PARTE II – IL RAPPORTO TRA IMMUNITÀ E IUS COGENS 2.1 Immunità e ius cogens secondo la dottrina
2.12 Gli sviluppi in seguito al nuovo orientamento della Corte Costituzionale
La declaratoria di illegittimità della legge 5 del 2013 è recente, ma si possono già rinvenire casi in cui la giurisprudenza di merito ha dato seguito alla sentenza della Consulta. Uno è il caso Opacic Dobrivoje, a cui si è fatto riferimento nel capitolo precedente, a proposito delle prospettive che si delineavano dopo la sentenza n. 238/2014. Quello che ora si presenta è di poco successivo ed è un caso di richiesta di delibazione di una condanna verso l'Iran pronunciata da una corte statunitense (caso Flatow).
Nel 2011 gli eredi e rappresentanti Flatow hanno adito la Corte d'appello di Roma per ottenere, contro la Repubblica Islamica dell'Iran (e un suo ministero) il riconoscimento e la declaratoria di esecutività in Italia della sentenza n. 97-396 (RCL) emessa l'11 marzo 1998 dalla United States District Court for the District of Columbia Nella sentenza lo stato iraniano era stato condannato al pagamento di un'ingente somma (più di 200.000.000 dollari) come risarcimento danni e soprattutto punitive damages a favore dei Flatow, in quanto parenti della giovane statunitense (di religione ebraica) Alisa Michelle Flatow, che nel 1995 era rimasta vittima di un attentato terroristico nel territorio noto con il nome di ”Striscia di Gaza”. L'azione era stata rivendicata dal movimento “Hamas”, ma la Corte statunitense ha ritenuto provato che detto attentato era stato portato a termine sotto la direzione della Repubblica Iraniana e dei suoi alti vertici, colpevoli di aver fornito risorse e supporto ai terroristi (per questo anche i vertici iraniani, tra cui la Guida Suprema, erano stati condannati al pagamento in solido).
A titolo di completezza si riporta di seguito un antefatto del processo (la fonte è la decisione finale della Suprema Corte di Cassazione99).
I medesimi attori avevano già adito nel 2004 la Corte d'appello di Roma al fine di ottenere il riconoscimento e l'esecutività di tale pronuncia in Italia. Con sentenza 99 Corte di Cassazione, 28 ottobre 2015, n. 21946
depositata il 14 giugno 2004 la Corte d'appello di Roma aveva riconosciuto la sentenza della Corte statunitense e ne aveva dichiarato l'esecutività, previa affermazione della sussistenza di tutti i requisiti previsti dall'art. 64 della legge 31 maggio 1995, n. 218; ma detta pronuncia venne successivamente cassata senza rinvio dalla Corte di cassazione con sentenza n. 14570 del 22 giugno 2007, essendo stato accertato un vizio di inesistenza della notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di riconoscimento.
Si arriva quindi a un nuovo giudizio di delibazione, in cui si costituiscono come resistenti la Repubblica Islamica dell'Iran e il suo Ministero dell'informazione e della sicurezza, la loro difesa si basa sull'eccezione del difetto di giurisdizione della Corte USA. Dal lato del Governo italiano interviene invece il Ministero degli affari esteri, che richiama invece il principio della immunità giurisdizionale degli Stati (oltre all'impignorabilità dei beni siti nel territorio italiano appartenenti a Stato estero), nel chiedere a sua volta il rigetto dell'istanza.
La Corte d'appello di Roma, quanto alla dedotta intempestività della eccezione di difetto di giurisdizione, ha rilevato che il difetto di giurisdizione non poteva essere sollevato dinanzi al giudice americano, facendo riferimento alla normativa interna statunitense (il Foreign Sovereign Immunities Act, di cui si discuterà nell'apposito capitolo), che prevede un'eccezione all'immunità nei casi di terrorismo se l'attore è cittadino USA e lo Stato convenuto è nella “lista nera”. Più significativa è però la decisione nel merito, in cui la Corte ha rifiutato la delibazione in virtù dell'immunità giurisdizionale dell'Iran, facendo riferimento (siamo all'8 luglio 2013) agli sviluppi giurisprudenziali e legislativi nel frattempo intervenuti: la sentenza della Corte internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012 e la promulgazione della legge 5 del 2013. Quest'ultima in realtà, anche se menzionata, non può essere la norma che dà la soluzione del caso, in quanto (per quel che riguarda) contiene l'ordine di esecuzione della Convenzione di New York non
ancora entrata in vigore (anche se invece la Corte d'appello pone come motivo della sua irrilevanza applicativa il fatto che la Convenzione non ha efficacia retroattiva). Quella che rileva è invece la norma di diritto internazionale consuetudinario, che impone agli Stati l'obbligo di astenersi dall'esercitare il potere giurisdizionale sugli atti compiuti da uno Stato straniero, presente nell'ordinamento italiano in virtù del meccanismo di rinvio dell'art. 10 Cost.. Nell'individuare la statuizione del diritto consuetudinario la Corte non manca di fare riferimento al giudicato della CIG, per il quale la gravità dell'atto di cui lo Stato è accusato o il carattere inderogabile della norma che detto Stato avrebbe violato non condizionano il diritto all'immunità, che avrebbe carattere procedurale e per questo non sarebbe in contrasto con le norme di ius cogens; pertanto la conclusione non può che essere il riconoscimento dell'immunità.
Questa decisione rientra nella breve fase in cui la giurisprudenza italiana abbandona la posizione innovativa assunta nel caso Ferrini e si adegua all'impostazione della Corte Internazionale di Giustizia. Malgrado gli effetti del dictum dell'Aia sembrino difficilmente superabili, i litisconsorti Flatow propongono ricorso con atto notificato l'8 ed il 9 aprile 2014, l'Iran e anche il Ministero degli affari esteri del Governo italiano resistono con controricorso. Nel frattempo, il sopraggiungere della sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 2014 muta notevolmente il quadro normativo di riferimento. I ricorrenti fondano la loro difesa sulle seguenti argomentazioni:
a) il principio (della giurisprudenza della Corte di Cassazione) “per il quale non possono farsi valere per la prima volta dinanzi al giudice italiano vizi che, se tempestivamente dedotti avanti al giudice straniero, avrebbero potuto inficiare il giudizio”, in questo caso il vizio è l'invocata carenza di giurisdizione, che l'Iran avrebbe dovuto far valere davanti al giudice statunitense, presso il quale invece non si è costituito
giurisdizione civile per i crimini internazionali e contro l'umanità (ricavato dall'art. 30 Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dall'art. 27 Statuto della Corte penale internazionale), le stesse norme sono richiamate, insieme all'indirizzo giurisprudenziale del caso Ferrini, per escludere l'applicazione dell'immunità giurisdizionale
c) si ritiene che la giurisdizione americana possa essere correttamente fissata sulla base degli ordinari principi dell'ordinamento italiano, infatti (non essendo applicabile la Convenzione di Bruxelles del 1968 ai casi di terrorismo) il criterio è quello della competenza per territorio, che prevede come criterio residuale quello del foro dell'attore d) si osserva che, quand'anche si ritenessero applicabili la Convenzione di Bruxelles e la sua disciplina su delitti e quasi delitti, l'evento da prendere in considerazione sarebbe anche il danno consistente nella sofferenza patita dai congiunti della vittima residenti negli Stati Uniti
La Suprema Corte di Cassazione però conferma il dispositivo della Corte d'Appello di Roma, rifiutando quindi la delibazione della sentenza Usa.
Tuttavia, la Corte d'appello aveva, come visto, fondato la sua decisione sulla norma consuetudinaria che prevede l'immunità giurisdizionale degli Stati per gli atti compiuti iure imperii, “qualunque sia il loro contenuto lesivo ed anche in ipotesi di crimini contro l'umanità”. I giudici di legittimità sono perentori nell'affermare che “questa ratio decidendi non è ulteriormente confermabile”, visto che è intervenuta la già citata pronuncia della Corte Costituzionale, che ha escluso che la norma internazionale consuetudinaria (nella parte in cui prevede l'immunità anche per i crimini lesivi dei diritti inviolabili della persona umana) produca effetti nell'ordinamento italiano, malgrado il richiamo dell'art. 10 Cost.. In questa parte i giudici della Consulta non avevano emesso una declaratoria di incostituzionalità dell'art. 10 (per contrasto con i principi supremi dell'ordinamento), ma ne avevano elaborato un'interpretazione
adeguatrice; i giudici della Cassazione colgono l'occasione per sottolineare che a questa impostazione si conformano non solo per il vincolo negativo che deriva da una sentenza interpretativa di rigetto, ma anche perché l'orientamento è quello che loro stessi avevano proposto in passato in tante pronunce, a partire da quella storica del caso Ferrini, richiamata dagli stessi ricorrenti (ma è altrettanto noto che questo orientamento era stato abbandonato dopo la sentenza dell'Aia del 2012).
A questa dichiarazione seguono le considerazioni, decisive, in materia di giurisdizione; già come prima questione era stato escluso che l'eccezione di difetto di giurisdizione sia stata sollevata tardivamente, infatti non avrebbe potuto essere utilmente proposta presso la Corte statunitense, che basava la propria giurisdizione proprio sul Foreign Sovereign Immunities Act, visto che erano coinvolti cittadini americani e che l'Iran si trova nella lista nera degli sponsor del terrorismo. I giudici poi notano che per fissare la giurisdizione i criteri a cui fare riferimento sono non quelli della Convenzione di Bruxelles (che non è applicabile alle controversie relative ad attività che costituiscono espressione della sovranità dei singoli Stati), ma quelli della legge 218 del 1995 sul diritto internazionale privato. Da questa normativa si ricava il criterio del locus commissi delicti, definito come “il luogo ove il fatto causale ha prodotto direttamente i suoi effetti nei confronti di colui che ne è la vittima immediata”, non “il luogo in cui sono stati percepiti dalle vittime ulteriori gli effetti lesivi della condotta antigiuridica” (così si esclude la rilevanza della residenza negli Stati Uniti dei parenti della vittima). Il principio della territorialità dell'illecito viene rinvenuto anche nella Convenzione di New York del 2004. La conclusione è che la competenza del giudice statunitense non è stata fissata correttamente secondo i principi dell'ordinamento italiano; pertanto la sentenza della Corte d'appello di Roma è confermata. Le spese di lite sono compensate visti i mutamenti giurisprudenziali intervenuti e la novità delle questioni poste nella vicenda. Rilevanti sono i passaggi in merito alla possibile analogia tra giurisdizione universale e
l'esclusione dell'immunità sancita dalla Consulta quando si è di fronte a violazioni dei diritti umani. Questa analogia viene ritenuta infondata:
“La necessità di ricercare un titolo di giurisdizione conforme a quello dell'ordinamento italiano non può dirsi venuta meno per effetto della citata sentenza della Corte costituzionale n. 238 del 2014. Ad avviso del Collegio, da tale pronuncia - che non ha creato alcun criterio di collegamento giurisdizionale nuovo - deriva, non il riconoscimento di un principio di giurisdizione civile universale per le azioni risarcitorie da delicta imperii, ma l'inoperatività della norma consuetudinaria sull'immunità dalla giurisdizione civile in presenza di domande dirette ad ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla commissione, nel territorio dello Stato del foro, di crimini di guerra e contro l'umanità. Per effetto della sentenza della Corte costituzionale, il giudice - sempreché gli sia attribuita la competenza giurisdizionale secondo un titolo valido per il nostro ordinamento - non può negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.”
Questa impostazione ha avuto risonanza anche all'estero, ed è stata criticata in dottrina da Thomas Weatherall sull'American Journal of International Law, in base alla constatazione della notevole distanza tra le ragioni di prevalenza di diritti umani che portano a negare la regola dell'immunità e i motivi procedurali (il criterio di territorialità) che fanno venir meno l'exequatur alla sentenza USA. Per Weatherall è poco comprensibile abbandonare una storica regola consuetudinaria del diritto internazionale in virtù del diritto di accesso alla giustizia e del valore vincolante dello ius cogens, quando poi questi non possono concretizzarsi per il contrasto con le norme sulla competenza dell'ordinamento italiano. L'autore vede come isolata la posizione della Cassazione, che si pone contro gli altri giudici italiani (ma qui forse Weatherall non considera il sopravvenire della sentenza 238 del 2014), la Corte internazionale di
Giustizia, una Corte distrettuale USA, la Carta delle Nazioni Unite; conclude affermando che difficilmente con la sentenza Flatow è stata scritta l'ultima parola nel dibattito sul rapporto tra immunità e violazioni dei diritti umani100.
100Thomas Weatherall, Flatow v. Iran, in The American Journal of International Law, n. 3, luglio 2016