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Dal feticismo delle merci al feticismo della soggettività: l’alienazione consumistica.

I RAPPORTI DI PRODUZIONE CAPITALISTICI COME RAPPORTI ALIENATI: DAL FETICISMO DELLE MERCI AL FETICISMO DELLA

2.5 Dal feticismo delle merci al feticismo della soggettività: l’alienazione consumistica.

Il consumo rappresenta l’atto attraverso cui gli esseri umani riproducono se stessi nell’ambito della storicità dei rapporti sociali nei quali sono immersi. Esso rappresenta, quindi, un elemento imprescindibile della relazione che l’uomo intrattiene da sempre con l’ambiente naturale.

Vi è, però, una differenza fondamentale tra le forme e i significati che il consumo ha assunto nell’ambito dei rapporti sociali capitalistici rispetto alle epoche storiche precedenti. Mentre, infatti, in passato il consumo era strettamente legato al concetto di sussistenza degli individui e di riproduzione della comunità, oggi, invece, esso si caratterizza per il ruolo fortemente propulsivo che esso esercita sul funzionamento stesso della società.

un costo da tenere quanto più basso possibile, ma erano anche e soprattutto la modalità di accesso ai consumi da parte della classe operaia.

Se si voleva che l’eccesso di produzione fosse assorbito dal mercato, occorreva, dunque, una adeguata politica dei salari che mettesse in condizione i lavoratori salariati di avere accesso in massa ai consumi. E’ questo il nocciolo delle politiche fordiste-keynesiane che, a partire dalla Grande Crisi del 1929, troveranno la loro massima attuazione negli anni del dopoguerra. Come spiega Fiocco:

La crisi del ’29 si presenta come squilibrio tra la produzione di massa e la domanda effettiva. In termini marxiani, il tasso di sfruttamento è troppo elevato per permettere la realizzazione del valore prodotto. Le merci restano invendute, il processo di accumulazione del capitale entra in crisi. Questa crisi si sviluppa in modo diverso dalla precedente. I capitalisti questa volta non si fanno la lotta sulla base dei prezzi, ma diminuiscono la produzione. Ciò implica una diminuzione dell’occupazione, che a sua volta determina la diminuzione della domanda, per cui la crisi tende a riprodursi a spirale. [...] Il capitale complessivo, attraverso lo Stato, supera il limite della forma salario. Lo Stato interviene per aumentare la massa dei salari aggirando il fatto che i salari nella realtà si danno a livello dei rapporti con i singoli capitalisti. Il capitale complessivo impone le proprie esigenze di accumulazione, al disopra degli interessi individuali dei singoli capitalisti. Da questo momento in poi, fino alla crisi del fordismo, lo Stato “del popolo sovrano” è sussunto operativamente e visibilmente dentro la logica della riproduzione del capitale. Tutti i meccanismi di controllo dei cicli economici, ossia delle condizioni di equilibrio della domanda e dell’offerta all’interno di ciascun Stato e tra gli Stati, vengono regolate dalle politiche keynesiane (Fiocco, 1998: 89-91).

Il consumo, dunque, rappresenta il momento in cui, dando alle merci che si presentano sul mercato una conferma sociale, se ne conferma anche il carattere feticistico, per tornare ai termini di Marx. Oltre che momento di conferma, però, il consumo rappresenta anche il presupposto da cui partire per retroagire sulla natura dei bisogni in modo da forgiarli artificialmente in maniera direttamente funzionale alle esigenze dell’accumulazione capitalistica.

Questo significa che i bisogni, nella società capitalistica, vengono continuamente stimolati, portandoli molto al di là del semplice livello di sussistenza, in una spirale che cresce all’infinito sulla base dell’equazione secondo cui più consumi equivalgono a più produzione di merci, la quale, a sua volta, equivale a più accumulazione di ricchezza, in un processo che si reitera ingrandendosi ad ogni passaggio. E’ la natura stessa del concetto di bisogni che subisce un radicale cambiamento: da fine ultimo del processo di produzione essi diventano semplicemente la condizione ed il presupposto su cui far poggiare il processo di valorizzazione del capitale.

Mance (2003: 26 e ss.) parla di “consumo alienante” e di “consumo forzoso” per indicare le due accezioni che il consumo assume nella società capitalistica. Per

consumo alienante egli intende quello praticato dalle persone per effetto del condizionamento esercitato dai media, dalla moda e dal marketing in genere. Questo tipo di consumo si caratterizza per il fatto che i prodotti non vengono presi in considerazione per le loro qualità oggettive, bensì per le loto qualità “virtuali”, cioè per l’immagine che di essi viene data, sovraccaricandola di contenuti simbolici che vanno al di là della reale bontà ed utilità del prodotto stesso. Nelle parole di Mance:

Molte persone cercano nelle merci qualcosa di più delle semplici qualità oggettive. Sollecitate dagli spot pubblicitari, dal merchandising e dalle proposte della moda, molte persone conferiscono ai prodotti alcune qualità virtuali che finiscono per determinare acquisti e consumi. […] Nonostante tutti dicano a livello cosciente, in genere, che tali prodotti non hanno poi così tanto potere, il fatto che i media li carichino di significato simbolico, attribuisce a quegli oggetti la funzione di segno (mediazione semiotica). E’ propria questa funzione che diventa determinante per il loro acquisto (Mance, 2003: 26).

Il consumo forzoso, invece, per Mance, è quella tipologia di consumo praticata dagli strati più poveri della società, da quelle persone che, non disponendo di un reddito sufficientemente elevato, sono costrette a privilegiare la quantità rispetto alla qualità, scegliendo i prodotti esclusivamente sulla base del criterio del prezzo più basso, senza alcun riguardo per criteri di tipo qualitativo. Queste persone, comunque, sostiene Mance, non sono immuni dal fascino esercitato dai richiami del consumo di tipo alienante; non possono, però, praticarlo per motivi di carattere economico, anche se accade spesso che, nello stesso ambito del consumo di tipo forzoso, gli individui possano “realizzare un qualche desiderio semplicemente per il piacere di consumare e non solo per soddisfare una necessità” (Mance, 2003: 27).

Possiamo dire che nella società capitalistica il consumo, da semplice momento del processo di riproduzione materiale e sociale degli individui, si è trasformato in qualcosa di profondamente diverso, assumendo un connotato consumistico che prima non aveva. Il consumo, dunque, si è trasformato in consumismo, intendendo con quest’ultimo termine

un tipo di assetto sociale che risulta dal riutilizzo di bisogni, desideri e aspirazioni dell’uomo prosaici, permanenti e per così dire “neutrali rispetto al regime”, facendone la principale forza che alimenta e fa funzionare la società e coordina la riproduzione sistemica, l’integrazione sociale, la stratificazione sociale e la formazione degli individui (Bauman, 2007: 36).

direttamente funzionale alle esigenze sistemiche, è costituita dalla “costante crescita

della quantità e della intensità dei desideri, il che implica a sua volta il rapido utilizzo

e la rapida sostituzione degli oggetti con cui si pensa e si spera di soddisfare quei desideri” (Bauman, 2007: 40).

Questo implica la costante sollecitazione di nuovi bisogni a cui far corrispondere altrettanto nuovi oggetti i quali, però, lungi dal poter soddisfare in maniera duratura quei bisogni, sono prodotti già dall’origine in maniera da essere transitori e ad obsolescenza rapida. Il consumatore, così, viene lasciato in uno stato di insoddisfazione permanente, condizione questa che è alla base del meccanismo della creazione artificiale di nuovi bisogni e della loro soddisfazione tramite nuovi prodotti, anch’essi destinati a divenire rapidamente obsoleti. Scrive Bauman:

La società dei consumatori cresce rigogliosa finché riesce a rendere perpetua la non-

soddisfazione dei suoi membri, e dunque la loro infelicità, per usare il suo stesso

termine. Il metodo esplicito per conseguire tale effetto consiste nel denigrare e svalutare i prodotti di consumo poco dopo averli portati alla ribalta nell’universo dei desideri dei consumatori. Ma un altro modo per fare la stessa cosa, ancora più efficace, rimane in penombra, e solo di rado qualche giornalista investigativo particolarmente sagace vi getta luce: il metodo consiste nel soddisfare ogni bisogno/desiderio/carenza in modo tale che essi non possano che dar luogo a nuovi bisogni/desideri/carenze. Quello che inizia come sforzo per soddisfare un bisogno deve diventare alla fine una coazione o un’assuefazione (Bauman, 2007: 59-60).

Questo processo ha, a sua volta, come presupposto la creazione del consumatore come soggetto e la coincidenza dell’atto stesso del consumare con l’auto-affermazione della soggettività dell’individuo. Attraverso il consumo, cioè, l’individuo manifesta il suo essere nel mondo e si costituisce come soggetto. Ma si tratta di una soggettività apparente, dietro cui si cela la sostanziale omnimercificazione della vita sociale e degli stessi consumatori.

Bauman si riferisce a questa situazione con il termine di “feticismo della soggettività”, indicando, attraverso il parallelo con il concetto marxiano di feticismo delle merci, la natura illusoria di questo processo di autonomizzazione soggettiva della figura del consumatore, dietro cui si nascondono, in realtà, relazioni sociali totalmente mercificate.

Se il destino del feticismo delle merci era quello di celare alla vista la sostanza umana, troppo umana della società dei produttori, tocca ora al feticismo della

soggettività celare alla vista la realtà mercificata, troppo mercificata della società dei consumatori. La “soggettività” della società dei consumatori, proprio come la

“merce” nella società dei produttori, è un fatticcio, per usare il concetto ibrido coniato felicemente da Bruno Latour: un prodotto interamente umano elevato al rango di autorità superumana dimenticando, o riducendo all’irrilevanza, le sue

origini umane, troppo umane, unitamente al complesso delle azioni umane che hanno portato alla sua comparsa e ne sono state conditio sine qua non (Bauman, 2007: 20).

Ovviamente tale soggettività è soltanto apparente, in quanto il consumatore, più che un soggetto, è in realtà un oggetto della manipolazione mediatica finalizzata ad accrescerne la propensione consumistica. E’ chiaro, quindi, che, lungi dall’essere titolare di una qualsivoglia sovranità nelle proprie scelte di consumo, egli sia, invece, parte dell’ingranaggio della grande macchina dell’accumulazione capitalistica.

Ne deriva che il consumo è continuamente sollecitato ed incoraggiato in tutte le sue forme e sfaccettature, essendo esso considerato il presupposto imprescindibile su cui fondare quello che, dal punto di vista della società capitalistica, costituisce un vero e proprio dogma: quello della crescita economica. Del mito della crescita economica e dei suoi aspetti contradditori ci occuperemo nel prossimo capitolo.

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IL MITO DELLA CRESCITA COME DOGMA ED I LIMITI BIOFISICI DEL

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