• Non ci sono risultati.

PARTE II – IL RAPPORTO TRA IMMUNITÀ E IUS COGENS 2.1 Immunità e ius cogens secondo la dottrina

2.5 La sentenza della CIG del 3 febbraio 2012

Il ricorso alla Corte internazionale di Giustizia presentato dalla Repubblica federale di Germania contro l'Italia lamentava sue violazioni degli obblighi di diritto internazionale precedentemente assunti, violazioni che sarebbero state commesse attraverso la sua pratica giudiziaria e che consisterebbero nel mancato rispetto dell'immunità giurisdizionale di cui beneficia la Germania. La Corte ha autorizzato anche la Grecia ad intervenire, visto che la questione coinvolge decisioni di tribunali greci, che sono stati dichiarate esecutive in Italia (v. supra).

Nel delimitare l'oggetto della controversia e la competenza della Corte, si descrivono brevemente nella decisione lo sfondo storico e i fatti. Le contestazioni della Germania all'Italia riguardano il mancato rispetto dell'immunità dalla giurisdizione in cause civili intentate contro di essa presso tribunali italiani, nelle quali sono state chieste riparazioni per i danni provocati da violazioni del diritto internazionale umanitario (norme di ius cogens) commesse dal Terzo Reich durante la Seconda Guerra Mondiale. Si sottolinea che l'Italia ha violato l'immunità dalla Germania anche in altro modo, adottando misure di esecuzione nei confronti di Villa Vigoni, proprietà dello Stato tedesco situata nel territorio italiano, e inoltre dichiarando esecutive in Italia le decisioni emesse dai tribunali civili greci contro la Germania, sulla base di questioni simili a quelle poste a fondamento delle pretese avanzate nei tribunali italiani.

L'Italia, dal canto suo, ha chiesto alla Corte di dichiarare le affermazioni tedesche infondate, fatto salvo ciò che riguarda le misure coercitive avviate contro Villa Vigoni (la revoca di tali misure, come visto, non era più in discussione né oggetto di obiezioni da parte italiana). Nelle sue risposte, l'Italia ha presentato una domanda riconvenzionale 77 Corte internazionale di Giustizia, 3 febbraio 2012, sentenza cit.

rispetto alla questione del risarcimento dovuto alle vittime italiane per le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dalle forze del Reich tedesco; questa è stata però respinta con ordinanza dalla Corte in data 6 luglio 2010: non essendo all'interno della sua competenza era di conseguenza irricevibile (visto che la Convenzione europea per la risoluzione pacifica delle controversie sottopone alla decisione dell'Aja solo le controversie sorte posteriormente all'entrata in vigore della convenzione stessa tra le parti in causa, tra Germania e Italia ciò è avvenuto il 18 aprile 1961; le richieste tedesche riguardano invece misure adottate tra il 2004 e il 2011 e per esse quindi la competenza ratione temporis sussiste). La Corte non è quindi più chiamata a pronunciarsi sull'eventuale obbligo tedesco di riparazione per le vittime italiane dei crimini del Reich. Peraltro, affermano successivamente i giudici, va notato che se uno Stato non ha pienamente adempiuto ad un obbligo di riparazione presumibilmente in vigore, ciò può avere un effetto, in diritto, sull'esistenza e la portata dell'immunità giurisdizionale di detto Stato dinanzi ai giudici stranieri. La questione principale da affrontare rimane infatti se, in queste circostanze particolari, i tribunali italiani avevano motivi validi per escludere l'immunità della Germania, o se invece così facendo i giudici hanno violato un obbligo in capo all'Italia di concederla. Inizia così la complessa analisi del tema effettuata dalla Corte.

I giudici dell'Aja cominciano con l'osservare che i procedimenti davanti ai tribunali italiani hanno avuto la loro origine in atti perpetrati dalle forze armate tedesche e da altri organismi del Reich. Vanno distinte tre categorie di casi: il primo si riferisce all'uccisione su vasta scala di civili nei territori occupati, come parte di una politica di ritorsione (esemplificata dalle stragi perpetrate il 29 giugno 1944 a Civitella, Cornia e San Pancrazio da membri della divisione Hermann Göring delle forze Bundeswehr, che vedevano l'omicidio di 203 civili presi in ostaggio; il massacro era seguito all'uccisione

di quattro soldati tedeschi da parte di combattenti della Resistenza pochi giorni prima); il secondo consiste nella deportazione di civili che, come il signor Luigi Ferrini erano stati allontanati dall'Italia per essere condotti a lavorare in Germania praticamente in condizioni di schiavitù; il terzo si riferisce ai membri della forze armate italiane, a cui è stato negato lo status di prigioniero di guerra, con le garanzie che comportava e a cui avevano diritto, e che anch'essi sono stati impiegati come lavoratori forzati. Mentre la Corte ritiene che non vi può essere dubbio alcuno che tale comportamento costituisca una grave violazione del diritto internazionale applicabile ai conflitti armati nel periodo 1943-1945, osserva che non è stato chiesto di decidere se questi atti erano illegali, il che è un punto pacifico. Da decidere è invece se, nei giudizi per i risarcimenti derivanti da queste azioni, i giudici italiani vanno ritenuti obbligati a concedere l'immunità alla Germania. In questo contesto, la Corte rileva che v'è un importante accordo tra le parti nell'affermare che l'immunità è regolata dal diritto internazionale e non è una mera questione di cortesia tra gli Stati; ne consegue che il diritto all'immunità può essere ricavato solo dal diritto internazionale consuetudinario. Pertanto, la Corte deve determinare se, ai sensi dell'art. 38 paragrafo 1 lettera b) del suo Statuto, v'è "una consuetudine internazionale, manifestata da una pratica generale accettata come diritto" che conferisce immunità agli Stati e, in caso di risposta affermativa, quali sono la portata e l'entità di tale immunità.

La Corte osserva che, anche se in passato ci sono stati grandi dibattiti sulle origini dell'immunità statuale e dei principi che determinano la sua esistenza, la Commissione di Diritto Internazionale (CDI) ha concluso nel 1980 che la regola dell'immunità era stata "adottata ... come regola generale del diritto consuetudinario con una solida base nella pratica corrente degli Stati". Secondo la Corte, tale conclusione, che si basava appunto su uno studio approfondito della pratica, trova conferma nella storia, nelle

legislazioni nazionali, nella giurisprudenza, e pure nelle osservazioni degli Stati sul testo, che più tardi è diventata la Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizione degli Stati e dei loro beni (la Convenzione di New York del 2004, di cui nella parte I). Questo studio dimostra che, quando richiedono l'immunità per loro stessi o la concedono a terzi, gli Stati di solito presuppongono che vi sia un diritto all'immunità ai sensi della legge internazionale, insieme con il corrispondente obbligo degli altri Stati a rispettare e attuare tale immunità. Le parti in causa sono comunque d'accordo da un punto di vista generale in merito alla validità e all'importanza dell'immunità come parte del diritto internazionale consuetudinario. Si rileva che le loro posizioni sono diverse su un'altra questione: la Germania sostiene che la portata dell'immunità vada verificata alla luce del diritto applicabile nel 1943-1945 (cioè al momento dei fatti che hanno portato alle contestazioni dinanzi ai giudici italiani); l'Italia sostiene invece che vada applicato il diritto vigente al momento dei procedimenti giudiziari. La Corte dichiara che, in conformità con il principio sancito dall'art. 13 del progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti, il diritto internazionale può essere determinato solo con riferimento al diritto vigente al momento in cui evento si è verificato. Poiché gli atti a cui la causa si riferisce, cioè la negazione dell'immunità e l'esercizio della giurisdizione da parte dei tribunali italiani, non si erano avuti fino a quando i procedimenti sono stati sollevati davanti ai tribunali italiani stessi, la Corte conclude che occorre esaminare e applicare l'immunità degli Stati come esisteva al momento della condotta italiana e non come esisteva nel 1943-1945. A sostegno di questa conclusione, la Corte aggiunge che il diritto in tema d''immunità è essenzialmente di natura procedurale: regola l'esercizio della giurisdizione su un particolare comportamento e, pertanto, è completamente diverso dal diritto sostanziale che determina se un atto è lecito o illecito.

La Corte rileva poi che le parti sono in disaccordo anche e soprattutto per quanto riguarda la portata e l'estensione della regola dell'immunità dello Stato. Il disaccordo c'è anche se entrambe le parti concordano sul fatto che sussiste generalmente un diritto all'immunità per gli atti iure imperii, e sono d'accordo sul fatto che l'immunità si applica agli atti commessi dalle forze armate di uno Stato (e dagli altri organi dello Stato quando agiscono in collaborazione con le forze armate) in una situazione di conflitto armato. La Germania sostiene che in questi casi l'immunità è sempre applicabile e non v'è alcuna limitazione rilevante ad essa quando uno Stato si esprime con acta iure imperii. L'Italia, dal canto suo, sostiene che la Germania non ha il diritto ad ottenere l'immunità dinanzi ai giudici italiani per due motivi: innanzitutto, perché l'immunità da acta iure imperii non si estende ad atti illeciti o che causano la morte, lesioni personali o danni se commessi territorio dello Stato del foro e, da un altro punto di vista, perché, a prescindere dalla legge del luogo in cui si sono verificati gli atti in questione, tali atti costituivano le più gravi violazioni delle regole imperative di diritto internazionale. La Corte esamina gli argomenti italiani, il primo fa riferimento al principio di territorialità del danno. Viene notato che l'art. 11 della Convenzione europea e l'art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite offrono un certo sostegno alla tesi italiane, ma, poiché nessuno di questi strumenti è in vigore tra le Parti, sono rilevanti solo per chiarire il contenuto del diritto internazionale consuetudinario. L'articolo 11 stabilisce il principio di territorialità del danno in termini generali, ma va interpretato alla luce dell'art. 31, che esclude dall'ambito di applicazione della Convenzione tutti i procedimenti giudiziali relativi agli atti di forze armate straniere, indipendentemente dalla circostanza che queste forze siano presenti nel territorio dello Stato del foro con o senza il suo consenso o dal fatto che le loro azioni avvengano in tempo di pace o di conflitti armati. A differenza della Convenzione europea, la Convenzione delle Nazioni Unite non afferma espressamente di escludere dal suo campo di applicazione le azioni delle forze armate.

Tuttavia, il commento della Commissione al testo dell'articolo 12 afferma che la dettagliata normazione non si applica alle "situazioni di conflitto armato"; la Corte constata che nessuno Stato ha messo in discussione questa interpretazione e ciò rafforza la tesi secondo cui il diritto consuetudinario internazionale non nega l'immunità da procedimenti giudiziari allo Stato per le responsabilità in relazione ad atti che causano la morte, lesioni, danni alle persone commessi nel territorio dello Stato del foro da parte delle sue forze armate o di corpi collegati, nel contesto di un conflitto armato.

Per quanto riguarda la pratica legislativa a livello nazionale, la Corte osserva che nove dei dieci stati citati dalle parti hanno legiferato specificatamente sulla questione dell'immunità degli Stati nei casi di atti illeciti provocanti la morte, lesioni personali o danni alla proprietà commessi nel loro territorio. Due di queste leggi però contengono disposizioni escludenti dal loro ambito di applicazione gli atti di forze armate straniere. Nessuno degli altri sette stati citati dalle parti prevedono nella loro legislazione riferimenti agli atti delle forze armate, ma non sono mai state depositate dinanzi ai giudici azioni volte ad applicare tale normativa a un caso in cui sono coinvolti militari stranieri e i relativi organi dello Stato (ovviamente che agissero nel contesto di un conflitto armato). La Corte esamina poi la pratica delle decisioni dei giudici nazionali, ritenendo che confermi la tesi che l'immunità per gli atti iure imperii continui ad applicarsi ai procedimenti civili hanno legati agli atti di guerra della tipologia illecita in questione. La pratica sembra accompagnata da opinio iuris, come evidenziano le posizioni assunte dagli Stati e dalla giurisprudenza di diversi tribunali nazionali. Si ritiene che l'assenza quasi completa di ogni posizione contraria sia significativa, come lo è l'assenza di dichiarazioni in senso opposto da parte dei membri al tempo del lavoro della commissione sull'immunità dello Stato e dell'adozione della Convenzione delle Nazioni Unite.

In considerazione di questa accurata disamina, la Corte conclude che il diritto internazionale consuetudinario continua a richiedere che venga conferita l'immunità ad ogni Stato in procedimenti giudiziari per atti illeciti commessi nel territorio di un altro Stato dalle sue forze armate o da altri organismi nel corso di un conflitto armato. Di conseguenza, i giudici ritengono che la decisione delle corti italiane di negare alla Germania l'immunità non possa essere giustificata sulla base del principio di territorialità delle lesioni.

Ora è il momento di affrontare la seconda argomentazione presentata dall'Italia, che fa riferimento allo scopo e alle circostanze delle cause in oggetto. La Corte osserva che questo secondo argomento, a differenza del primo, si applica a tutte le vicende che avevano fatto sorgere la controversia. Si postula che la negazione dell'immunità sia giustificata dalla particolare gravità degli atti che erano stati oggetto di richiesta di risarcimento davanti ai giudici italiani. Questo argomento si compone di tre sottoargomentazioni. In primo luogo, l'Italia sostiene che gli eventi che hanno dato luogo alle istanze risarcitorie costituiscono gravi violazioni dei principi del diritto internazionale applicabili ai conflitti armati, definibili come crimini di guerra e crimini contro l'umanità. In secondo luogo, l'Italia afferma che le norme del diritto internazionale che vietano tali atti siano norme imperative di ius cogens. In terzo luogo, si sostiene che, dato che ai ricorrenti erano state negate tutte le possibili forme di riparazione, l'esercizio della giurisdizione da parte dei tribunali italiani fosse necessario come ultima risorsa. La Corte esamina in successione ciascuna di queste motivazioni, pur riconoscendo che nel processo l'Italia ha sostenuto che i tribunali avevano agito secondo diritto nel rifiutare l'immunità alla Germania a causa dell'effetto combinato di questi tre aspetti. La Corte osserva che il primo aspetto si basa sulla tesi che il diritto

internazionale non conceda l'immunità a uno Stato, o almeno limitare il suo diritto di esenzione dalla giurisdizione, quando sono state commesse gravi violazioni della legge applicabile ai conflitti armati (si ricorda che caso di specie la Corte ha già chiarito che le azioni delle forze armate tedesche e di altri organi del Reich erano crimini internazionali); l'effetto di questa situazione è quindi di privare la Germania del suo diritto all'immunità. Bisogna analizzare se il diritto internazionale consuetudinario si è sviluppato da poter affermare ciò. Dopo aver esaminato la prassi internazionale, la Corte conclude che attualmente uno Stato non è privo di immunità per il fatto di essere accusato di gravi violazioni dei diritti umani. Per raggiungere tale conclusione, la Corte sottolinea che l'immunità dello Stato opera solo contro la competenza dei tribunali di altri Stati. La Corte esamina poi la seconda motivazione italiana, che sottolinea la natura di jus cogens delle regole infrante dalla Germania durante il periodo 1943-1945. Rileva che questo aspetto dell'argomentazione si basa sulla premessa che ci sia un conflitto tra le norme di jus cogens applicabili ai conflitti armati e il riconoscimento dell'immunità alla Germania. Secondo l'Italia, visto che le regole di jus cogens hanno sempre la precedenza su qualsiasi norma di diritto internazionale incompatibile, e dal momento che la regola che garantisce l'immunità non ha lo status dello jus cogens, la seconda viene così superata.

La Corte ritiene invece che non v'è alcun conflitto tra le norme di jus cogens e quelle di diritto consuetudinario, che impongono a ogni Stato di concedere l'immunità a un altro Stato, visto che queste regole sono procedurali e non coinvolgono la questione se il comportamento per il quale ci si è rivolti al giudice sia lecito o illecito.

Questa conclusione, ritenuta da molti autori formalistica78, è comunque nettamente contrastata nell'opinione dissenziente del giudice Cançado Trindade.