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L’oggetto della tutela dell’art 2: l’inizio della vita umana e l’interruzione della gravidanza.

NELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI E NELLA GIURISPRUDENZA DI STRASBURGO

2. L’oggetto della tutela dell’art 2: l’inizio della vita umana e l’interruzione della gravidanza.

Prima di iniziare ad esaminare i molteplici profili che la tutela del diritto alla vita può presentare e le svariate ripercussioni di esso sul sistema penale, occorre, in via preliminare, delimitare l’ambito della tutela discendente dall’art 2 della CEDU.

Va osservato, a tal riguardo, come mentre la Convenzione americana dei diritti dell’uomo, all’art 4, prevede espressamente che la protezione della vita debba essere garantita a partire dal concepimento223, nessun principio in tal senso viene espresso dalla Convenzione europea.

Uno dei problemi che gli studiosi si sono posti, pertanto,

       

222 Così, F. BESTAGNO, Sub art 2, diritto alla vita, in S.BARTOLE,P. DE SENA,V.ZAGREBELSKY

(a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, op. loc. cit.

223 L’art 4, § 1 della Convenzione americana sui diritti dell’Uomo stabilisce:« Ogni persona ha il

diritto al rispetto della propria vita. Tale diritto deve essere protetto dalla legge e, in generale, a partire dal concepimento. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita.»

riguarda proprio il momento iniziale della vita e la definizione della nozione di persona contenuta nell’art 2, paragrafo 1224.

È evidente che da questa indeterminatezza scaturiscano, inevitabilmente, tutta una serie di rilevanti questioni giuridiche perché, a seconda delle soluzioni, si andrà ad ampliare o a restringere l’ambito della tutela che discende dall’art 2 e la stessa portata delle categorie giuridiche coinvolte.

Nella giurisprudenza di Strasburgo, quando il problema si pose alla Commissione, questa, partendo da una valutazione letterale dell’art 2, aveva, in un primo momento concluso nel senso di ritenere inapplicabile la norma al “non nato” 225 . Successivamente, la Commissione cambiava orientamento e, nel caso H. c. Norvegia226, ammetteva in astratto che, in presenza di circostanze specifiche, anche il feto potesse rientrare nell’ambito ricoperto dall’art 2 tuttavia sottolineava come, alla luce delle “considerevoli divergenze di opinione” in materia, fosse necessario rimettere all’apprezzamento degli Stati la decisione «sulla qualificazione giuridica di chi ancora

       

224 In argomento, A. ESPOSITO, Il diritto penale flessibile, op. cit., p. 176 ss.; E. NICOSIA,

Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, op. cit., 187 ss.; F.BESTAGNO, sub art

2, diritto alla vita, op. cit., p. 56 ss.; M.E.GENNUSA, Diritto alla vita e divieto della pena di

morte, op. cit., p. 619 ss.

225 Commissione, dec. 13 maggio 1980, X c. Regno Unito. 226 Commissione, dec. 19 maggio 1992, H. c. Norvegia.

nato non è»227. Anche nel caso Boso c. Italia228, il primo in cui la Corte europea aveva avuto l’occasione di affrontare la questione, veniva ribadito che occorresse riconoscere un ampio margine di discrezionalità agli Stati nelle scelte relative ai temi eticamente sensibili.

Il ricorso era relativo ad un aborto eseguito in Italia, in conformità ai princìpi previsti dalla legge 194 del 1978, ma contro la volontà del padre. La Corte escludeva di dover decidere sulla titolarità del diritto alla vita del non nato, limitandosi ad evidenziare come l’aborto fosse stato procurato nel rispetto della legge e che questa, in ogni caso, era espressione di un corretto bilanciamento tra la tutela del feto e quella delle esigenze della donna, non eccedendo, pertanto, il margine di discrezionalità riconosciuto allo Stato.

La tendenza della Corte europea di non assumere posizione interpretative in merito al momento iniziale della vita è particolarmente evidente nel caso Vo c. Francia229.

Nel caso di specie, la ricorrente lamentava l’impossibilità di agire penalmente nei confronti del medico che, con grave negligenza,

       

227 M.E.GENNUSA, Diritto alla vita e divieto della pena di morte, op. cit., p. 620. 228 C. eur. dir. umani, dec. 5 settembre 2002, Boso c. Italia.

229 C. eur. dir. umani, 8 luglio 2004, Vo c. Francia; in argomento, con forti accenni critici

GOLDMAN, Vo v. France and Foetal Rights: the Decision Not to Decide, in Harvard Human

Rights Journal, 2005, pp. 277 ss; TE BRAAKE, Does a Fetus have a Right to Life? The Case of Vo

l’aveva costretta a subire un aborto terapeutico.

In particolare, il medico, scambiando la signora con un’altra paziente, nel tentativo di estrarre una spirale che supponeva collocata all’interno del suo utero, le aveva procurato la rottura del sacco amniotico, compromettendo fortemente le condizioni del feto. La particolarità del caso si coglie riflettendo sugli interessi coinvolti: a differenza dei casi in precedenza posti all’attenzione della Corte, relativi ad ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza, in cui si riconosceva una preminenza all’interesse della madre, in questo caso si era dinanzi ad una perfetta corrispondenza tra l’interesse della madre e quello del feto «entrambi tendenti alla conservazione della vita e della salute del concepito»230.

Il problema che la Corte doveva affrontare consisteva nel decidere se il feto dovesse rientrare nell’ambito di tutela dell’art 2 e, pertanto, ritenere che la legislazione francese fosse incompatibile con questa norma, nella misura in cui, non prevedendo la perseguibilità penale dell’aborto colposo, lasciava priva di tutela penale la vita prenatale.

Anche in questo caso, la Corte non ritenne opportuno decidere se al feto dovesse essere riconosciuto il diritto a nascere, ribadendo

       

«che tale decisione dovesse farsi rientrare nel margine nazionale di apprezzamento dei singoli Stati. Margine nazionale particolarmente ampio vista l’inesistenza di un consenso europeo sulla definizione scientifica e giuridica dell’inizio della vita»231.

Dalla pronuncia si ricavavano una serie di princìpi: in primo luogo, emergeva come dall’art 2 non discendesse a favore del “unborn

child” l’identica tutela che invece veniva riconosciuta ad ogni

individuo nato; secondariamente, anche qualora le garanzie sottese all’art 2 fossero state estese, per scelta degli Stati contraenti, al “unborn child”, queste sarebbero state limitate dagli interessi e dai diritti della madre232.

Queste conclusioni vengono ribadite in altre pronunce successive. Il caso Evans c. Regno Unito233 si incentrava sull’ordine delle autorità inglesi, adottato in conformità alla disciplina interna, di distruggere degli embrioni dopo che il padre biologico aveva revocato il consenso al trattamento di fertilizzazione in vitro.

Alla Corte veniva sollevata sempre la stessa questione, ovvero se la distruzione degli embrioni si ponesse in contrasto con l’art 2. Anche in questo caso, i giudici in modo “lapidario” tornarono a

       

231 C. eur. dir. umani, Vo c. Francia, cit., § 81-82; A.ESPOSITO, Il diritto penale “flessibile”, op.

cit.,

232 C. eur. dir. umani, Vo c. Francia, cit., § 80.

ribadire che in assenza di un consenso diffuso, nel quadro giuridico europeo, sul quando la vita abbia inizio, la questione dovesse essere rimessa alla discrezionalità di ciascun Stato: rispetto al caso specifico, siccome già il diritto inglese nell’autorizzare la distruzione degli embrioni aveva chiaramente manifestato la scelta di non riconoscere un diritto alla vita agli stessi, il problema di un’incompatibilità con l’art 2 ovviamente non poteva porsi234.

Va sottolineato come le decisioni degli organi di Strasburgo, in questa delicata materia, sono strettamente ancorate alla specificità dei casi concreti ed occorre anche osservare come, di regola, le questioni che ineriscono ai casi di interruzione della gravidanza ruotino essenzialmente sull’art 8 CEDU, in considerazione del fatto che le discipline nazionali volte a regolamentare la materia si pongono come obiettivo quello di tutelare la vita privata della donna.

Peraltro, secondo la Corte, «l’art 8 non implica che la gravidanza e la sua interruzione debbano essere considerate dalla legislazione degli Stati contraenti come esclusivamente rientranti nella sfera privata della gestante: a prescindere dalla questione della soggettività giuridica del bambino non ancora nato, occorre considerare che nel momento in cui inizia la gravidanza la vita privata

       

della donna diviene intimamente connessa al feto che si sta sviluppando»235.

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