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PARTE III – L'IMMUNITÀ NELL'AMBITO DELLA CONVENZIONE EDU La Corte europea dei diritti dell'uomo è stata chiamata più volte a valutare la legittimità

3.5 La sentenza Jones della Corte di Strasburgo

Nella sentenza Jones e altri c. Regno Unito133 (2014), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato che la concessione dell'immunità dalla giurisdizione allo Stato e ai suoi funzionari nei procedimenti civili per fatti di tortura non costituisce una violazione dell'articolo 6 della CEDU.

Come abbiamo visto, la CEDU aveva precedentemente deciso nel caso Al-Adsani134 che «le misure prese da uno Stato che rispondono a norme del diritto internazionale generalmente riconosciute sull'immunità dello Stato non possono in linea di principio essere considerate come una restrizione sproporzionata al diritto di accesso a un tribunale garantito dall'articolo 6 § 1 CEDU », anche per quanto riguarda le pretese che vertono su violazioni di norme imperative come il divieto di tortura. Non manca poi l’influenza della recente decisione della Corte Internazionale di Giustizia, che da parte sua ha altresì deciso che non esiste eccezione all’immunità giurisdizionale per i crimini internazionali. L’esito della vicenda (l’affermazione che i tribunali britannici hanno agito legittimamente nel conferire l'immunità all'Arabia Saudita) per queste considerazioni può ritenersi non sorprendente. Ciononostante, in dottrina, come si vedrà nel prossimo capitolo, c’era chi si attendeva comunque che venisse rimesso in discussione un principio valutato come deplorevole e in qualche modo controverso, poiché il diritto consuetudinario sull'immunità statale consente di derogarvi per gli atti commerciali o iure gestionis svolti dagli Stati, ma non per i crimini internazionali o per le violazioni dei diritti umani. È evidente che la conferma di questo principio da parte della Corte EDU, soprattutto alla luce dell’articolata analisi contenuta nella sentenza, 133 Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. IV, Jones e altri c. Regno Unito, 14 gennaio

2014 (n. 34356/06 e 40528/06)

134 Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera, 21 novembre 2001, sentenza cit.

rafforza ulteriormente la regola dell’immunità già sancita dell’autorevole dictum della CIG, vanificando le speranze di mutamenti nell’opinio iuris, almeno a breve termine. Non c'erano però precedenti così rilevanti per quanto riguarda la questione (correlata) se i funzionari statali potessero anch’essi usufruire dell'immunità funzionale nei procedimenti civili per quanto riguarda gli atti di tortura .

Esiste una certa prassi che esclude l'immunità degli ufficiali dello Stato nei procedimenti penali in materia di crimini internazionali (un esempio è il noto caso Pinochet), ma è diversa la situazione dei procedimenti civili, per la semplice ragione che in materia di crimini internazionali non sono quasi mai stati attivati contro i funzionari di uno Stato straniero (ciò è spiegato dal fatto che, in base a norme nazionali di competenza giurisdizionale, i tribunali non sono solitamente competenti su atti commessi da stranieri al di fuori dello Stato del foro). Come ha sottolineato la Corte EDU nella sentenza Jones, nessuno degli Stati membri del Consiglio d'Europa, ad eccezione del Regno Unito, aveva considerato la situazione specifica dei funzionari statali. Di conseguenza, le risposte precedenti erano "in gran parte ipotetiche e analitiche, piuttosto che basate sull'evidenza". Tuttavia, secondo la legge inglese, i tribunali possono esercitare la loro giurisdizione su tali casi, sebbene un numero significativo di istanze possa essere poi rigettato per motivi di forum non conveniens.

In ogni modo, come detto, la discussione nel caso Jones non si è concentrata sulla questione giurisdizionale, ma sulla questione dell'immunità, che era il vero punto chiave. Tuttavia, la questione della competenza ha notevolmente condizionato la determinazione dell'immunità: la Corte ha sottolineato che la Convenzione sulle torture delle Nazioni Unite non contiene l'obbligo per gli Stati di esercitare la competenza universale in ambito civile e quindi l'immunità dei funzionari statali non può essere esclusa quando i processi civili sono attivati per questo particolare illecito. Così facendo, la Corte ha distinto Jones da Pinochet. Nel caso penale di Pinochet, infatti, la

House of Lords britannica ha dichiarato che la Convenzione sulla tortura obbliga gli Stati ad esercitare una giurisdizione penale universale nei confronti dei funzionari statali (se non estradano il presunto colpevole) e, di conseguenza, la Convenzione necessariamente esclude l'immunità di questi soggetti. Secondo i giudici di Strasburgo, evidentemente, in assenza di un obbligo di esercitare la giurisdizione universale, il principio classico che i funzionari statali godono dell'immunità ratione materiae, vale a dire l'immunità per atti svolti in una funzione ufficiale, non perde la sua validità. Secondo la Corte, l'immunità applicata nei confronti dei funzionari statali rimane inoltre legata all'immunità dello Stato:

«Poiché un atto non può essere condotto da uno Stato, ma solo da persone che agiscono per conto dello Stato, quando la garanzia dell'immunità può essere invocata dallo Stato, il punto di partenza deve essere che l'immunità ratione materiae si applica agli atti dei funzionari statali. Se così non fosse, l'immunità dello Stato potrebbe sempre essere aggirata facendo ricorso verso i predetti funzionari».

Poiché non ha rilevato un'eccezione a tale principio, la Corte ha rilevato che «le conclusioni della Camera dei Lord [in Jones c. Arabia Saudita] non erano né manifestamente erronee né arbitrarie», e che quindi tanto l'Arabia quanto i funzionari arabi avevano diritto all'immunità dalla giurisdizione, anche per quanto riguarda le accuse di tortura.

Va tuttavia rilevato che la Corte ha individuato «qualche sostegno emergente a favore di una regola speciale o di un'eccezione nel diritto internazionale pubblico nei casi riguardanti le pretese civili di tortura nei confronti di funzionari stranieri» e che «questa è una questione che deve essere sottoposta a revisione dagli Stati contraenti ». In particolare, i tribunali degli Stati Uniti hanno affermato che i funzionari dello Stato stranieri non hanno diritto all'immunità dalla giurisdizione in materia di tortura: la legge americana sulla protezione delle vittime prevede che «un individuo che, sotto l'autorità

effettiva o apparente di qualsiasi nazione straniera» può ottenere la condanna civile del responsabile per danni da tortura. Inoltre, nel 2012, una Corte d'appello statunitense135 ha rilevato che un ex ufficiale governativo somalo non godeva dell'immunità nei confronti delle domande civili che si riferiscono alla tortura, in quanto, per motivi di diritto internazionale e nazionale, le violazioni dello jus cogens sono, per definizione, atti non ufficialmente autorizzati dal sovrano. Pertanto, non si esclude che, a tempo debito e alla luce delle evoluzioni della prassi statale, un conferimento di immunità ai funzionari statali nei confronti delle accuse di tortura possa essere considerato violazione dell'art. 6 della CEDU. Basti dire, a questo proposito, che, anche se per le ragioni viste si tende a leggerla in un’altra chiave, la sentenza Jones non proibisce agli Stati di respingere l'immunità nei procedimenti civili nei confronti di funzionari stranieri. Esplicita solo il principio che gli Stati che sostengono l'immunità in tali casi non violano la CEDU.

Guardando più da vicino le motivazioni della sentenza, essa si gioca sulla valutazione su un punto: se la concessione dell’immunità è una restrizione sproporzionata del diritto di accesso a un tribunale garantito dall’art. 6. Per la Corte le misure adottate da uno Stato che riflettono norme del diritto internazionale generalmente riconosciute del diritto internazionale non possono in linea di principio essere considerate una limitazione sproporzionata; questo perché esiste la necessità di interpretare la CEDU per quanto possibile in armonia con le altre regole del diritto internazionale, comprese quelle relative alla concessione dell'immunità agli Stati, di cui i giudici riconoscono la derivazione dal principio par in parem imperium non habet e lo scopo legittimo di promuovere le buone relazioni tra gli Stati stessi, attraverso il rispetto reciproco della 135 United States Court of Appeal for Fourth Circuit, Samantar v. Yousuf, 2 novembre

sovranità. La ricognizione del contenuto di questa regola (riguardo in particolare alla presenza o meno di eccezioni) non presenta difficoltà, vista l’autorevolezza della decisione della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012, che rende superfluo esaminare gli altri precedenti pure in larga misura dello stesso tenore, quali quelli della Corte costituzionale slovena136, delle corti francesi, della Corte suprema polacca (quest’ultima, nel caso Natoniewski c. Germania del 2010137, aveva ammesso l’immunità tedesca verso richieste di danni bellici, poiché “i conflitti armati - con vittime su larga scala e un'enormità di distruzione e sofferenza - non possono essere ridotti al rapporto tra lo Stato/autore e la persona lesa; i conflitti esistono principalmente tra gli Stati; tradizionalmente, rivendicazioni di danni derivanti dagli eventi di guerra vengono risolti nei trattati di pace, volti a una vasta - a livello internazionale e individuale - regolazione delle conseguenze della guerra”).

Non c’è un’analoga certezza per l’immunità dei funzionari in queste circostanze, sulla quale come visto sono stati chiesti pareri agli Stati membri del Consiglio d’Europa, ottenendo quelle risposte ipotetiche a cui si è fatto cenno, spesso inoltre legate più alla competenza che all’immunità di cui invece si tratta nella vicenda giudiziaria. A dirimere la questione (che, va ricordato, verte sul contenuto della norma internazionale, a cui la CEDU in qualche modo si inchina, riconoscendone l’importanza) sono, oltre alle norme convenzionali, alcune decisioni di corti di common law: quelle britanniche, il caso Fang già citato138, il caso australiano Zhang v. Zemin139 (simile a quello neozelandese quanto alla vicenda storica, ma deciso però guardando alla normativa nazionale anziché 136 Corte costituzionale slovena, AA c. Germania, n IP-13/99, 8 marzo 2001

137 Corte suprema polacca, Natoniewski c. Germania, n. IV CSK 465/09, 29 ottobre 2010

138 Alta Corte della Nuova Zelanda, 2006, sentenza cit.

internazionale), e quello canadese Hashemi v. Repubblica islamica dell’Iran140; si tratta di decisioni favorevoli all’immunità.

La conclusione è quindi elogiativa della sentenza della House of Lords, che “con una sentenza lunga e completa ha concluso che il diritto internazionale consuetudinario non ammette alcuna eccezione - per quanto riguarda le accuse di condotta di tortura - alla regola generale di immunità ratione materiae per i funzionari dello Stato nella sfera delle cause civili in cui l'immunità è garantita allo Stato stesso”141. I risultati a cui è giunta la Camera dei Lord non sono quindi né manifestamente erronei né arbitrari, ma sono anzi ottenuti sulla base di ampi riferimenti al contenuto del diritto internazionale.

140 Deciso in seconda istanza da Corte d’Appello del Quebec, Hashemi v. Repubblica islamica dell’Iran, 2012, QCCA 1449