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ECONOMIA SOLIDALE E MOVIMENTI SOCIAL

5.3 I Nuovi Movimenti Sociali: il contributo di Melucci.

Melucci definisce un movimento sociale come “una forma di azione collettiva, basata sulla solidarietà, che porta avanti un conflitto, infrangendo i limiti del sistema nel quale l’azione ha luogo” (Melucci, 1987: 139). Tre sono i concetti chiave che vengono in luce da questa definizione: a) solidarietà; b) conflitto e c) limiti del sistema.

Per solidarietà Melucci intende “la capacità di un attore di condividere un’identità collettiva, cioè, la capacità di riconoscere e di essere riconosciuto come parte dello stesso sistema di rapporti sociali” (Melucci, 1987: 139). La solidarietà si distingue, secondo Melucci, dalla condotta di aggregato, cioè una aggregazione di comportamenti atomizzati, la quale si costituisce sulla base degli orientamenti individuali ed è orientata più verso l’esterno che verso le esigenze del gruppo.

Scrive Melucci:

Gli orientamenti aggregativi non implicano solidarietà ed esprimono soltanto una contiguità spazio-temporale; possono essere ridotti ad un livello individuale senza perdere le loro caratteristiche morfologiche; e sono completamente orientati verso l’esterno piuttosto che verso il gruppo (Melucci, 1996: 23, traduzione nostra).

Il conflitto, invece, è definito come “un rapporto fra attori contrapposti che lottano per le stesse risorse, alle quali ambedue attribuiscono valore” (Melucci, 1987: 139). E’ importante, sottolinea Melucci, distinguere tra conflitto e crisi: mentre la crisi è indice di uno squilibrio, di una disgregazione del sistema che richiede una

qualche azione di riequilibrio, il conflitto riguarda, invece, la lotta per il controllo di determinate risorse.

Come scrive Melucci:

La crisi si riferisce sempre ai processi di disgregazione di un sistema: disfunzioni nei meccanismi di adattamento, squilibri tra parti o sottosistemi, paralisi o blocchi di alcuni di questi, difficoltà di integrazione. L’ampiezza e la qualità di una crisi dipendono naturalmente dai livelli del sistema che vengono investiti. Una crisi provoca disintegrazione e provoca reazioni che tendono a ristabilire l’equilibrio. Un conflitto manifesta invece una opposizione che riguarda il controllo e la destinazione di certe risorse. Nella storia concreta di una società queste due dimensioni sono spesso intrecciate e rendono più difficile l’analisi dei processi di mobilitazione collettiva. Non si tratta tuttavia di una distinzione di poca importanza se è vero che nell’ideologia delle classi dominanti i movimenti sociali sono quasi sempre rappresentati come semplici risposte alle crisi. Ammettere che siano altro significherebbe riconoscere l’esistenza di domande collettive che investono la legittimità del potere e l’uso delle risorse sociali (Melucci, 1982: 19).

I limiti del sistema, infine, rappresentano “la gamma di variazioni tollerate all’interno della sua struttura esistente” (Melucci, 1987: 139). Si può dire, quindi, che un movimento “infrange” i limiti di un sistema quando assume orientamenti che si spingono al di là di questa gamma di variazioni tollerate.

Gli orientamenti dell’azione collettiva infrangono i limiti di compatibilità quando si spingono oltre ciò che è coperto dalla gamma di variazioni che il sistema può tollerare senza alterare la sua struttura (Melucci, 1996: 24).

Affinché si possa parlare di movimento sociale, però, il conflitto e la rottura dei limiti di compatibilità del sistema devono sussistere simultaneamente. Se mancano entrambi, allora siamo in presenza, come già ricordato, di quella forma di azione collettiva che va sotto il nome di condotta di aggregato.

Qualora sia presente solo la rottura dei limiti del sistema, ma non anche una azione conflittuale, allora si può parlare di condotta deviante, una forma di azione, cioè, in cui l’attore rifiuta il sistema delle regole e delle norme, senza, però, metterne in discussione la legittimità.

La rottura delle regole, il rifiuto delle norme condivise non implicano necessariamente la lotta di due attori intorno ad una posta in gioco. In questo caso avremo a che fare con condotte devianti: qui l’attore è definito dalla sua marginalità rispetto ad un sistema di norme e reagisce al controllo che queste esercitano, senza tuttavia mettere in discussione la loro legittimità, senza individuare cioè un avversario sociale e un insieme di risorse e valori per cui si batte (Melucci, 1982: 22).

Se, invece, è presente il conflitto, ma manca la rottura dei limiti del sistema, allora siamo in presenza di quella che Melucci chiama azione conflittuale, in cui il

conflitto tra due o più attori è finalizzato al raggiungimento di determinati benefici senza, però, mettere in discussione la compatibilità del sistema.

Se il conflitto non oltrepassa i limiti del sistema di riferimento ci troviamo di fronte alla competizione di interessi all’interno di un certo assetto normativo. L’azione tende allora al miglioramento della posizione relativa dell’attore, al superamento degli ostacoli funzionali, alla modificazione dei rapporti di autorità. Il conflitto opera all’interno della comune preoccupazione dei partners di garantire le compatibilità del sistema e di rispettare le regole del negoziato (Melucci, 1982: 22-23).

Al di là della definizione analitica di movimento sociale, ciò che qui importa rilevare è che, per Melucci, i movimenti rappresentano un segno, una testimonianza lanciata nei confronti della società riguardo all’esistenza di altri valori rispetto a quelli dominanti. Essi, inoltre, lungi dal poter essere semplicemente ridotti al rango di effetto di una situazione di crisi, rappresentano il germe di qualcosa che sta nascendo e che è ancora in formazione.

I movimenti sono un segno. Essi dicono che la società non si riduce al consumo manipolato dagli apparati, che la razionalizzazione contiene anche dominio, che gli interessi di una tecnocrazia in ascesa si impongono attraverso la liquidazione del vecchio ordine. I movimenti non sono fenomeni residuali dello sviluppo o manifestazioni di scontento da parte di categorie marginali. Non sono solo il prodotto della crisi, gli ultimi effetti di una società che muore. Sono al contrario il segno di ciò che sta nascendo. I movimenti indicano una trasformazione profonda nella logica e nei meccanismi che guidano la società. Come i profeti essi “parlano avanti”, annunciano ciò che si sta formando senza che ancora ne sia chiara la direzione e lucida la coscienza (Melucci 1982: 7).

I movimenti sociali, dunque, rappresentano un segno, una testimonianza nei confronti del resto della società che un altro sistema di valori non solo è possibile, ma viene anche tradotto in azione concreta attraverso la prassi quotidiana dei movimenti stessi. La sfida lanciata dai nuovi movimenti sociali, per Melucci, si pone su di un piano prettamente simbolico, dando a questo termine non l’accezione negativa di scarsa incidenza sulla realtà concreta, bensì quella positiva di creazione di simboli, cioè di codici culturali alternativi attraverso cui plasmare il processo di costruzione dell’identità collettiva.

Questo è un punto che segna una differenza profondissima rispetto ai movimenti sociali così come sono esistiti nella tradizione del movimento operaio. Infatti, i nuovi movimenti che si affacciano sulla scena a partire dalla fine degli anni Settanta, dimostrano, secondo Melucci, di assumere una forma completamente nuova e di avere una struttura che, contrapponendosi ad ogni tentazione centralistica, si caratterizza per la sua dimensione reticolare e policentrica.

La mobilitazione collettiva assume forme, e in particolare forme organizzative, che sfuggono alle categorie della tradizione politica e che sottolineano la discontinuità analitica dei fenomeni a cui mi riferisco, rispetto ai movimenti del passato e in primo luogo al movimento operaio. Molti osservatori hanno messo in evidenza le caratteristiche peculiari delle forme emergenti di azione collettiva: si possono infatti identificare alcuni tratti ricorrenti, comuni a realtà diverse, che delineano un vero e proprio modello. Si è parlato a questo proposito di struttura segmentata, reticolare, policefala (Melucci, 1982: 162).

Una ulteriore caratteristica della struttura di questi nuovi movimenti sociali è che si tratta di una struttura sommersa, o meglio latente. Le singole cellule che compongono la rete hanno una vita propria e autonoma rispetto alle altre, pur mantenendo con queste una serie di legami, i quali diventano visibili in occasione delle mobilitazioni collettive. Scrive Melucci:

Si tratta di n una struttura “sommersa” o, direi meglio, di latenza; le singole cellule vivono una vita propria, completamente autonoma dal resto del “movimento”, pur mantenendo una serie di legami attraverso la circolazione di informazioni e di persone; questi legami diventano espliciti solo in occasioni di mobilitazioni collettive su problemi (issues) intorno ai quali la rete latente viene alla superficie, per poi immergersi nuovamente nel tessuto del quotidiano (Melucci, 1982: 165).

Una terza caratteristica peculiare è data dal carattere fortemente contro- culturale che l’aggregazione assume in questo tipo di movimenti. Questo perché l’azione conflittuale non viene esercitata tanto, o perlomeno non solo, sul controllo delle risorse, quanto piuttosto sul terreno della produzione simbolica di codici culturali alternativi rispetto a quelli dominanti.

Il carattere dell’aggregazione è nettamente controculturale, nel senso letterale di questo termine; essa ha cioè dimensioni e contenuti conflittuali (o almeno di resistenza) e si situa sul terreno della produzione simbolica (artistica ed espressiva, comunicativa, scientifica) (Melucci, 1982: 165).

Infine, un ultimo tratto distintivo è dato dallo stretto legame esistente tra identità individuale ed azione collettiva. L’azione collettiva, cioè, non è più finalizzata al perseguimento di obiettivi esterni rispetto alle individualità identitarie dei singoli membri del gruppo, ma consiste proprio nel trasferire nella dimensione del quotidiano quei codici contro-culturali che il gruppo pone a fondamento della propria azione conflittuale.

Scrive Melucci:

Esiste un intreccio crescente tra i problemi dell’identità individuale e l’azione collettiva; la solidarietà del gruppo non è separabile dalla ricerca personale e dai bisogni affettivi e comunicativi dei membri, nella loro esistenza quotidiana (Melucci, 1982: 165).

Questa profonda mutazione nella struttura dei movimenti sociali porta con sé necessariamente anche un ripensamento del rapporto fra questi e le forme tradizionali di organizzazione e rappresentanza politica. Infatti, da una parte queste ultime non sono più adeguate a rappresentare le istanze provenienti dai movimenti, proprio per la loro estrema frammentarietà ed il forte intreccio esistente tra dimensione individuale e collettiva; dall’altra parte, questi movimenti possono avere una efficacia politica solo se c’è un certo grado di apertura da parte del sistema politico che, però, come abbiamo appena detto, si dimostra inadeguato da questo punto di vista.

Questo, dunque, crea un problema di riflessione e ripensamento intorno a quali dovrebbero essere le forme di rappresentanza politica che più si potrebbero adattare alla nuova situazione e alle nuove problematiche. Come scrive Melucci:

L’efficacia politica delle domande portate dai movimenti dipende dalla apertura, dalla ricettività, dalla efficienza delle forme di rappresentanza. E tuttavia, proprio per il carattere delle domande che portano, i movimenti non si esauriscono nella rappresentanza e le domande conflittuali sopravvivono e si riproducono al di là della mediazione istituzionale. Ci troviamo dunque di fronte ad un duplice paradosso. Da una parte, l’azione collettiva non è più separabile da domande e bisogni individuali, dunque è continuamente minacciata dalla atomizzazione e dalla privatizzazione; dall’altra la spinta conflittuale che investe la logica del sistema non lo fa attraverso la politica; e tuttavia, proprio per questo, non può fare a meno della politica. Non credo sia semplice superare questo duplice paradosso. Ma proprio qui comincia il rischio, quell’invenzione del presente per cui i movimenti si battono e a cui richiamano l’intera società. Proprio qui può avviarsi la riflessione sulle forme di rappresentanza di organizzazione politica in grado di far fronte ai nuovi problemi (Melucci, 1982: 168-169).

I movimenti sociali, comunque, per Melucci, non si caratterizzano per la loro maggiore o minore capacità di incisione e persuasione sulle élites politiche, bensì per la capacità di fare il loro mondo attraverso la testimonianza e la prassi concrete. Possiamo dire che, secondo questa visione, il fine di un movimento sociale non è esterno ad esso, ma coincide con la vita e l’attività del movimento stesso.

Come spiega bene North,

L’esistenza di un movimento sociale, sviluppando significati alternativi riguardo a come la società dovrebbe essere organizzata, agisce come un “segno” nei confronti del resto della società; quindi, la partecipazione – creando quel segno – è sufficiente. Conseguentemente, i nuovi movimenti sociali enfatizzano fattori quali le forme di organizzazione, l’esperienza di vita, o l’agire collettivo piuttosto che il conseguimento di un fine ultimo. Essi cercano di integrare i lati pubblici e privati, visibili e nascosti, politici e personali della vita in modo tale che “vivere in maniera differente e cambiare la società siano considerati come due cose complementari”. (North, 2006: 24, traduzione nostra; il virgolettato è una citazione di Melucci).

I soggetti che operano nell’ambito dell’economia solidale rispecchiano in pieno queste caratteristiche dal momento che essi creano il loro mondo e fanno della loro stessa attività il fine del loro esistere come soggetti alternativi. Il “segno” che essi lanciano al resto della società è rappresentato dal fatto che un diverso modo di concepire l’economia e le relazioni sociali è possibile.

L’analisi di Melucci è quella che si avvicina di più alla realtà dell’economia solidale e che ci è più utile nel nostro tentativo di inquadrarla come movimento sociale. Dei tre elementi individuati da Melucci nella definizione di movimento sociale (solidarietà, conflitto e rottura dei limiti del sistema), non c’è dubbio che il primo e l’ultimo siano in pieno rispecchiati dalla natura delle pratiche di economia solidale.

Per quanto riguarda la solidarietà, intesa da Melucci come la “capacità di un attore di condividere una identità collettiva” (vedi sopra), non c’è alcun dubbio che, nell’ambito dei circuiti e delle reti di economia solidale, ci si relazioni reciprocamente in maniera, appunto, solidale, riconoscendosi, cioè, come parte integrante del sistema di valori alternativo di cui fanno parte e contribuendo così alla formazione dell’identità collettiva del gruppo.

Anche la rottura dei limiti del sistema è evidente, dal momento che l’economia solidale lancia alla società un messaggio che, se dovesse essere accolto e generalizzato, comporterebbe uno stravolgimento completo dei rapporti sociali e assumerebbe un potenziale antagonistico che non si fermerebbe, per usare i termini di Melucci, al livello organizzativo o del sistema politico, ma investirebbe il modo di produzione nel suo complesso.

Qualche (apparente) problema ci potrebbe essere con il concetto di conflitto. Infatti, sembrerebbe a prima vista che l’economia solidale, nella variegata estrinsecazione delle sue pratiche, non abbia dei veri e propri “avversari” contro cui dirigere la loro azione conflittuale. A ben vedere, però, non è così, dal momento che questo tipo di pratiche, andandosi ad infrangere contro i limiti di tollerabilità del sistema, va per forza di cose a cozzare contro gli interessi di quegli attori sociali interessati al mantenimento dello status quo. Il conflitto, quindi, sebbene non assuma i toni forti della mobilitazione “contro” un obiettivo esterno, esiste e risiede nella

natura stessa delle attività poste in essere e nel loro potenziale altamente antagonistico.

D’altronde, quella dell’individuazione di “avversari e terreni di lotta” è, secondo Melucci, una difficoltà reale di fronte a cui si trovano gli attori sociali e che comporta il rischio di uno “sradicamento” del sistema simbolico di valori di cui un movimento è portatore.

In sistemi ad alta complessità, la difficoltà degli attori conflittuali sta nell’individuare avversari e terreni di lotta che abbiano concreti connotati sociali. Il rischio a cui sono sempre sottoposti è quello di uno “sradicamento” del loro universo simbolico, incapace di avere effetti sui rapporti sociali. La loro funzione nel conflitto è quella di provocare la visibilità del potere, di costringere l’avversario a prendere forma. In questo modo essi rendono espliciti conflitti e bisogni di cambiamento, operano come motore di trasformazione e come rilevatori dei punti morti, delle contraddizioni, dei silenzi, che gli apparati dominanti tendono ad occultare (Melucci, 1982: 191).

Latenza e visibilità, in quanto “condizioni permanenti dei movimenti” (Melucci, 1982: 191), sono le due fasi che ogni movimento attraversa in maniera alternata, passando continuamente dall’una all’altra. Vi sono dei momenti, cioè, in cui l’azione di un movimento, essendo confinata alla dimensione individuale e quotidiana di coloro che la pongono in essere, è più nascosta e meno visibile all’esterno, ma non per questo essa è meno importante o meno vitale. Ci sono altri momenti, invece, in cui essa prende forma anche all’esterno divenendo pienamente visibile e provocando quella “visibilità del potere” che è anche la condizione per l’esplicarsi della loro azione conflittuale.

Proprio questa è la natura delle realtà e dei soggetti dell’economia solidale che, nella loro fase di latenza, mettono in pratica, all’interno del mondo che si sono costruiti, i principi che sono alla base della loro esistenza e, nella loro fase di visibilità, mettono a nudo le contraddizioni sociali evidenziando i punti deboli del sistema.

In conclusione, per rispondere alla domanda che ci siamo posti all’inizio del paragrafo, cioè se l’insieme delle pratiche che fanno riferimento all’economia solidale rappresentino o meno dei movimenti sociali, possiamo senza dubbio rispondere affermativamente, a condizione di intendere i movimenti sociali secondo il modello che fa capo alla teoria dei nuovi movimenti sociali ed in particolare all’analisi di Melucci.

Infatti, se dovessimo intendere i movimenti sociali, così come fa la teoria della mobilitazione delle risorse, come dei gruppi organizzati la cui azione collettiva è strategicamente orientata al conseguimento di obiettivi politici attraverso l’esercizio di pressioni sulle élites politiche, l’economia solidale sicuramente non rientrerebbe in questa definizione.

Adottando, invece, una concezione dei movimenti sociali come “fenomeni eterogenei e frammentati” (Melucci, 1982: 11), immersi nella quotidianità, culturalmente alternativi e dalla forte valenza simbolica nei confronti del resto della società, allora le pratiche di economia solidale rappresentano sicuramente un ottimo esempio di nuovo movimento sociale, il cui fine non risiede nel conseguimento di un obiettivo esterno, e magari proiettato in un futuro lontano, ma consiste nella pratica quotidiana dei valori alternativi di cui esse sono portatrici.

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IL RUOLO DEI LETS NELLA COSTRUZIONE DI UNA ECONOMIA

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