltrepassati i limiti della circolazione semplice. In quest’ultima, infatti, non vi è ancora separazione tra i mezzi di produzione e il lavoro ed il denaro si riduce ad un semplice intermediario il cui fine è facilitare gli scambi di equivalenti fra produttori.

Nella circolazione del denaro come capitale, invece, è presupposta la separazione tra mezzi di produzione e lavoro, nonché il lavoro salariato come pratica sociale prevalente, ragione per cui il denaro, da una parte, rappresenta lo strumento attraverso cui comandare il lavoro, dall’altra parte esso, in quanto valore di scambio generalizzato ed astratto, diventa il fine ultimo del processo di produzione.

Infatti, come scrive Marx:

Nella circolazione semplice in quanto tale (nel valore di scambio nel suo movimento) l’azione reciproca degli individui è, dal punto di vista del contenuto, una mutua e interessata soddisfazione dei loro bisogni, e dal punto di vista della forma è uno scambiare, un porre come uguali (equivalenti), così qui anche la proprietà viene posta ancora soltanto come appropriazione del prodotto del lavoro attraverso il lavoro e del prodotto del lavoro altrui attraverso il proprio lavoro, in quanto il prodotto del proprio lavoro viene comprato mediante il lavoro altrui. La proprietà del lavoro altrui è mediata dall’equivalente del proprio lavoro [...] Nell’ulteriore sviluppo del valore di scambio tutto ciò muterà e si mostrerà finalmente che la proprietà privata del prodotto del proprio lavoro si identifica con la separazione di lavoro e proprietà; cosicché lavoro equivarrà a creare proprietà altrui, e proprietà equivarrà a comandare lavoro altrui (Marx, 1968, vol. I: 203).

Con il procedere storico e lo sviluppo delle forze produttive portato ai suoi livelli massimi, però, sostiene Marx, la produzione basata sul valore di scambio entra in contraddizione con sé stessa ed incontra seri limiti alla sua riproducibilità.

E’ questo il momento storico in cui la produzione basata sul valore di scambio, e con essa i rapporti di denaro che la rendono possibile, devono lasciare il posto ad un nuovo modo di concepire gli individui, di relazionarsi ai loro bisogni e di liberare per loro il tempo reso disponibile dall’accrescimento della produttività sociale.

Quanto più si sviluppa questa contraddizione, tanto più viene in luce che la crescita delle forze produttive non può più essere vincolata all’appropriazione di pluslavoro

altrui, ma che piuttosto la massa operaia stessa deve appropriarsi del suo pluslavoro. Una volta che essa lo abbia fatto [...] da una parte il tempo di lavoro necessario avrà la sua misura nei bisogni dell’individuo sociale, dall’altra lo sviluppo della produttività sociale crescerà così rapidamente che, sebbene ora la produzione sia calcolata in vista della ricchezza di tutti, cresce il tempo disponibile di tutti. Giacché la ricchezza reale è la produttività sviluppata di tutti gli individui. E allora non è più il tempo di lavoro, ma il tempo disponibile la misura della ricchezza (Marx, 1968, vol. II: 402).

Fintantoché, però, questo passaggio non avverrà, la produzione della ricchezza rimarrà invischiata all’interno dei rapporti di denaro che, a questo livello, costituiscono un vincolo più che una risorsa.

La società capitalistica, dunque, continuerà a contraddistinguersi per il carattere feticisticamente alienato dei suoi rapporti sociali e per il fatto che, per la prima volta nella storia, il potere viene socialmente trasposto dalle persone alle cose, rendendo le prime semplici appendici delle seconde.

Questo ha come corollario la presenza dell’alienazione anche nelle modalità attraverso cui gli individui si relazionano al soddisfacimento dei propri bisogni. Questi ultimi, infatti, lungi dall’essere limitati alla semplice sfera della sussistenza, vengono mediati in modo da sollecitarne continuamente ed artificiosamente la nascita di nuovi. Anche il consumo, dunque, nella società capitalistica, diventa consumo alienato.

2.5 Dal feticismo delle merci al feticismo della soggettività: l’alienazione

Documenti correlati