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PARTE III – L'IMMUNITÀ NELL'AMBITO DELLA CONVENZIONE EDU La Corte europea dei diritti dell'uomo è stata chiamata più volte a valutare la legittimità

3.4 La sentenza della House of Lords

L'Arabia Saudita ha fatto appello alla Camera dei Lord contro la decisione della Corte d'appello nei confronti dei singoli imputati; dal canto suo Jones ha proposto ricorso contro la decisione sulla sua domanda contro l'Arabia Saudita stessa. Il 14 giugno 2006, la House of Lords ha accolto all'unanimità il ricorso dell'Arabia Saudita e ha respinto il ricorso del Signor Jones128.

A fondamento della decisione, Lord Bingham riteneva che c'era un’"abbondanza di precedenti autorevoli" nel Regno Unito e altrove, che dimostrava il diritto di uno Stato a rivendicare l'immunità per i suoi ufficiali o agenti, che se disconosciuto portava a un’elusione dell’immunità dello Stato stesso (è la tesi adottata anche dalla Cassazione italiana, vedi il cap. Riflessioni sulle funzioni dell'immunità). In qualche caso limite, ammette Bingham, potrebbero sorgere dubbi, ad esempio sulla circostanza che il comportamento di un individuo, pur qualificato come ufficiale o agente, abbia una connessione sufficiente con lo Stato per cui presta servizio tale da garantirgli il diritto di richiedere l'immunità per il suo comportamento. Ma, a suo avviso, questi erano casi limite (border cases). Il tenente colonnello Abdul Aziz è stato citato come ufficiale dell'Arabia Saudita e non c'era alcun elemento per sostenere che la sua condotta non rientrasse nelle sue funzioni. I quattro imputati nell’altra vicenda erano funzionari pubblici e il presunto comportamento era avvenuto in locali ufficiali durante un processo di interrogatorio.

Inoltre, riferendosi al progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato, Lord Bingham osserva che "il diritto internazionale non richiede, come condizione per il diritto di un Stato a reclamare l'immunità per il comportamento del suo agente, che quest'ultimo debba agire secondo le istruzioni o la legge". Il fatto che il comportamento fosse illegale 128 House of Lords, Jones v Ministry of Interior of Kingdom of Saudi Arabia, 14 giugno 2006, UKHL 26

o deplorevole dal punto di vista etico non era quindi di per sé un motivo per rifiutare l'immunità.

In seguito le argomentazioni si avvicinano al piano del rapporto tra regole sull’immunità e ius cogens. Lord Bingham non è d'accordo con la tesi della ricorrente secondo cui la tortura non può mai essere un atto governativo o ufficiale poiché, ai sensi dell'art. 1 della Convenzione sulla tortura, la tortura per essere definita tale deve essere inflitta, direttamente o tramite connivenza, da un funzionario pubblico o da un'altra persona che agisce in una carica ufficiale Inoltre i ricorrenti hanno fatto riferimento a una significativa serie di precedenti che dimostra che i tribunali degli Stati Uniti non riconoscono gli atti compiuti da singoli funzionari come atti ufficiali tutelati dall'immunità, quando tali atti sono in violazione di un divieto di jus cogens. Lord Bingham non ritiene però necessario esaminare quei precedenti, che a suo parere sarebbero davvero importanti solo nella misura in cui esprimessero principi ampiamente condivisi e osservati tra le altre nazioni. Tuttavia così non è, infatti, come avevano affermato i giudici Higgins, Kooijmans e Buergenthal nel loro parere concordante nel caso del Mandato d'arresto, l'approccio "unilaterale" statunitense non aveva attratto la "approvazione degli Stati in generale”.

Viene ritenuta modesta anche l’importanza di altre fonti legali in cui i ricorrenti avevano riposto fiducia: la raccomandazione del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura del 7 luglio 2005 nei confronti del Canada viene considerata di scarsa autorità giuridica, dei commenti espressi nella sentenza Furundzija129 del Tribunale penale per l'ex Jugoslavia viene sottolineata la natura di obiter dictum. Per quanto riguarda la sentenza della Corte di cassazione italiana nel caso Ferrini130, la celebre risposta di Lord Bingham è che essa non è “una dichiarazione accurata del diritto internazionale”.

129 Tribunale penale per la ex Jugoslavia, 10 dicembre 1998, sentenza cit. 130 Corte di Cassazione, 11 marzo 2004, sentenza cit.

Lord Bingham ha identificato quattro argomenti avanzati dall'Arabia Saudita che a suo dire sono "cumulativamente irresistibili". In primo luogo, data la conclusione della Corte Internazionale di Giustizia nel caso del Mandato di arresto, i richiedenti devono accettare che l'immunità ratione personae sia vigente per un ministro degli Esteri accusato di crimini contro l'umanità; ne consegue che il divieto di tortura, pur essendo una norma di ius cogens, non ha superato automaticamente tutte le altre norme del diritto internazionale. In secondo luogo, l'art. 14 della Convenzione contro la tortura non prevede la giurisdizione civile universale. In terzo luogo, la Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni non fornisce alcuna eccezione all'immunità per le domande civili fondate su atti di tortura; anche se tale eccezione era stata presa in considerazione da un gruppo di lavoro della Commissione internazionale di diritto, non c’è stato accordo (Lord Bingham ha osservato in proposito che alcuni commentatori avevano criticato la Convenzione delle Nazioni Unite per la mancanza di questa eccezione, ma hanno comunque accettato questa decisione perché quest'area del diritto internazionale era "in uno stato di evoluzione" e al momento non c'era un consenso internazionale a favore di una simile eccezione).

In quarto luogo, non c'era alcun riscontro che gli Stati avessero riconosciuto l'obbligo internazionale di esercitare la giurisdizione universale nei confronti delle domande derivanti da presunte violazioni di norme imperative del diritto internazionale, né c’era un consenso in tal senso a livello giurisprudenziale. Per queste ragioni, Lord Bingham concorda con la Corte d'Appello che la richiesta sollevata da Jones contro l'Arabia Saudita debba essere respinta.

Per quanto riguarda i singoli imputati, ritiene che la conclusione della Corte d'appello favorevole sulle richieste di risarcimento non possa essere sostenuta, in quanto “uno Stato può agire solo attraverso funzionari e agenti; i loro atti ufficiali sono gli atti dello Stato; e garantire l'immunità nei loro confronti è fondamentale per il principio

dell'immunità statale. Altrimenti l'effetto è la grave anomalia per cui, mentre il Regno (dell’Arabia Saudita) è immune, e il Ministero dell'Interno, in quanto dipartimento del governo, è ritenuto immune, il ministro dell’Interno (il quarto convenuto nella seconda azione) non lo è”. Osserva che un'azione civile contro singoli torturatori basata su atti “ufficiali” di tortura coinvolge indirettamente lo Stato poiché quegli atti sono imputabili anche a quest’ultimo; va quindi mantenuta la distinzione con i procedimenti penali regolati dal precedente Pinochet.

È interessante anche il parere concordante di Lord Hoffmann riguardo l’immunità dell’Arabia Saudita: il giudice nota che non c’è un conflitto automatico tra la proibizione della tortura (norma di jus cogens) e la norma sull'immunità statale, questa infatti è una regola procedurale. L’Arabia Saudita, nel rivendicare l'immunità, non giustificava la tortura ma semplicemente contestava la giurisdizione dei tribunali inglesi, che pretendevano di decidere se la tortura fosse stata utilizzata o no. Hoffmann cita favorevolmente un'osservazione di Hazel Fox131, per cui l'immunità non "contraddice un divieto contenuto in una norma di jus cogens ma semplicemente devia ogni sua violazione ad un diverso metodo di accertamento e sanzione".

Per Lord Hoffmann, un conflitto potrebbe nascere solo se il divieto di tortura avesse generato una regola procedurale ausiliaria che, in via eccezionale rispetto a quella sull’immunità statale, dà diritto a uno Stato di assumere la giurisdizione civile sugli altri Stati; ovviamente l’opinione sull’esistenza di questa ipotetica regola è negativa.

Vista l’ampiezza e l’importanza dei temi discussi, e l’analitica trattazione che è stata effettuata, non è da stupirsi che la sentenza della House of Lords abbia avuto subito eco e seguito negli ordinamenti di common law. Il 21 dicembre 2006 la High Court

neozelandese ha emesso la sentenza Fang v. Jiang132, su una causa intentata per atti anche di tortura commessi da ex membri del governo cinese; nella decisione la Corte ha concluso: “Ci potranno essere occasioni in cui le corti della Nuova Zelanda prenderanno l'iniziativa di riconoscere le nuove tendenze nel diritto internazionale, ma ... al momento sarebbe inadeguato adottare un approccio diverso da quello così recentemente introdotto alla Camera dei Lord, dopo un esame approfondito del diritto internazionale ... né sarebbe opportuno discostarsi dal suadente ragionamento (del caso Jones) …”