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Il caso Alikaj contro Italia.

USO DELLA FORZA, VIOLENZE, MALTRATTAMENTI ED ABUSI DA PARTE DELLE AUTORITA’ STATAL

7. Il caso Alikaj contro Italia.

A pochi giorni dalla pronuncia della Grande Camera sul caso Giuliani, la Corte europea perviene a delle conclusioni diametralmente opposte pronunciando una sentenza di condanna per l’Italia nel caso Alikaj316.

       

316 Corte eur. dir. umani, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia. Sul caso Alikaj cfr. A.BALSAMO

L.TRIZZINO, La prescrizione del reato nel sistema italiano e le indicazioni della Corte europea:

fine di un equivoco?, in Cass. pen., 2011, n. 7/8, pp. 2804-282; M. CASTELLANETA, La

prescrizione non è compatibile con la Convenzione se causa nei fatti uno stato di impunità del colpevole, in Guida dir., 2011, n. 16, pp. 81-83; A. COLELLA, La Corte “condanna” l’Italia per la

Il caso era relativo all’uccisione di un giovane albanese da parte di un membro della polizia italiana che tentava di arrestarlo dopo la sua fuga. Nei confronti del poliziotto si era immediatamente aperto un procedimento penale per omicidio volontario. All’udienza preliminare, tuttavia, l’imputato era stato prosciolto con la formula «il fatto non costituisce reato». Il GUP accogliendo le tesi della difesa aveva sostenuto che non vi fossero elementi sufficienti per provare che l’agente avesse agito intenzionalmente. Dalle prove raccolte, si evinceva che lo stesso, durante l’inseguimento di Julian Alikaj, fosse scivolato e avesse fatto partire solo accidentalmente un colpo dalla pistola.

Nelle fasi successive, la vicenda processuale si era snodata in modo particolarmente complesso. La decisione del GUP veniva impugnata dal Pubblico Ministero e dopo una serie molteplice di riqualificazione del fatto317, il poliziotto veniva rinviato a giudizio per omicidio volontario.

      

violazione sostanziale e procedurale dell’art 2 in relazione all’uccisione di un diciannovenne albanese ad opera di un agente di polizia, in Dir. pen. cont., 30 marzo 2011; S.NEGRI, Violenze,

maltrattamenti ed abusi commessi dalle forze dell’ordine ( artt. 2 e 3 CEDU), in A.STASI, (a cura

di), CEDU e ordinamento italiano. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e

l’impatto nell’ordinamento interno (2010-2015), Vicenza, 2016, p. 115 ss.; V. SPIGA, Sulla

compatibilità della prescrizione del reato con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il caso Alikaj c. Italia, in Riv. dir. intern., fasc. 4, 2011, p. 1883.;

317 Nel ottobre del 2000, la Corte di appello di Brescia, accogliendo parzialmente il ricorso del

PM, rinvia a giudizio l’agente dinanzi al Tribunale di Bergamo per omicidio colposo. Nel 2002, il Tribunale di Bergamo ritenendo, invece, che il fatto dell’agente fosse intenzionale e non

Nell’aprile del 2006, la Corte d’Assise di Bergamo aveva ritenuto l’agente colpevole di omicidio colposo, ma l’aveva prosciolto a causa dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione318.

I familiari di Julian Alikaj, proposero ricorso alla Corte europea, lamentando una violazione degli articoli 2, 6 e 13 CEDU: secondo i ricorrenti, infatti, le indagini non sarebbero state effettive ed indipendenti.

La Corte europea esaminò il caso da un angolo prospettico differente, concentrandosi, in particolare, sulla violazione del diritto alla vita del giovane Alikaj.

Conformandosi ai princìpi elaborati in materia dalla sua giurisprudenza, la Corte precisava come il ricorso ad una forza potenzialmente mortale da parte dei poliziotti si potesse giustificare solo in presenza di determinate condizioni. In particolare, l’uso della forza doveva risultare “assolutamente necessario” ossia «strettamente proporzionato nelle circostanze». Si ribadiva, poi, che per il carattere fondamentale riconosciuto al diritto alla vita, le circostanze nelle quali

       meramente colposo, si dichiara incompetente e trasferisce il fascicolo alla Corte d’Assise di Bergamo. Il PM chiede il rinvio a giudizio per omicidio doloso, ma il G.u.p non accoglie la richiesta e, il 26 aprile 2004, rinvia a giudizio l’agente per omicidio colposo. La parte civile ricorre in Cassazione che accoglie il ricorso e annulla la decisione del 26 aprile 2004. Nel 2005, il G.u.p rinvia a giudizio l’agente per omicidio volontario, ma la Corte d’Assise di Bergamo modifica nuovamente la qualificazione dei fatti, ritenendo che l’agente fosse colpevole di omicidio colposo. L’iter dei procedimenti penali interni è sintetizzato nei paragrafi §§ 25-45 della sentenza C. eur. dir. umani, Alikaj c. Italia, cit.

si potesse infliggere la morte richiedessero una interpretazione restrittiva319.

Il caso di specie veniva esaminato dal punto di vista dell’art 2, § 2, b), Cedu. Come già osservato, secondo la norma, la finalità legittima di eseguire un arresto regolare può giustificare l’esposizione a pericolo della vita umana soltanto in casi di assoluta necessità. Questa necessità non sussiste nei casi in cui si sappia «che la persona che debba essere arrestata non rappresenti alcuna minaccia per la vita o l’integrità fisica di chiunque e non è sospettata di aver commesso un reato violento, anche se può derivare una impossibilità di arrestare il fuggitivo»320.

Applicando questi principi al caso di specie, si acclarava che l’uso letale della forza, oltre a non essere stato proporzionato, non fosse stato neanche “necessario” ai sensi dell’art 2 Cedu.

La Corte aveva anche cura di evidenziare come dall’art 2 discendesse in capo agli Stati membri l’obbligo di disciplinare, minuziosamente e nel rispetto delle linee guida internazionali in materia, l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine.

       

319 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit., § 62. Vedremo come i principi espressi

dalla Corte vadano ad incidere, con impatto espansivo dell’area penalmente rilevante, sull’ambito di operatività della scriminante prevista dall’art 53 c.p., cfr. infra § 6.

A tal proposito, i giudici europei rilevavano come l’ordinamento italiano fosse totalmente carente di una tale regolamentazione. Sulla base di queste argomentazioni, la Corte europea dei diritti umani, all’unanimità, accertava la violazione sostanziale dell’art 2 Cedu.

Anche la violazione procedurale dell’art 2 veniva accertata all’unanimità. Si ritenne che nel caso di specie si fosse concretizzata per due ordini di fattori. I giudici ponevano l’accento, in primo luogo, «sull’insufficiente indipendenza dell’inchiesta» dovuta sia al fatto che i primi atti delle indagini erano stati compiuti da agenti appartenenti alla stessa unità amministrativa del reo, sia al fatto che questi fossero stati supervisionati dal suo diretto superiore gerarchico.

In secondo luogo, la Corte evidenziava come, essendo trascorsi undici anni dalla morte della vittima, la Corte d’assise, pur riconoscendo la responsabilità penale a titolo di omicidio colposo del reo, dovette pronunciare sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Si osservava, a tal riguardo, che per l’esigenza di «celerità e di ragionevole diligenza, implicita nel contesto degli obblighi positivi in causa»321, l’operatività della

       

321 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit., § 108. Si vedano sul punto i principi

affermati in Corte EDU, 4 maggio 2001, McKerr c. Regno Unito; Corte EDU, 2 settembre 1998,

prescrizione rientrasse « incontestabilmente nella categoria di quelle “misure” inammissibili secondo la giurisprudenza della Corte in quanto ha avuto come effetto quello di impedire una condanna». Occorre aggiungere a questo anche il fatto che l’agente di polizia non fosse stato sottoposto ad alcuna misura disciplinare.

Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, il sistema penale italiano non è stato in grado di «generare alcuna forza dissuasiva idonea ad assicurare la prevenzione efficace di atti illeciti come quelli denunciati dai ricorrenti»322. La pronuncia in commento si colloca a pieno titolo nel solco di quel filone giurisprudenziale, inaugurato dal caso L.C.B.323 e in costante evoluzione, volto a riconoscere, in capo agli Stati membri, gli obblighi positivi di tutela a cui prima si faceva cenno. Dall’art 2 non discende solo l’obbligo di astenersi dal porre in essere atti capaci di ledere del diritto alla vita, ma anche l’obbligo (positivo) di prevedere ed adottare concretamente un quadro normativo, amministrativo e giudiziario idoneo a garantire in modo effettivo lo stesso diritto.

       

322 Corte EDU, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit., § 111. 323 Corte EDU, 9 giugno 1998, L.C.B. c. Regno Unito.

8. La portata eccessiva delle cause di giustificazione relative all’uso

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