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Il ricorso presentato dalla famiglia Giuliani.

USO DELLA FORZA, VIOLENZE, MALTRATTAMENTI ED ABUSI DA PARTE DELLE AUTORITA’ STATAL

5. Il ricorso presentato dalla famiglia Giuliani.

Esaurite le vie del ricorso interno, i genitori e la sorella di Carlo Giuliani, nel 2002, si rivolgono alla Corte europea.

Il ricorso dei familiari si focalizzava principalmente sulla violazione dell’art 2 e conteneva, poi, dei riferimenti anche agli artt. 3, 6, 13 e 38 CEDU. Con riferimento specifico all’art 2, i ricorrenti avevano prospettato una duplice violazione, materiale e sostanziale, del diritto alla vita.

Partendo dall’assunto che i giudici della Corte di Strasburgo non fossero vincolati alla ricostruzione dei fatti così come elaborata dai giudici nazionali, i ricorrenti contestavano la tesi recepita dal Gip nell’ordinanza di archiviazione secondo la quale il proiettile sparato da Placanica verso l’alto avrebbe colpito la vittima solo per effetto di una deviazione provocata da un oggetto intermedio. Veniva mossa una

       

298 A. COLELLA, L’“assoluzione piena dell’Italia nel caso Giuliani”: alcune considerazioni

critica insistente anche all’impostazione secondo la quale i carabinieri sul Defender si trovassero in una situazione imminente di pericolo di vita: a tal proposito si rilevava come i manifestanti che avevano circondato la jeep non fossero in possesso di armi letali. Secondo i ricorrenti, il fatto che l’agente, in quelle circostanze, avesse utilizzato un’arma da guerra andava ad integrare, ex art 2 CEDU, un uso sproporzionato della forza letale299.

Sotto questo primo profilo, si riteneva emergesse una violazione sostanziale diretta dell’art 2 da parte dello Stato italiano, non rilevata, né sanzionata dai giudici interni300. Sempre in merito ai profili sostanziali della violazione dell’art 2, in un altro motivo del ricorso, la famiglia Giuliani concentrava l’attenzione anche sul mancato rispetto degli obblighi positivi discendenti dalla norma e finalizzati a tutelare la vita umana. Veniva osservato, a tal riguardo, come le autorità italiane non avessero adottato tutte le cautele necessarie a prevenire la violazione del diritto alla vita: da un lato, ponendo l’accento sul sistema normativo penale, si imputava al legislatore italiano di aver delineato delle cause di giustificazione eccessivamente ampie e riduttive dell’ambito della tutela penale del bene vita; la questione

       

299 Secondo i ricorrenti, in particolare, si sarebbe fuori dall’ambito di operatività dell’ipotesi

eccezionale prevista dalla lettera a) del 2° paragrafo dell’art 2.

veniva sollevata principalmente in merito alla sfera operativa della legittima difesa e dell’uso legittimo delle armi. Quest’ultima, in particolare, non fornirebbe alcuna indicazione in ordine ai presupposti di utilizzo della forza letale e si porrebbe in contrasto con gli standard nazionali richiesti dalla giurisprudenza di Strasburgo301 richiedendo, ai fini della legittimità dell’uso delle armi, solo il requisito della “necessità”, senza far menzione del requisito della “proporzione”302.

Dall’altro lato si riteneva che i superiori gerarchici di Placanica non avessero pianificato, organizzato e gestito l’operazione in modo da minimizzare il rischio di dover ricorrere alla forza con esiti letali303.

Nello specifico veniva contestato il fatto che gli agenti avessero in dotazione esclusivamente armi ad alta carica offensiva e non avessero ricevuto istruzioni in relazione alle modalità di utilizzo delle stesse, ciò in contrasto con i principi posti dal paragrafo n. 11 dei

Basic Principles ONU, in materia di uso di armi da fuoco. Si trattava

di indicazioni che, oltretutto, non potevano essere desunte dall’art 53 c.p., che su questo profilo ha una portata eccessivamente generica. Si sottolineava, poi, l’inadeguatezza sia della formazione professionale degli agenti che avevano partecipato alle operazioni, che dei criteri

       

301 Cfr. C. eur. dir. umani, grande camera, 20 dicembre 2004, Makaratzis c. Grecia; C. eur. dir.

umani, grande camera, 6 luglio 2005, Nachova e altri c. Bulgaria,

302 Sul punto, si veda ampiamente infra § 6. 303 C. eur. dir. umani, Giuliani, cit. §§ 148 – 158.

mediante i quali erano stati selezionati. In particolare, i ricorrenti osservavano come la gestione di una situazione come quella del G8 di Genova, la cui difficoltà complessiva era comunque prevedibile, fosse stata affidata a giovani militari ancora inesperti, «i quali avrebbero ricevuto soltanto una formazione alle tecniche di guerra nel contesto di missioni militari all’estero, e non mirata – comunque- alla gestione dell’ordine pubblico in contesti “nazionali”».304

Un’ulteriore violazione degli obblighi positivi di prevenzione veniva ravvisata nella scelta di non aver utilizzato nel corso delle operazioni mezzi blindati che, invece, sarebbero stati idonei a minimizzare il rischio di aggressioni dalle quali potesse scaturire l’esigenza di ricorrere all’uso di armi.

Altre osservazioni critiche attenevano ad una serie di errori tattici compiuti dai superiori gerarchici dei carabinieri presenti sul

Defender: nello specifico, veniva imputato a queste scelte tattiche

discutibili il fatto che su una jeep non blindata, si trovasse un agente ancora in possesso della pistola di ordinanza, nonostante fosse, ormai, molto provato dal punto di vista fisico e psichico.

Con il ricorso venivano lamenta, infine, la violazione dell’art 2 anche sotto il profilo procedurale.

       

Si focalizzava l’attenzione su una serie di negligenze compiute nel corso delle indagini che, secondo i ricorrenti, sarebbero state incomplete: si osservava, infatti, come gli organi inquirenti si fossero limitati a vagliare solo l’ambito delle responsabilità dei tre carabinieri che occupavano la jeep, senza estendere il raggio di valutazione ai superiori gerarchici e alle loro responsabilità in merito alla complessiva organizzazione e programmazione delle operazioni di tutela dell’ordine pubblico.

In secondo luogo si contestavano una serie di ritardi ed inefficienze nelle indagini, come ad esempio il mancato ritrovamento dei proiettili sparati da Placanica sul luogo del delitto, la “superficialità” delle conclusioni dell’esame autoptico, il fatto che i periti balistici non avessero avuto la possibilità di esaminare il cadavere. Ulteriori osservazioni avevano ad oggetto l’assenza di indipendenza dell’inchiesta che, nelle prime fasi, aveva visto il diretto coinvolgimento della stessa Arma dei carabinieri.

Infine si contestava il fatto che ai legali e ai consulenti tecnici della famiglia Giuliani non fosse stata concessa la possibilità di partecipare alla maggior parte degli atti di indagine compiuti esclusivamente dal PM305.

       

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