PARTE III – L'IMMUNITÀ NELL'AMBITO DELLA CONVENZIONE EDU La Corte europea dei diritti dell'uomo è stata chiamata più volte a valutare la legittimità
3.3 La vicenda Jones davanti ai tribunali britannici: presentazione e prime decision
Nel caso Jones sono coinvolti cittadini britannici torturati da agenti sauditi in un carcere arabo. Al loro ritorno nel Regno Unito, hanno presentato una causa civile contro lo Stato dell'Arabia Saudita e gli agenti sauditi. Tuttavia, i tribunali del loro paese e la Corte suprema in ultima istanza hanno respinto la richiesta, in quanto sia uno Stato straniero sia i suoi funzionari godono dell'immunità dalla giurisdizione dinanzi ai tribunali nazionali, anche quando sono accusati di tortura. I ricorrenti hanno successivamente presentato una domanda presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, sostenendo che il Regno Unito, garantendo l'immunità, aveva leso in modo ingiustificato il diritto di accesso a un tribunale di cui all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).
Si procede ora ad analizzare più specificatamente la lunga vicenda giudiziaria, significativa per l'importanza che ha avuto nel regolare il tema dell'immunità in vari paesi di common law.
La materia dell’immunità aveva già una disciplina legale nel Regno Unito, contenuta nello State Immunity Act del 1978, la cui impostazione appare conforme alle convenzioni in materia: l’immunità è riconosciuta anche d’ufficio dal tribunale, salvo che si rientri nelle eccezioni. Queste comprendono il consenso all’esercizio della giurisdizione, la materia commerciale, i contratti di lavoro, lesioni personali e danni alla proprietà "causati da un atto o omissione nel Regno Unito". L’immunità si estende al Capo di Stato, al governo e ai suoi dipartimenti. In più è importante sottolineare che il precedente Propend Finance Ltd v Sing and other124 (1997), riguardante il capo della 124 Propend Finance Ltd v Sing and other [1997] ILR 611
polizia federale australiana, ha sancito che “la protezione fornita dalla legge del 1978 agli Stati sarebbe compromessa se fosse possibile citare i funzionari come individui per atti delle loro mansioni per i quali lo Stato che stavano servendo ha l'immunità”. La legge deve essere quindi interpretata nel senso che riconosce ai singoli dipendenti o funzionari di uno Stato estero una tutela sotto quel mantello d'immunità che protegge lo Stato.
Il ricorso che dà il via al nuovo caso era stato presentato, oltre che dal signor Ronald Grant Jones, da altri tre cittadini britannici (Mitchell, Sampson e Walker). I quattro, in momenti diversi, erano stati arrestati in Arabia Saudita e sottoposti a trattamenti di tortura, confermati da referti medici una volta tornati in patria. Per questo in primo luogo si sono rivolti alla High Court, reclamando un risarcimento verso il Ministero dell’Interno saudita e verso agenti, ufficiali e funzionari. In due decisioni diverse (una per il signor Jones, una per gli altri) il giudice ha riconosciuto l’immunità sia allo Stato, sia ai funzionari, facendo riferimento all’Immunity State Act del 1978. Tutti fanno ricorso alla Court of Appeal, che riunisce le cause e il 28 ottobre 2004 pubblica la sua sentenza125.
All'unanimità respinge il ricorso del sig. Jones riguardo la possibilità di procedere nei confronti dell’Arabia Saudita. Lord Justice Mance, insieme a Lord Phillips e Lord Justice Neuberger, si rifiuta di distaccarsi dal precedente Al-Adsani126. Rileva inoltre che l'art. 14 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, che obbliga uno Stato contraente a garantire che:la vittima di un atto di tortura possa ottenere un rimedio, non può essere interpretato come imposizione di un obbligo ad ogni Stato di fornire
125 Court of Appeal, Jones v Ministry of Interior of Kingdom of Saudi Arabia, 2004
EWCA Civ 1394
risarcimento per atti di tortura quando tali atti sono stati commessi da un altro Stato nel suo territorio.
Per quanto riguarda l'immunità dei singoli imputati, la decisione di Lord Justice Mance è invece diversa. Il giudice ha considerato la giurisprudenza dei tribunali e di altri giudici nazionali, che riconoscevano l'immunità ratione materiae per gli atti di agenti dello Stato. Tuttavia, ha osservato che nessuno di questi casi riguardava comportamenti che devono essere considerati come al di fuori del campo di applicazione di qualsiasi esercizio appropriato di autorità sovrana, come la tortura sistematica. La definizione di tortura nella Convenzione come atto "commesso da, o su istanza, con il consenso o l'acquiescenza di un funzionario pubblico o di un'altra persona che agisce in una funzione ufficiale" va intesa solo nel senso di identificare l'autore e il contesto pubblicistico in cui agisce. Non conferisce agli atti di tortura un qualsiasi carattere ufficiale o governativo né significa che commetterli possa mai essere considerato come una funzione ufficiale o che un funzionario possa essere considerato come rappresentante lo Stato nell’infliggere tale dolore o sofferenza. Ancora meno suggerisce che al funzionario possa essere concesso il mantello dell'immunità, visto che l'intero tenore della Convenzione sulla tortura è sottolineare la responsabilità individuale dei funzionari statali per questi atti.
Lord Mance non considera significativo che il tenente colonnello Abdul Aziz (uno dei convenuti) sia stato descritto nel ricorso del signor Jones come "funzionario" o “agente"dell'Arabia Saudita. Né ha ritenuto che le differenze generali tra diritto penale e civile giustifichino una distinzione nell'applicazione dell’immunità nei due contesti. Ha osservato che la House of Lords nel caso Pinochet aveva ritenuto sussistente l'immunità verso un procedimento penale di un Capo di Stato che aveva commesso torture all'estero in un contesto ufficiale. Non è facile comprendere perché i procedimenti civili contro un presunto torturatore dovrebbero comportare una maggiore interferenza negli affari
interni di uno Stato straniero rispetto a un procedimento penale contro la stessa persona. È anche, per il giudice, una situazione contraddittoria quella in cui lo Stato del foro ha competenza penale verso il preteso torturatore (che non può chiedere alcuna immunità), ma in cui la vittima della tortura non è in grado di ottenere soddisfacimento ad alcuna pretesa civile in virtù proprio dell'immunità.
Lord Justice Mance ha rinvenuto importanti distinzioni tra la pretesa di un Stato per l'immunità ratione personae, in questione nel caso Al-Adsani, e la pretesa per un'immunità ratione materiae nei confronti dei suoi funzionari, di cui trattasi prevalentemente in questi casi. In primo luogo, egli ha ritenuto impossibile identificare qualsiasi norma internazionale che conferisce allo Stato il diritto di chiedere l'immunità nei confronti delle domande risarcitorie dirette contro un funzionario, anziché contro lo Stato o il Capo o diplomatici. Ad esempio è del parere che la legislazione e la giurisprudenza degli Stati Uniti militano fortemente contro tale presunto principio e sostengono una visione contraria; inoltre fa riferimento ai dicta nei pareri distinti dei giudici Higgins, Kooijmans e Buergenthal nel caso del mandato d'arresto (sentenza della Corte Internazionale di Giustizia127), che secondo lui forniscono un’ulteriore conferma che non ci fosse nessuna prassi internazionale stabilita in questo specifico settore sui funzionari. In seguito il giudice spiega che, in base all'art. 14 della Convenzione sulla tortura, se uno Stato istituisce un rimedio a livello nazionale, potrebbe essere imposto agli altri tribunali di rifiutarsi di esercitare la competenza. Ma se non esiste un adeguato rimedio nello Stato in cui si è verificata la tortura sistematica, potrebbe essere considerato sproporzionato mantenere un rifiuto totale di ricorso ai tribunali civili di un'altra giurisdizione. Lord Mance riconosce che generalmente i tribunali non dovrebbero interferire negli affari interni di un altro Stato, ma ritiene che esistano molte circostanze, in particolare nel contesto dei diritti umani, dove i giudici 127 Corte internazionale di Giustizia, 14 febbraio 2002, sentenza cit.
nazionali sono tenuti ad agire in senso contrario.
La conclusione è quindi che concedere l'immunità ratione materiae a un funzionario statale che avrebbe commesso atti di tortura sistematica potrebbe privare il diritto di accesso a un tribunale garantito dall'art. 6 della CEDU di un significato reale, nel caso in cui la vittima della tortura non abbia alcuna prospettiva di ricorso nello Stato in cui è stato commesso il fatto. Lord Mance ha quindi ammesso gli appelli dei ricorrenti riguardo agli imputati persone fisiche e ha rimesso la decisione ad ulteriori valutazioni. Si riportano passaggi della sentenza:
“ [...] Mi sembra che una concezione assoluta dell'immunità deve essere almeno attenuata a fronte di asserzioni di tortura sistematica, in favore di un approccio più sfumato o proporzionato approccio. (…) Tale conclusione riflette l'importanza, guardando al mondo di oggi e all'attuale pensiero internazionale e alla giurisprudenza, del riconoscimento e dell'effettiva applicazione dei diritti umani. Si combina armoniosamente con la posizione già raggiunta in relazione ai procedimenti penali, e soddisfa il nostro obbligo di cui all'art. 6 della [Convenzione] di non negare l'accesso al nostro sistema giudiziario, in circostanze in cui è opportuno esercitare la giurisdizione applicando i principi giurisdizionali nazionali, a meno che il non farlo persegua un obiettivo legittimo e proporzionato".