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L’ECONOMIA SOLIDALE COME COSTRUZIONE DI PERCORSI ALTERNATIVI NELLE RELAZIONI ECONOMICHE E SOCIAL

4.2 Il consumo critico come fondamento dell’economia solidale.

di riproduzione del sistema. Se è vero, però, che la soggettività del consumatore e la sua apparente sovranità nelle scelte d’acquisto non sono altro che una finzione dietro cui si nascondono rapporti di mercificazione e di dominio, è altrettanto vero che oggi si aprono sempre più spazi per l’esercizio di un consumo critico e consapevole, nonché più attento alla reale qualità ed origine dei prodotti. Il consumo, infatti, se da una parte, come abbiamo visto, può rappresentare un momento di profonda alienazione nei rapporti sociali, dall’altro può costituire un fertile terreno per l’instaurarsi di pratiche che ne mettano in luce, invece, il carattere di scelta critica.

Per riprendere la formulazione di Mance, oltre alle già ricordate accezioni del consumo come consumo alienante e come consumo forzoso (v. par. 1.5), ne esistono altre due. La prima è quella del consumo come mediazione del bem-vivir (Mance, 2003: 28), cioè il consumo come mediazione del vivere bene. Gli individui che praticano questa tipologia di consumo, evidentemente una minoranza nell’ambito della società capitalistica, non si lasciano condizionare dai media nelle loro scelte di consumo e tengono molto più in considerazione la soddisfazione delle loro reali necessità, il proprio benessere e la propria salute piuttosto che “le apparenze e gli immaginari prodotti dai media” (Mance, ibidem).

La pratica di questa tipologia di consumo richiede, però, lo sviluppo di una particolare sensibilità umana che gli attuali modelli dominanti non aiutano a sviluppare. Scrive, infatti, Mance:

La pratica del consumo come mediazione del bem-vivir richiede che la sensibilità umana venga coltivata e che vengano sviluppati i criteri di valutazione in base ai quali selezionare gli oggetti, a partire dalle possibilità di consumo che ciascuno ha, affinché contribuiscano, nel modo migliore, alla realizzazione di ciascuna persona, al benessere sociale e alla preservazione degli ecosistemi. Così, per diffondere socialmente il consumo come mediazione del bem.vivir è necessario superare tanto le forme di consumo forzoso quanto le forme di consumo alienante (Mance, 2003: 29).

Ma il consumo come mediazione del bem-vivir, pur rappresentando un passo in avanti rispetto alle accezioni negative di consumo, rimane ancora nell’ambito di una dimensione di tipo individuale. Quello che viene preso in considerazione nelle scelte d’acquisto, in sostanza, è il proprio benessere individuale più che quello collettivo. Quando, invece, entra in gioco anche quest’ultimo come elemento determinante delle scelte di consumo, allora siamo di fronte ad una nuova accezione in cui il consumo può essere inteso: quella del consumo solidale (Mance, 2003: 29 e ss.).

Il consumo solidale, quindi, è quello praticato dagli individui che hanno sensibilità non solo verso il proprio benessere individuale, ma anche verso quello della collettività, tenendo conto, nelle proprie scelte, di criteri quali il rispetto dell’ambiente e degli ecosistemi, il rispetto delle condizioni di lavoro, la salubrità dei prodotti, ecc. Nelle parole di Mance:

Il consumo solidale avviene quando la selezione di ciò che si consuma è fatta considerando non solo il proprio bem-vivir personale, ma anche quello collettivo. Questo tipo di condotta diventa possibile solo nel momento in cui le persone comprendono che la produzione trova la sua finalità – o il suo compimento – nel consumo e che questo influisce sull’ecosistema e sulla società in genere. In altre parole, il consumo è l’ultima tappa di un processo produttivo e le scelte di consumo, fatte dagli individui in privato e dalla società nel suo insieme, possono esercitare un grande condizionamento sulla creazione o sul mantenimento di centrali produttive in una data società, sulla preservazione degli ecosistemi, sul riciclaggio dei materiali, sulla lotta all’inquinamento, sulla promozione del benessere collettivo della popolazione della comunità, del paese e del pianeta (Mance, 2003: 29-30).

Bisogna dire, però, che il perseguimento del consumo di tipo solidale richiede lo sviluppo di una sensibilità che è in aperto contrasto con gli attuali modelli di rapporti sociali fondati sulla omni-mercificazione. Lo sviluppo di questa sensibilità va di pari passo con quello che potremmo definire come un processo di defeticizzazione delle merci, un processo, cioè, teso a “demercificare” quanto più possibile le relazioni umane facendone venire in luce il loro carattere di legame sociale fra persone piuttosto che di rapporti fra cose. Come, giustamente, sostiene Sassatelli:

Nel complesso, il discorso sul consumo critico sembra, da un lato, voler smascherare il carattere di feticcio delle merci, mostrando quanto dei nostri consumi quotidiani è sorretto da relazioni economiche e politiche opache, asimmetriche e ingiuste; dall’altro, sembra voler reincantare gli scambi economici, proponendo modi diversi di relazione tra produttori e consumatori e tra consumatori e prodotti (Sassatelli, 2008a: 113-114).

Questo implica il passaggio del consumo dalla sfera privata, nella quale è stato confinato dall’ideologia liberista, ad una dimensione pubblica, in cui si configuri come momento attraverso cui passa la promozione del benessere collettivo. Il consumo, quindi, non più come momento privato dell’auto-affermazione della soggettività alienata dell’individuo, bensì come momento pubblico e collettivo attraverso cui dare conferma sociale alle pratiche economiche rispettose dell’uomo e dell’ambiente.

Il consumo, pratica che il liberismo e il neoliberismo hanno relegato nella sfera del privato, sembra diventare un’azione propriamente pubblica, in cui diventa significativa la difesa e promozione di interessi di altri o dell’intera collettività

Visto in questa ottica, il consumo si presenta anche come uno strumento attraverso cui gli individui possono dare concretezza alla propria visione del mondo e attraverso cui possono esprimere, in maniera non più alienata, il proprio essere nel mondo. Quello a cui si assiste è una defeticizzazione della soggettività che, al pari di quella delle merci, smaschera il carattere ideologico del modello liberale della sovranità del consumatore, sostituendolo con un modello critico di sovranità che supera l’atomizzazione sociale degli individui e vede nelle interrelazioni fra questi ultimi la vera ricchezza della società. Come scrive Sassatelli:

La sovranità del consumatore “critico” non può esprimersi compiutamente attraverso la mano invisibile dell’adagio smithiano, ma solo se i consumatori stessi si fanno carico degli effetti sociali, culturali, ambientali delle proprie scelte. Nel modello

liberale della sovranità economica, il consumatore è sovrano nella misura in cui

risponde ai propri auto-interessati bisogni ed è in grado di calcolare strumentalmente come soddisfarli nel modo più rapido ed efficiente, indipendentemente dalle reti di relazione implicate nella produzione, scambio e fruizione delle merci. […] In opposizione al modello liberale e strumentale, il modello critico della sovranità è definito meno dall’autonomia individuale e più dalla capacità di riconoscere le interdipendenze, di affrontare un dialogo, mettersi in gioco a partire dall’idea che le interconnessioni tra attori non solo sono inevitabili ma sono anche, potenzialmente, la fonte principale del senso e del piacere che deriva dal mondo degli oggetti (Sassatelli, 2008b: 154).

Tutto ciò avviene al di fuori di qualsivoglia contesto legato a metanarrazioni proiettate in un futuro lontano, bensì attraverso una “politica del quotidiano” (Sassatelli, 2008a: 119) che trova il suo fulcro nell’azione diretta che ha effetti immediati sulla vita quotidiana delle persone. I consumatori critici, cioè, non proiettano nel futuro la loro visione del mondo, ma agiscono nel presente, facendo coincidere la loro dimensione politica con la quotidianità della loro pratica.

Il carattere “politico” di questo tipo di pratiche sta nella radicale messa in discussione dei modelli di consumo dominanti e nel rifiuto della identità tra felicità e ricchezza materiale. Al contrario, quello che viene prospettato è un modo alternativo di rapportarsi ai bisogni e ai mezzi materiali per soddisfarli, un modo improntato ad una idea di sobrietà intesa non come rinuncia o regresso, bensì come una maniera diversa di organizzare la propria vita quotidiana, sottraendola alle tentazioni del consumismo e rendendola funzionale al perseguimento del benessere individuale e collettivo. Infatti, come scrive Leonini:

Sobrietà non significa quindi negazione, auto-esclusione e rinuncia, ma attribuire gerarchie differenti di significati ai beni materiali, differenti priorità alla propria vita, diverso spazio alle relazioni significative con altri, alla spiritualità, dominare e non

essere dominati dalle esternalità, dalla retorica consumistica che caratterizza i mass media e la cultura di massa (Leonini, 2008: 174).

L’economia solidale presuppone, dunque, un consumo solidale, un consumo, cioè, critico e consapevole, che abbia come punto di riferimento il benessere individuale e collettivo senza cadere nel materialismo consumistico, il quale non è altro che una immagine deformata di questo benessere.

Tutte le pratiche che fanno capo all’economia solidale presuppongono, quindi, nei soggetti che le pongono in essere, una coscienza critica nei confronti dell’attuale modello di sviluppo e un atteggiamento verso il consumo improntato a principi di sobrietà e di libertà dall’alienazione consumistica. Senza un cambiamento profondo in tal senso, all’economia solidale mancherebbe un fondamentale pilastro su cui far poggiare la ricchezza e la varietà delle sue pratiche.

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