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Il divieto di pena di morte.

NELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI UMANI E NELLA GIURISPRUDENZA DI STRASBURGO

4. Il divieto di pena di morte.

Tornando all’analisi dell’art 2 CEDU, occorre soffermarsi sulla portata del secondo inciso del primo comma, dove si afferma che «nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in

esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena».

Alcuni studiosi, ponendo l’accento su questa parte della disposizione, hanno sostenuto che tra gli obiettivi della norma vi sarebbe stata anche la legittimazione della pena di morte e l’intento di dichiarane la compatibilità con la Convenzione247.

Avvalorare questa lettura interpretativa, significherebbe, tuttavia, insinuare nella trama del catalogo dei diritti della

       

246 Pretty c. Regno Unito, cit., § 39.

247 Ad esempio, cfr.,J.GARCÌA ROCA-P.SANTOLAYA, Europe of Rights: A compendium of the

Convenzione un elemento di grave incoerenza: sarebbe profondamente contraddittorio, infatti, da un lato legittimare, all’art 2, la pena di morte, e immediatamente dopo, nell’art 3, vietare ogni trattamento disumano. La pena di morte è di per sé, infatti, un trattamento disumano che «has been demonstrated to have failed the

‘test of humanity’»248. Già Cesare Beccaria sottolineava come fosse «assurdo che le leggi che (…) detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio»249. Ribadendo il carattere alienabile del diritto alla vita, il Maestro si chiedeva quale potesse essere «il diritto che si attribuiscono gli altri di trucidare gli altri simili» e chi fosse mai disposto a «lasciare ad altri uomini l’arbitrio di ucciderlo»250. Il diritto di uccidere, in realtà, è di per sé un ossimoro perché «il diritto è violenza domata, mentre la pena di morte è violenza nella sua forma più potente e prepotente, quella dello Stato»251.

       

248 R.HOOD-C.HOYLE, The death penalty. A worldwide perspective, Oxford, 2015, p. 91.

249 C.BECCARIA, Dei delitti e delle pene, V ed., 1766, in Edizione Nazionale delle opere di Cesare

Beccaria, vol. I, a cura di Francioni 1984, p. 93, § XXVIII.

250 C.BECCARIA, op. cit., p. 86, § XXVIII.

251 A.PUGIOTTO, Nessuno tocchi Caino, mai. Ragionando intorno alla legge costituzionale n.1 del

2007, in F.CORLEONE-A.PUGIOTTO (a cura di), Il delitto della pena. Pena di morte ed ergastolo,

In realtà, il senso della previsione si coglie più correttamente inquadrandolo nel contesto storico giuridico in cui l’adozione della Convenzione europea si colloca: si era in un periodo storico in cui la pena di morte era prevista dalla maggior parte degli ordinamenti nazionali degli Stati membri del Consiglio d’Europa e veniva spesso applicata.

L’intento che, pertanto, il legislatore ha voluto realizzare con il riferimento testuale alla pena di morte è stato essenzialmente quello di «arginare o quanto meno regolamentare un istituto che al tempo era diffusamente applicato al pari di ogni altra pena»252.

Successivamente, la norma è stata oggetto di un’interpretazione evolutiva grazie alla quale si è giunti a ritenere vigente un divieto generale di pena di morte tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa. In questo processo evolutivo, un momento significativo è rappresentato dai princìpi elaborati dai giudici di Strasburgo nella sentenza relativa al caso Al- Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito253 in

       

252 C.RUSSO-A.BLASI, Sub. art 2, diritto alla vita, in S.BARTOLE,B.CONFORTI,G.RAIMONDI (a

cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà

fondamentali, op. cit., p. 36 ss.

253 C. eur. dir. umani, sez. IV, 2 marzo 2010, Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito. La Grande

Camera già in precedenza, nel caso Öcalan c. Turchia, aveva iniziato a prender atto della necessità di interpretare in termini diversi l’art 2 in relazione al divieto di pena di morte; tuttavia, i giudici, ancora timidamente, si erano limitati “a non escludere la possibilità” che l’art 2 dovesse essere interpretato nel senso di vietare la pena di morte (C. eur. dir. umani, grande camera, 12 maggio 2005, Öcalan c. Turchia, § 162- 165).

cui si affermò che l’art 2 CEDU dovesse considerarsi sostanzialmente emendato.

La Corte sottolineò come tra gli Stati europei vi fosse ormai un grado di consenso talmente elevato in ordine alla necessità di proibire in termini assoluti la pena di morte, che si imponesse il superamento dell’eccezione prevista dal primo inciso dell’art. 2 254.

Gli elementi valorizzati dalla Corte di Strasburgo e in forza dei quali, secondo la stessa, sarebbe ormai possibile affermare l’esistenza di un divieto assoluto di pena di morte sono stati, in primo luogo, il costante rispetto della moratoria sulla pena capitale da parte degli Stati del Consiglio d’Europa255 e, in secondo luogo, l’entrata in vigore del Protocollo addizionale n. 13256.

Già nel 1983, l’art 1 del Protocollo Addizionale n.6257 aveva stabilito che la pena di morte fosse abolita e che nessuno potesse «essere condannato a tale pena, né giustiziato»; tuttavia, poi, l’art 2 dello stesso Protocollo attribuiva ad ogni Stato membro la possibilità

       

254 Ass. Parl., doc. n. 12456, 4 novembre 2011, Rapporto sulla pena di morte nei paesi membri e

nei Paesi osservatori del Consiglio d’Europa.

255 Ass. Parl. , Rec. 1246 (1994), 4 ottobre 1994, sull’abolizione della pena di morte.

256 Cfr. F. BESTAGNO, Sub art 2, diritto alla vita, in S.BARTOLE,P. DE SENA,V.ZAGREBELSKY (a

cura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, op. cit., p. 60.

257 In merito alle novità introdotte dal Protocollo n. 6, cfr. F.PALAZZO, Pena di morte e diritti

umani (a proposito del Sesto Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, p. 759 ss.; A. ADINOLFI, Premier istrument

international sur l’abolition de la peine de mort, in La peine de mort ( Conférence International de Syracuse, 17-22 mai 1988), in Rev. intern. droit. pén., 1987, p. 321; E. SPATAFORA, Sul

di «prevedere nella sua legislazione la pena di morte per atti

commessi in tempo di guerra o di pericolo imminente di guerra». Si

era così pervenuti, ancora, solo ad un mero ridimensionamento dell’ambito di operatività dell’eccezione al divieto di pena di morte.

Per la rimozione totale del divieto, si deve attendere il 2002 e l’entrata in vigore del Protocollo Addizionale n.13 che, all’art 1, ha stabilito che «La pena di morte è abolita. Nessuno sarà condannato a

tale pena e a nessuno sarà applicata tale pena». La pena di morte

viene, pertanto, vietata in termini assoluti, superando anche i princìpi affermati dall’art 2 del Protocollo n. 6.258

L’abolizione assoluta della pena di morte sancita dal Protocollo n. 13 ha avuto un’eco importante anche a livello interno, inducendo l’Italia a procedere alla revisione dell’art 27, comma 4 della Costituzione. Nel suo testo originario, la disposizione costituzionale, in prima battuta, stabiliva che non fosse ammessa la pena di morte, per poi aggiungere “se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”. Nel testo costituzionale continuava, così, a residuare una fastidiosa eccezione che strideva, ormai, anche con le scelte compiute a livello europeo. Nel 2007, la legge costituzionale n. 1 sopprime l’ultimo

       

inciso armonizzando il dettato della norma con principi posti dal sistema della Convenzione EDU259.

5. Il divieto di espulsione o estradizione nei casi in cui vi è il rischio

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